SIRACUSA – Nel 2018, nella notte tra il 28 e il 29 ottobre, le foreste italiane, a causa di eventi atmosferici straordinari, hanno subito danni inestimabili: la tempesta “Vaia”, caratterizzata da intense piogge e raffiche di vento oltre i 150 km/h, ha provocato la distruzione di più di 40.000 ettari di foreste.
Sono stati abbattuti tanti alberi quanti se ne tagliano normalmente in 5-7 anni. Le regioni più colpite sono state Veneto, Trentino-Alto Adige e Friuli Venezia Giulia. È proprio in queste regioni che sono concentrate le foreste da cui si producono i 2/3 del legno da opera italiano; una vasta superficie che è andata sempre più crescendo a seguito dell’abbandono dell’agricoltura nelle aree montane più marginali. Molte delle superfici colpite dalla devastazione erano costituite da foreste fragili (impianti artificiali, boschi coetanei e monospecifici, cure inadeguate), ma il fattore principale che ha scatenato il fenomeno sembra essere imputabile ai mutamenti climatici in atto.
La valle del bellunese più colpita, il Fodom, è stata paragonata alla Tunguska, una regione della Siberia che nel 1908 fu colpita da una esplosione devastante che abbatté circa 60 milioni di alberi e sulle cui cause gli esperti non hanno saputo dare una spiegazione precisa: esplosione di una bomba atomica, invasione di alieni, buchi neri, meteoriti e comete.
In entrambi i casi si sono avuti gli stessi risultati: centinaia di migliaia di alberi divelti, sparsi sul suolo come stuzzicadenti usciti da una scatola. Gli alberi abbattuti si trovano soprattutto nelle zone più basse delle valli, nelle quali minore era il terreno a disposizione. Sono stati distrutti gli abeti rossi della val Visdende (Veneto) e della Val di Fiemme (Trentino) utilizzati per i famosi violini “Stradivari”; distrutti anche i faggi “da remi” della foresta del Cansiglio (Veneto), già materia prima della flotta della Serenissima, e gli abeti rossi e bianchi della Carnia (Friuli Venezia Giulia).
Ci vorranno almeno 60 anni prima che alcune aree recuperino i loro alberi, le frane rallenteranno la crescita dei nuovi alberi, ma il nemico più temuto sarà il Tipografo o Bostrico dell’abete rosso, un coleottero che si nutre dei tronchi e che, durante la stagione calda, può proliferare e minacciare anche gli alberi rimasti “sani”.
Tra le iniziative intraprese per utilizzare questi tronchi è certamente degna di essere menzionata quella dello chef Stefano Basello: dopo aver chiesto le dovute autorizzazioni, Stefano si è messo al lavoro per recuperare la corteccia degli abeti bianchi e rossi ed estrarne le parti commestibili. Da queste cortecce, infatti, si può ricavare una specie di farina e produrre un tipo di pane buono e croccante. Un gesto di sensibilità e rispetto da parte di Stefano che, come lui stesso ha affermato, può “far rivivere qualcosa di estremamente prezioso che, purtroppo, non ci sarà più”. Le farine ricavate da corteccia e radici, si producevano già in tempi passati, quando i contadini le utilizzavano per sfamarsi in quanto molto nutrienti e ricche dal punto di vista organolettico e per questo denominate farine “di sussistenza”.
Diverso il destino degli alberi abbattuti in Carnia: diventeranno la scenografia di un’opera di Euripide, Le Troiane, in scena presso il teatro greco di Siracusa dal 10 maggio al 23 giugno 2019: anche in questo caso la scelta di utilizzare il legname reciso ha un profondo significato di rinascita.
Rosalba Rosano
Lascia un commento