MILANO – Chiunque viva in una grande città avrà incontrato anziani che hanno un evidente bisogno di parlare: ti fermano solo per dirti che magari fa caldo o che anche loro da giovani indossavano un vestito proprio come il tuo; può capitare persino che ti chiedano di usare il loro bancomat per un prelievo, perché hanno dimenticato gli occhiali a casa. Allora li aiuti, li ascolti, dici loro di non fidarsi così totalmente di coloro che incontrano. Quanta tenerezza e tristezza suscita il vederli poi seduti sulle panchine dei parchi, mentre sembrano guardare il vuoto; ma forse, nella loro solitudine, stanno passando in rassegna i fotogrammi di una vita che non c’è più, degli affetti che sono scomparsi o peggio dei cari che li hanno semplicemente dimenticati, quasi fossero vecchi oggetti da riporre in solaio.
Fa male leggere quindi che degli ospiti di una RSA di una città come Milano, all’avanguardia per tanti aspetti, siano morti arsi vivi o soffocati dal fumo a causa di un incendio provocato da una sigaretta accesa incautamente da una degli ospiti della struttura. Le fiamme, hanno riportato le cronache, si sono innescate in una stanza avvolgendo materassi e coperte e sprigionando un fumo denso e soffocante. L’esplosione di una bombola d’ossigeno ha fatto poi da accelerante. Stupisce che non ci fosse un medico di guardia, i professionisti in servizio avevano rassegnato le dimissioni e non erano stati ancora sostituti; lascia sgomenti il fatto che l’impianto di rilevazione dei fumi fosse guasto da un anno e che la gara d’appalto, indetta dal Comune di Milano per i lavori di riparazione e chiusa nel maggio scorso, fosse stata bloccata dopo che la società vincitrice era stata colpita da un’interdittiva antimafia; situazioni che l’indagine aperta per omicidio plurimo colposo, mentre sono già partiti i primi avvisi di garanzia, accerterà.
Indigna maggiormente, tuttavia, che non ci sia stata consapevolezza tra i dirigenti di una struttura del genere di quanto i soccorsi, nella malaugurata ipotesi di incidenti, debbano essere tempestivi. Le immagini di tante sedie a rotelle in fila ed “inanimate” nei corridoi anneriti della RSA “Casa per coniugi” lasciano presagire che in tanti avessero difficoltà a deambulare e questo suscita ulteriori dubbi sulle misure adottate. Nel mondo classico la vecchiaia, in genere, non veniva percepita positivamente né tantomeno lodata nelle varie espressioni artistiche, ma il γέρων (“gheron”) l’anziano rappresentava l’emblema della saggezza raggiunta grazie agli anni ed alle tante esperienze vissute.
Nell’epica ci sono figure statuarie di dignitosa e canuta bellezza, basti pensare a Priamo, vecchio padre affranto che, nell’ultimo libro dell’Iliade, chiede in ginocchio la restituzione del corpo del figlio Ettore al valoroso Achille, che lo guarda senza parlare, affascinato dalla forza delle sue parole. Il re Priamo implora con coraggio il nemico per un corpo esanime da onorare; Achille, messa da parte la sua ira e spinto dalla pietas, pensa al suo anziano genitore Peleo, rimasto solo in patria e privo dell’aiuto dell’unico figlio. Alla fine i due si stringono in un abbraccio e piangono: immagine commovente dell’incontro rispettoso di generazioni diverse che non trova, a dire il vero, un identico corrispettivo né nel mito né nella lirica, dove la vecchiaia è considerata una disgrazia e vissuta come una malattia.
La dea Aurora, quando si innamora del giovane e bellissimo Titone, si rivolge a Zeus ed ottiene per lui l’immortalità; ma dimentica di chiedere anche l’eterna giovinezza. Titone è così destinato a un infinito invecchiamento, tanto che Aurora, vergognandosi per il suo sopraggiunto aspetto senile, lo relega nel talamo e così alla fine Zeus lo trasforma in cicala. Stessa accezione della terza età nella letteratura latina, Senectus ipsa est morbus (la vecchiaia in sé costituisce una malattia), scriveva Terenzio nella commedia Phormio (Formione 160 a. C.). A questa stagione della vita si riconosceva in definitiva soltanto la grande qualità, acquisita con il tempo, della saggezza. Cicerone, nel “De Senectute” (La vecchiaia, 44 a.C.) sosteneva che non bisognasse badare soltanto al corpo, ma molto più ancora alla mente e all’animo: anche questi infatti, si spengono con l’età senile se non opportunamente stimolati (lo stesso Cato Maior, il censore, autodidatta della lingua greca da vecchio ne è un esempio nell’opera) e lodava “quella vecchiezza salda sui fondamenti posti nella giovinezza”.
Oggi sono cambiati i limiti antropologici ed i modelli etici, grazie a standard alimentari migliori, a stili comportamentali più corretti ed ai progressi della medicina; elementi tutti che hanno allungato le aspettative di vita, ma non hanno proporzionalmente garantito dignità a coloro che sono più avanti negli anni, anzi meglio “che sono più ricchi di anni”. Si parla di vecchiaia solo come improduttività, non come saggezza e le politiche per la cosiddetta terza età restano latitanti; ma soprattutto manca una generale percezione etica di rispetto nei confronti degli anziani che hanno quasi portato a termine la sfida della vita. Il più delle volte ci si limita a medicalizzarli e relegarli in istituti specializzati o sedicenti tali, dal momento che se non si è più funzionali, non si è più utili.
Si aggiungano i ritmi frenetici di lavoro, il cambiamento della condizione femminile e della struttura patriarcale della famiglia, in cui gli anziani ricevevano cure ed affetto, ormai sostituita da quella mononucleare composta da due individui senza figli o addirittura da un single. Non desta meraviglia, quindi, che poi possa succedere che gli anziani subiscano violenze psicologiche e fisiche da personale non specializzato e sottopagato o che addirittura, in casi estremi, possano divenire vittime sacrificali di nuovi olocausti (dell’aggettivo greco ὁλόκαυστος/olòcaustos «bruciato interamente»), come per le vittime della RSA milanese.
Intanto il mondo corre, non ascolta e continua a celebrare modelli senza passato e senza storia, inseguendo la vacuità di un improbabile elisir di eterna giovinezza.
Adele Reale
Nell’immagine di copertina, i soccorsi dopo il rogo in una Rsa di Milano
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