I numeri, innanzitutto. In Italia, tutte le settimane, ogni ristorante o pizzeria butta tra i due e i cinque sacchi da 220 litri di scarti alimentari; inoltre, l’11% dei consumatori italiani dichiara di non consumare tutto il cibo servito e per il 68% la maggiore responsabilità è delle porzioni troppo grandi. Uno spreco enorme che fa visibilmente a pugni con situazioni sempre più diffuse di difficoltà a mettere insieme il pranzo e la cena in tante famiglie. E qui non si parla della situazione in Africa o in Paesi sottosviluppati: si parla della nostra terra dove la povertà si sta diffondendo in maniera preoccupante.
Gli sprechi alimentari sono una vergogna da combattere perché sintomo di superficialità, se non di aridità d’animo. Quante volte accade che per bimbetti di 6-7 anni si ordini una pizza intera e nel piatto ne resti la metà, se non di più? E dove finisce quel che rimane non consumato? Nella spazzatura, ovviamente. Basta essere oculati e per due ragazzini chiedere una sola pizza, da dividere a metà. E ammesso che possano avere ancora fame, solo allora si chiederà altro al cameriere. Stili di vita sbagliati e improntati al più becero dei consumismi.
“In media nel nostro Paese ogni settimana dalle cucine di ogni ristorante o pizzeria finiscono in pattumiera oltre 600 litri di scarto”, spiega Milvia Panico, responsabile Csr di Metro Italia, che ha condotto (in collaborazione con Bocconi Green Economy Observatory) una ricerca sullo spreco alimentare nella ristorazione. In media, sprecano di più le regioni del Centro Italia e la Sardegna; con cinque sacchi ogni settimana, i ristoranti che buttano via più cibo sono quelli etnici, seguono con due sacchi le pizzerie, i ristoranti italiani e i ristoranti pizzeria.
Le cose però stanno cambiando perché molti ristoratori si stanno organizzando per ridurre sensibilmente la quantità di scarti e di rifiuti. La soluzione più utilizzata è la famosa “doggy bag”, letteralmente la borsetta per il cane in quanto una volta negli Stati Uniti si raccoglievano in una sporta gli avanzi del ristorante per portarli a casa e farli mangiare al cane. Oggi, non è più così, anche in Italia: il cibo viene messo in contenitori e poi consumato tranquillamente tra le mura domestiche. Anche in questo caso i numeri parlano chiaro: il 32% dei ristoratori la offre sempre, mentre il 53% solo su richiesta. In realtà, si scopre pure che l’86% degli avventori ritengono utile l’asporto, ma nei fatti vi ricorrono solo raramente, per imbarazzo o scarsa praticità di utilizzo.
Un’altra strada è il tentativo di andare incontro alle esigenze dei consumatori con porzioni differenziate: l’80%, infatti, chiede quantità ridotte, con prezzi proporzionati. I più propensi ad assecondare il consumatore in questo senso sono i ristoratori del Nord Est (65%), i meno propensi sono quelli del Sud (25%). Non mancano metodi per riutilizzare la materia prima non consumata: il più in voga e apprezzato dai consumatori (61%) è l’offerta di un antipasto di benvenuto preparato con eccedenze della cucina. I ristoratori del Nord Est sono i più pronti verso questa soluzione (50%) al pari dei consumatori dello stesso territorio, che per il 46% si esprime a favore di un antipasto antispreco.
Infine, si affacciano sul mercato le soluzioni più smart, tra cui la possibilità di donare o vendere il cibo cucinato ma non venduto attraverso applicazioni che mettano velocemente in contatto domanda e offerta. Gli strumenti utilizzati sono diversi: c’è chi utilizza app o piattaforme per l’acquisto di prodotti in eccedenza da catene di distribuzione e/o fornitori (17,4%); chi app o piattaforme per vendita o scambio di eccedenze con altri locali (6,4%), chi ancora usa piattaforme per le donazioni (15,6%).
Insomma, si nota che la sensibilità verso questo tipo di problematiche è in deciso aumento sia parte dei cittadini-consumatori che da parte delle imprese. Bisogna insistere: è una questione di civiltà.
Buona domenica.
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