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Il museo di Guido Scesi, l’ultimo dei Borboni

di | 2020-09-27T07:03:37+02:00 27-9-2020 6:05|Attualità, Cultura, Sezione 2|3 Comments

CIVITELLA DEL TRONTO (Teramo) – Quando gli si chiede cosa significhi essere uno degli ultimi borbonici sorride sotto i baffi. Guido Scesi, infatti, fondatore e direttore del Museo “Nina”, è consapevole del fatto che questa definizione non abbia più senso. “E’ anacronistica – sottolinea – ma devo ammettere che discendere da una delle due ultime famiglie nobiliari legate al re di Napoli mi riempie di orgoglio perché la storia di questo borgo, tra l’altro classificato come uno dei più belli d’Italia, è troppo importante e bella per essere dimenticata”. E ne ha ben donde, Scesi, dal momento che Civitella del Tronto, una perla architettonica appoggiata sulla splendida e verdeggiante Val Vibrata dove vivono circa 5mila abitanti tra le Marche e l’Abruzzo, proprio per essere una città di confine ha avuto un ruolo chiave dal 1500 all’Unità d’Italia anche se è nota nella storia ufficiale (quella che si legge sui libri, insomma), solo per essere stata l’ultimo baluardo borbonico contro i garibaldini.

Guido Scesi, direttore del Museo Nina

Alle camicie rosse, infatti, resistette grazie alla sua fortezza, unica nel suo genere in Italia e che fece da modello per alcune tra le più grandi d’Europa. Resistette ben tre giorni dopo la proclamazione, il 17 marzo 1861, dell’unità d’Italia lasciando di sé la memoria di questa impresa ormai senza speranza per proteggere un sistema politico – quello borbonico – e un’epoca ormai al termine: in una parola l’ancien regime. Prima di questa data, però, i fasti della cittadella affondano nel Rinascimento quando, nel 1557, Filippo II d’Asburgo la trasformò in una città fortezza riconoscendole il ruolo strategico nel controllo del confine, trovandosi essa nella parte più settentrionale di quel regno che pur cambiando nome (prima sotto gli Svevi, poi gli Asburgo e quindi i Borboni), tenne per secoli la penisola divisa a metà dalla Sicilia fino a quel luogo incantevole nella Val Vibrata, appunto. Il nuovo ruolo assegnatole conferì, architettonicamente, anche una nuova forma al borgo che venne racchiuso dentro mura difensive facenti parte di una struttura imponente, con tre piazze d’armi, ambienti militari, uffici, stalle, servizi, una chiesa, edifici che si articolano per una lunghezza di 500 metri su una superficie di 25mila metri quadri circondata da un camminamento perimetrale che si affaccia su un panorama mozzafiato: un capolavoro di edilizia militare che rende il minuscolo borgo il sito più gettonato d’Abruzzo con i suoi 45mila visitatori annui. E quindi, come non approfittarne?

Guido Scesi, un po’ innamorato del suo luogo d’origine e un po’ attratto, legittimamente, dal possibile business, nel 2015 ha aperto il Museo Nina e ha centrato l’obiettivo perché al visitatore che arriva a digiuno di informazioni è proprio lì che viene la voglia di studiarsi un po’ la storia di questo magico posto. I circa 900 pezzi esposti in tre sale, nel museo di corso Mazzini, raccontano la vita quotidiana della società che visse dal 1816 al 1861 nel borgo, divenuto ormai un centro amministrativo del regno, forse uno dei più importanti essendo in una posizione strategica pressoché unica. Abiti, mobili, salotti, cristallerie, divise militari, arredi fanno riascoltare i rumori e le voci, il trotto dei cavalli lungo le strade dove si svolgeva il lavoro di funzionari, militari, burocrati che intessevano rapporti diplomatici, elaboravano strategie difensive, ospitavano personaggi illustri per discutere di politica ed economia. Gli abitanti di Civitella erano tutti dipendenti direttamente dal re e quindi erano facoltosi e avevano il gusto di sfoggiarlo, questo benessere. Poi c’erano le loro famiglie, con le abitudini e i passatempi, i vezzi di un’alta società che non si faceva mancare nulla.

“Nina” Graziani Scesi

Così nel museo, indossati da manichini, sono esposti gli eleganti abiti che indossavano le signore negli incontri di rappresentanza o alle feste o al passeggio. E ancora, camicie da notte impreziosite da trine e merletti, divise, abiti per bambini, macchine da cucire, soprammobili di lusso: tutti oggetti di fattura raffinata e provenienti dalle città più alla moda d’Europa perché la nobiltà civitellese non si contentava di avere il meglio delle merci che circolavano nel Regno, come chi viveva nella più famosa Napoli o a Palermo. “Beh, sì – racconta Guido Scesi – i nobili di qui pretendevano anche l’esclusività dei modelli e dei materiali, sia nell’abbigliamento che negli accessori”. Gente un po’ snob, insomma, quella che viveva nel borghetto, con quella “puzzetta sotto il naso” che caratterizza chi sa di avere una posizione privilegiata e di poterselo permettere perché i soldi ci sono. Ma anche dedita al lavoro e pragmatica, consapevole di avere un ruolo determinante nel mantenimento dello status quo: il potere di quei borboni che dall’Unità d’Italia in poi quasi non si potranno nominare e su cui è stato lanciato l’anatema anti- restaurazione, la damnatio memoriae a protezione dell’unità conquistata.

“Non sono un nostalgico, per carità – assicura il direttore – però stiamo parlando dell’età dell’oro di questo posto e ritengo giusto che questo passato rimanga a suggello della nostra cultura, che per avere questa origine ha una sua innegabile peculiarità”. Così nel Museo di Nina, dedicato a Gaetana (detta Nina) Graziani Scesi, nata nel 1914 da una famiglia borbonica ed era sua nonna, Guido continua il lavoro di raccolta di oggetti che lei stessa aveva iniziato per immortalare romanticamente quell’epoca e raccontarla ai posteri. Imbarcatosi da solo in questa avventura, Guido ha poi fondato un’associazione e collabora con il Comune per l’organizzazione di eventi culturali e manifestazioni. In pratica, quello che può ritenersi a diritto “l’ultimo dei Borboni”, cerca di mantenere il ruolo centrale che Civitella del Tronto ebbe in passato, ne fa un motivo di vanto ma dal punto di vista culturale e turistico. E ne vale la pena perché di quei tempi, nel borgo, è rimasta l’aria che si respira tra le stradine che si inerpicano su su fino alla fortezza, nelle piazze d’armi deserte e assolate in cui risuonano i passi dei militari in marcia o che caricano i fucili. Di borbonico c’è solo il ricordo di un tempo che fu, con il suo fascino che riporta ai fasti di Tomasi di Lampedusa e di Federico De Roberto.

La popolazione, oggi, viene da fuori, magari dalle città più vicine in cerca di una qualità della vita più sana e non c’è alcun rigurgito di restaurazione. Del resto non poteva essere altrimenti. Ma una certa pretesa di esclusività è rimasta, in chi vive in quel luogo ameno, sospeso tra la terra e il cielo, tra nord e sud, tra le Marche e l’Abruzzo. Lo ricorda Guido, scherzando e con un’attenzione all’aspetto turistico di quest’ultima questione “caratteriale” degli abruzzesi di Civitella che ci tengono ancora ai loro confini ma in un particolare settore. “In effetti ci è rimasto un certo snobismo – fa notare il direttore del Museo – ma nella gastronomia, su cui non si transige”. L’orgoglio abruzzese, infatti, tiene severamente le distanze in cucina. Guai, quindi, parlare nella perla della Val Vibrata di olive ascolane riempite di carne cruda e tipiche del capoluogo marchigiano che dista soli 20 chilometri. Mai potrebbero competere con quelle abruzzesi, con carne cotta. La stessa cosa valga per i vincisgrassi marchigiani e il timballo abruzzese. Sempre di pasta al forno si tratta ma è nel sugo, nel modo di fare la sfoglia che risiede la peculiarità: insomma in tutti quei particolari che si possono sperimentare nelle cucine casarecce e nei ristoranti della Val Vibrata, ultimo baluardo della tradizione borbonica che nessun italiano si sognerebbe mai di abbattere.

Gloria Zarletti

3 Commenti

  1. Alessandra zagnoli 27 settembre 2020 at 13:32 - Reply

    Caspita!!! Bravissimi!!!

  2. Licio Casalena 27 settembre 2020 at 20:02 - Reply

    Grande Guido , davvero l’ultimo dei Borboni !
    Quanta nostalgia , quanta tenerezza nell’ammirare quelle preziose cose di un tempo ! Grazie amico per il tuo coraggio , il rispetto e l’amore dimostrato e , perché no ? , l’onere profuso !
    Che Dio ti benedica e ti protegga !

  3. Lina modesti 15 ottobre 2020 at 21:01 - Reply

    Grande Guido! Ti ho visto crescere nel residence “La Colombaia” a Pescara. Presto verrò a visitare il tuo gioiello.

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