MILANO – Gli haiku sono componimenti poetici di origine giapponese che hanno il dono di rappresentare l’attimo attraverso immagini vivaci e illuminanti. Tutto in una tripletta di 5-7-5 sillabe. Il punto forte è proprio la brevità, il riuscire ad esprimere pensieri profondi in appena tre versi. L’haiku è una delle forme poetiche più amate in Oriente e solitamente si usa leggerne alcuni durante l’hanami, la fioritura dei ciliegi.
Un antico detto sostiene che “L’occidente è loquace, l’oriente silenzioso”. Proprio in quel silenzio, in quel non detto, si nascondono sensazioni, immagini e parole, quelle che gli haiku cercano di afferrare attraverso l’essenziale. Ogiwara Seisensui, uno dei più famosi poeti giapponesi del ‘900, disse: “Ciascun haiku è come un cerchio: metà è frutto del lavoro dello haijin, lo scrittore, l’altra metà appartiene al lettore a cui viene lasciato il compito di chiudere il cerchio”. Infatti, un haiku è un componimento aperto che mette a nudo l’anima dello haijin e chiede al lettore di completarne l’opera continuando con riflessioni proprie. Si tratta di veri e propri componimenti dell’anima che raccontano molte cose come l’emozione legata alle stagioni oppure la precaria esistenza umana.
Ogni haiku si attiene a dettami molto precisi quali per esempio l’indicazione stagionale, la metrica oltre all’indicazione di non inserire mai il titolo e nemmeno il punto fermo finale, proprio perché il finale è aperto e lasciato al lettore. Sono nati in Giappone e hanno poi trovato consenso presso autori appartenenti a diversi paesi stranieri. Basti pensare ai molti autori del Novecento che si sono ispirati a questa forma poetica come Ungaretti e Quasimodo in Italia.
Nel XVII secolo cominciò a diffondersi la poesia breve giapponese, “tanka”, prendendo il posto dei componimenti più lunghi chiamati “chōka”. In particolare si ipotizza che gli haiku originariamente costituissero la prima strofa di un renga o “poesia a catena”, una poesia scritta a più mani in cui ogni poeta che vi partecipa prosegue la composizione, completando i versi precedenti. Il renga è uno stile poetico nato nel XV secolo che alterna due tipi di strofe: la prima è composta da tre versi di 5, 7 e 5 sillabe ciascuno, ed è da questa che deriverebbero gli haiku; l’altra, da due versi da 7 sillabe. Inizialmente gli haiku furono chiamati hokku, letteralmente “strofa d’esordio” (del renga, appunto) e fu solo verso la fine del XIX secolo che lo scrittore giapponese Masaoka Shiki coniò l’attuale nome di “haiku”.
A permetterne la diffusione fu la scoperta che la prima strofa di questi componimenti, da sola, non perdeva né lo slancio lirico e neppure la suggestività, anzi, era proprio questa essenzialità che ne esaltava il carattere contemplativo e soprattutto l’importanza del “non detto”. Sono componimenti dai toni semplici che però esprimono il punto di arrivo di una meditazione interiore. Si tratta cioè di una vera e propria esplosione di sensazioni che servono a focalizzare l’attenzione del lettore su un singolo avvenimento isolandolo dal quadro generale. Fondamentale resta la ricerca di una relazione con la natura. L’obbiettivo di maestri come Matsuo Bashō, Kobayashi Issa e Masaoka Shiki è quello di cercare di esaltare gli avvenimenti quotidiani, quelli che generalmente si danno per scontati, creando un vuoto intorno all’immagine evocata affinché nulla risulti insignificante. Si genera così nel lettore qualcosa di molto simile allo stupore e alla meraviglia che porta a leggere significati nascosti anche negli spazi bianchi, appunto il “non detto” che va scoperto attraverso la riflessione e la meditazione.
I principali sentimenti che ispirano gli scrittori di haiku sono in genere la solitudine (wabi), lo scorrere inesorabile del tempo (sabi), il mistero (yugen), la delicatezza (shiori), la leggerezza (karumi) e la nostalgia (mono no aware). Soggetto ricorrente in questo genere poetico è la natura che, attraverso la sua bellezza, riesce a suscitare profonde emozioni in chi legge. Le descrizioni seppure concise e fugaci “colgono l’attimo”, catturano e trasmettono intense e ricche suggestioni come può essere la pioggia che cade sulle foglie oppure un fiore che si piega nel vento.
Di solito, il primo verso dell’haiku definisce il contesto tramite un riferimento stagionale, il kigo o “parola della stagione”, il secondo e il terzo verso, invece, evocano la sensazione; in particolare, il terzo chiude il componimento ma lascia il discorso in sospeso per lasciare al lettore il piacere di dare libero sfogo al proprio sentire. Spesso, i componimenti haiku contengono almeno un kireji, letteralmente “parola che taglia“, che generalmente si trova al termine del primo o del secondo verso. Si tratta di un ribaltamento semantico o concettuale, un salto tra concetti e immagini apparentemente privi di connessione.
Chiunque può avvicinarsi a questa forma di poesia carpendo poche, semplici e fondamentali regole. Non c’è necessità del titolo; la metrica consiste di 3 versi, 17 sillabe suddivise secondo la struttura 5-7-5; bisogna inserire un kigo, cioè un riferimento a una delle quattro stagioni dell’anno che si può fare nominando direttamente la stagione oppure in modo da intuirlo implicitamente. Sembra facile, in realtà bisogna entrare in un modo tutto nuovo di fare poesia e certamente per chi ama perdersi in particolari non è il genere più amato. In un mondo che va tanto di fretta invece è un ottimo spunto per fermarsi a riflettere e meditare su quei soli 3 versi che racchiudono significati molto profondi da cercare anche e soprattutto in sé stessi.
Due sono gli stili differenti con cui scrivere un haiku. Si può anticipare il tema della poesia nel primo verso per poi svilupparlo in quelli successivi o, in alternativa, si può scegliere di presentare due temi in contrasto o in armonia tra di loro. L’importate è mettersi in gioco connettendosi con il proprio io e cercando le parole per trasmettere emozioni ricordando che il tutto si deve esprimere in soli tre versi!
Alcuni esempi di haiku tra quelli più pieni di significato soprattutto per il “non detto” scritti da grandi autori.
- La campana del tempio tace,
ma il suono continua
ad uscire dai fiori (Matsuo Basho) - Mondo di sofferenza:
eppure i ciliegi
sono in fiore (Kobayashi Issa) - Le nubi di tanto in tanto
ci danno riposo
mentre guardiamo la luna (Matsuo Basho) - Il tetto si è bruciato:
ora
posso vedere la luna (Mizuta Masahide) - Ciliegi in fiore sul far della sera
anche quest’oggi
è diventato ieri (Kobayashi Issa) - Fredda più della neve
è sui capelli bianchi
in inverno la luna (Naito Joso)
Margherita Bonfilio
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