NUORO – Mi sono laureata il 13 marzo 1991 a Sassari, in un assolato pomeriggio. Dopo pochi giorni, il 2 aprile, ho ricevuto il mio primo incarico presso i Geometri di Lanusei, allora sede staccata dei Geometri di Nuoro. Ero una ragazzetta acqua e sapone, appena ventiduenne, con una lunga treccia che cadeva pesantemente sulle spalle, una grande energia e tanti sogni e speranze da condividere. Da allora di anni ne sono trascorsi tanti, ho cambiato diverse scuole prima di passare di ruolo ai licei, ma l’entusiasmo di allora ancora mi contraddistingue. Non potrei svolgere la professione che reputo la più bella del mondo se, ogni mattina, non fossi presa dal “fuoco sacro” della curiosità e della voglia di mettermi in gioco.
Molti affermano che fare l’insegnante sia il mestiere più bello del mondo ed in parte è vero, perché si è a contatto con il futuro del mondo. Ed è stimolante, perché, se fatto come va fatto, obbliga al continuo aggiornamento delle conoscenze e delle proprie convinzioni. I primi anni, inesperta e un po’ impaurita, lavorare nei paesi è stato molto motivante ed è stato un vero trampolino di lancio. Trovarsi in classe ragazzi di poco più piccoli di te, che non avevano alcuna esperienza della vita, che con te per la prima volta scoprivano il piacere della lettura e della scrittura, l’emozione di un viaggio alla scoperta del territorio vicino o lontano, che a te si affidavano come fossi un paracadute senza remore, senza incertezze, sicuri che “Tu” saresti stata pronta a tendere loro una mano, ad aprire il tuo cuore, a rispondere ai loro bisogni e a fugare dubbi e difficoltà mi ha aiutato a diventare la docente che sono oggi e a credere ogni giorno di più che “questo lavoro” non si può fare per lo stipendio, ma solo se veramente si ama ciò che si fa.
Ma oggigiorno la scuola si è trasformata in un’azienda, i vecchi presidi in dirigenti scolastici spesso rigidi e algidi, si rischia continuamente lo stress e il burn out, non per i ragazzi, ma per la struttura burocratica soffocante che imbriglia anche le nostre migliori intenzioni e, anzi, spesso le mortifica. Se non fosse per le soddisfazioni che ho avuto in questi anni dai ragazzi, avrei potuto pensare di “gettare la spugna”. E sono proprio loro quelli per cui vado avanti, nonostante gli sgambetti che team dirigenziale o alcuni colleghi possono farti quotidianamente, perché grazie a loro, mi sento appagata, con loro ho un feeling piacevole, con loro arrivo allo scontro ma mai alla rottura e attraverso il dialogo e la stima reciproca, alla fine, arriviamo a ottenere i risultati sperati, a vincere le frustrazioni, a raggiungere i traguardi prefissati e a instaurare un piacevole dialogo educativo e didattico costruttivo per entrambi.
Dopo 28 anni di carriera, che non sono comunque pochi, per gli studenti, sono stata testimone della loro trasformazione, in alcuni casi addirittura di una metamorfosi profonda. Ho tentato di profondere nel mio rapporto con loro una grande passione, limitata solo da difficoltà contro le quali è davvero arduo, talvolta, non arrendersi, e spero di avere la forza, per gli anni che ancora avrò da trascorrere nel mondo della scuola, di avere l’energia necessaria per superare tutte le difficoltà che mi si presenteranno nel mio cammino. Ho avuto dal destino questo grande privilegio, poter insegnare, non solo motivando gli studenti ad imparare, ma cercando di insegnare loro come imparare, cercando di trasmettere un metodo valido e significativo che costituirà, spero, un’eredità preziosa anche per gli studi successivi, trovando l’equilibrio perfetto tra autorevolezza e flessibilità.
Ritengo che il docente sia come un direttore d’orchestra: sa che gli studenti sono come strumenti musicali tutti diversi, ognuno a suo modo meraviglioso. Nei miei anni di insegnamento, sbagliando e correggendomi, ho capito che il mio compito, per essere efficace e proficuo, doveva indurmi a scoprire e valorizzare le potenzialità di ognuno, permettendogli di spiccare in armonia con gli altri. Per questo auguro a tutti i ragazzi di poter concretizzare i loro sogni ma, soprattutto, spero che possano dedicare il loro impegno al compito più arduo da svolgere: fare l’impossibile per essere felici. E’ per loro che vale la pena alzarsi la mattina e andare a lavorare, nonostante il contratto non ci gratifichi e il clima che si respira negli anditi spesso abbia un profumo acre e nauseabondo. A tutti i miei allievi passati e presenti, alcuni ormai uomini e donne fatti, padri e madri di famiglia, professionisti o ancora studenti, grazie per avermi fatto sentire e per farlo ancora tutt’oggi non un impersonale professionista della didattica ma un essere umano, a volte sottolineando, e non sempre sommessamente, i miei limiti, che sono parte della incompletezza dell’uomo ma, molto spesso, gratificando il mio lavoro.
Nel mio lavoro tento sempre di agire facendo il possibile per non cedere solo ad un processo di mero trasferimento di nozioni, perché, come ci ha insegnato Antonio Gramsci, gli studenti non hanno bisogno di “freddi alchimisti di parole”, ma di “comprensione, intelligenza e simpatia piena d’amore”. E che dire dei colleghi, alcuni anonimi ma altri negli anni sono diventati cari amici e collaboratori preziosi che come me continuano con coraggio a coltivare e a tenere in vita la scuola, nonostante i reiterati tentativi di sminuirne l’importanza e di vanificarne gli sforzi. A loro non posso che dire grazie. Da loro ho imparato molto, sebbene molto rimanga da apprendere. “Noi non siamo più quella forza che nei giorni andati muoveva terra e cielo- diceva Alfred Lord Tennyson nell’Ulysses – ciò che siamo, siamo; un’unica tempra di cuori eroici, resi deboli dal tempo e dal destino, ma forti nella volontà di combattere, di cercare, di trovare, e di non arrendersi.”
Virginia Mariane
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