MILANO – A volte quando si parla di poesia si pensa ai versi in rima e a quelle studiate a scuola (che spesso ci sono risutate indigeste). E così la prima reazione è quella di chi, infastidito e annoiato, non vuole sentirne parlare. Poi capita, per puro caso, di ascoltarne qualcuna durante un reading organizzato in una LibrOsteria o in un Bistrot dove ci si è recati per mangiare, bere e “fare serata” in modo diverso e allora si cambia opinione.
Sì, perché in questi locali, ci vanno i poeti contemporanei, quelli che non si annoverano tra i grandi letterati, poeti che hanno tanto da dire e condividere e che vivono una vita normale da operaio, impiegato o da lavoratore precario qualsiasi. Nei loro scritti emozioni, sensazioni, pensieri che nascono guardando un tramonto, un gabbiano che vola a pelo sull’acqua o semplicemente un ventilatore, che in un pomeriggio torrido, dona sollievo e stuzzica la mente. Poeti che di fronte a problemi sociali si esprimono per far sentire la propria voce di condanna, di rabbia, di denuncia.
Perché la poesia o meglio l’arte poetica vuole essere vita, non può fare a meno di affrontare il quotidiano e lo deve fare cercando di riflettere sui grandi temi esistenziali con la rappresentazione cruda della realtà in cui siamo costretti a vivere. La voglia di denuncia sfocia spesso nei Poetry Slam, sfide performative tra poeti che si appropriano di un microfono e tra il brusio generale di chi in allegria mangia a beve, levano la voce e mettono a nudo la propria anima senza paura di mostrarsi. L’ambiente si scalda e i versi si susseguono sempre più intensi e la voce diventa più ferma e suadente, oppure arrogante a sottolineare idee dal colore più fosco.
Non solo questo è poesia. La poesia è fatta di parole che nel cuore della notte martellano nel petto e nella testa e vogliono trovare sfogo su un pezzo di carta, subito, perché poi potrebbe essere troppo tardi. Parole che prendono corpo e forma man mano che si fissano sul foglio, oppure sul blocco note del cellulare che tanto si ha sempre a portata di mano. Poesia che cura quella che sgorga quando si attraversano momenti talmente bui da sentirsi fagocitati dagli eventi, poesia che lenisce le ferite di un cuore afflitto. Poesia che cura durante la malattia. Tutti possono diventare poeti verseggiatori, basta avere il coraggio di guardarsi dentro e di tradurre le emozioni in parole che diventano piccoli versi.
“La poesia è scommessa, avventura, follia, ribellione, è forse l’unica cosa che può impedire all’uomo di diventare un robot o uno zombi”. La poesia nasce dalla rilettura dei classici in modo critico o forse da un atteggiamento un po’ indulgente verso chi non avrebbe mai immaginato cosa saremmo diventati. Eppure in quei versi a ben guardare c’è ancora tanta attualità, perché l’animo umano, sebbene i tempi e le mode cambino velocemente mantiene nel suo intimo sempre gli stessi sentimenti. Ciò che cambia è il modo di esprimerli. Da qui la nascita della nuova corrente poetica denominata “Realismo terminale” di cui Guido Oldani è l’ideatore. Per Oldani gli oggetti, di cui molto spesso nel mondo moderno gli esseri umani sono schiavi, diventano i soggetti e gli esseri umani diventano il complemento oggetto. Per il maestro Oldani il rapporto ravvicinato tra corpi umani e oggetti si può definire Realismo. Ma perché “terminale”? Terminale non in senso drammatico terminale, perché alla fine comunque gli uomini si adatteranno ai cambiamenti e la storia andrà avanti. Molto spesso questa è una poesia ironica basata sulla similitudine rovesciata dove il paragone cade sull’oggetto, piuttosto che su un qualche elemento naturalistico.
Questa è la nuova poesia, quella che pare stia catturando l’interesse di molti giovani che si ritrovano in questo modo di pensare e di esprimersi.
Margherita Bonfilio
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