RIETI – In attuazione del Regio decreto n.1067-1923, con la fusione della SIRAC (Società Italiana Radio Audizioni Circolari) e la Radiofono del Gruppo Marconi, nacque il 27 agosto 1924 l’URI, che fu la prima vera emittente radio in Italia. “Uri, Unione Radiofonica Italiana. 1-RO: stazione di Roma. Lunghezza d’onda metri 425. A tutti coloro che sono in ascolto il nostro saluto e il nostro buonasera. Sono le ore 21 del 6 ottobre 1924. Trasmettiamo il concerto di inaugurazione della prima stazione radiofonica italiana, per il servizio delle radio audizioni circolari, il quartetto composto da Ines Viviani Donarelli, che vi sta parlando, Alberto Magalotti, Amedeo Fortunati e Alessandro Cicognani, eseguirà Haydn dal quartetto opera 7 primo e secondo tempo” (possibile ascoltarlo nel sito radiodrammi.it).
Fu Ines Viviani Donarelli, violinista, moglie del direttore artistico della URI, ad annunciare l’inizio delle trasmissioni dalla stazione di Roma S. Filippo, nel quartiere Parioli, che all’epoca era aperta campagna. Per molto tempo si è ritenuto che a dare l’annuncio fosse stata Maria Luisa Boncompagni, perché la frase “che vi sta parlando” era stata cancellata. Barbara Scaramucci (già direttrice delle Teche RAI) ha ritrovato il documento originale degli archivi Rai di Firenze, da cui risulta che la voce è quella di Ines Viviani Donarelli. La prima annunciatrice radiofonica italiana fu poi Maria Luisa Boncompagni, scelta tra molte candidate e assunta come “signorina buona dicitrice” dall’Araldo Telefonico, soprannominata e conosciuta da tutti anche come zia Radio o come l’usignolo della radio.
Le trasmissioni radio erano nate per supportare le navi in difficoltà, per scopi militari, dal 6 ottobre 1924 la radio è entrata nelle nostre case, ci ha tenuto compagnia, ha informato in tempo reale, possiamo ascoltarla anche nelle situazioni di emergenza, con la batteria, possiamo ascoltarla mentre facciamo altre cose immaginando i volti e le ambientazioni. Quest’anno la radio spegne cento candeline, ma è anche l’anno dei 70 anni della televisione, i 150 anni dalla nascita di Guglielmo Marconi e i 100 anni di Mike Bongiorno.
Il 6 ottobre la Fondazione Varrone Cassa di Risparmio di Rieti apre le porte di Palazzo Dosi Delfini, in piazza Vittorio Emanuele II n. 17 al centro di Rieti, dove ha allestito la mostra “100 anni vicini e lontani. Dalle onde medie al dab, un secolo di radio e protagonisti della storia d’Italia”, ideata e curata da Stefano Pozzovivo, voce di Radio Subasio e consigliere d’indirizzo della Fondazione, con il patrocinio di Fondazione Achille Castiglioni e AIRE; media partner Radio RAI e TGR Lazio. Orario visite (ingresso gratuito): giovedì e venerdì dalle 16 alle 20, sabato e domenica dalle 10 alle 13 e dalle 15 alle 20, fino al 6 gennaio. Informazioni nel sito dedicato: 100anni.fondazionevarrone.it.
Al piano nobile 11 stanze dalla nascita della radio fino al 1965: radio a galena, il microfono ad acqua di Quirino Majorana, che sembra un microscopio (Majorana è sepolto a Rieti), 234 radio d’epoca esposte per la prima volta tutte insieme grazie ai collezionisti di Aire e alla fondazione Castiglione, lo spazio dedicato a Guglielmo Marconi, gli annunci storici, la voce di Guglielmo Marconi con il suo accento inglese. Al piano terra gli anni successivi, il Pop, l’evoluzione nel design, con esemplari firmati da Albini, Bottoni e Castiglioni, la radio ‘cubo’ disegnata per Brionvega da Zanuso e Sapper, realizzata in uno specialissimo “formato gigante”, una Fiat 500 attende il visitatore per l’esperienza dell’ascolto in movimento, si può entrare in uno studio radiofonico, tra cuffie e microfoni.
Al terzo piano il 31 ottobre alle 17 il convegno “Le forme della radio” Storie di design con Paola Albini, presidente Fondazione Franco Albini, Carlo Castiglioni, presidente Fondazione Achille Castiglioni, Giuseppe Chigiotti del Politecnico di Milano, Walter Mariotti, direttore editoriale DOMUS – IULM Milano. Il 22 novembre alle 17 “Le forme della parola” La lingua della radio, convegno con Marco Liorni, conduttore radiotelevisivo RAI, Enrico Menduni, sociologo e massmediologo, Marta Perrotta, Università Roma Tre, il giornalista Ruggero Po, Umberto Alunni, Associazione Italiana Radio d’Epoca.
Non è una mostra d’antiquariato, ma una mostra piena di emozioni con ‘colpi di scena’ come direbbe il buon Mike, che stupirà e coinvolgerà nelle sue tre chiavi di lettura: tecnologica, comunicazione con il racconto degli eventi, l’architettura e il design. “Con questa mostra schieriamo Rieti in prima fila nelle celebrazioni nazionali per il secolo d’oro della radio e diamo alla città un’altra bella occasione di crescita e l’opportunità di essere punto di attrazione per tutto il centro Italia” sottolinea il presidente della Fondazione Varrone Mauro Trilli. La radio si è evoluta, mantenendo sempre fede a se stessa: “Sono tante le iniziative che ricordano i 100 anni della radio ma questa di Rieti si impone per completezza e originalità. Più volte è stata profetizzata la morte della radio e invece è un media che ha mantenuto una sua vitalità anche nell’era del web. Ora l’attende la sfida dell’intelligenza artificiale, ma sono convinto che ce la farà anche questa volta” spiega il capo ufficio stampa della Rai Fabrizio Casinelli.
Enrico Menduni conosce nei minimi dettagli la storia della radio e delle comunicazioni ed è un piacere ascoltarlo: “Cosa complicata, la radio, e ancora più complicato farne una mostra, perché parliamo di un medium immateriale, che racconta le cose spesso mentre esse accadono e lo fa sollecitando solo un senso, l’udito, e quindi consentendo all’ascoltatore di fare altro. Eppure quel sussurro è contemporaneamente un’esperienza universale e personale, che dall’orecchio arriva direttamente al cuore”. Menduni ci ricorda che il 1924 è stato anche l’anno della censura della stampa da parte del regime fascista, che è stato il primo a usare la radio per la sua propaganda, dando vita anche all’Istituto Luce.
Una mostra non solo da vedere, ma da ascoltare e vivere, perché racconta i nostri ultimi cento anni. Ultimo, ma non per ultimo, le decorazioni delle sale del piano nobile di Palazzo Dosi Delfini (che hanno già ospitato le mostre di De Chirico e Maria Lai), residenza della famiglia Montegambaro, acquisita poi dai marchesi Vincentini, rappresentano un vero e proprio esempio del gusto decorativo di fine Ottocento.
Francesca Sammarco
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