MILANO – Una sfera luminosa, il cerchio che non ha inizio né fine, simbolo del perpetuo, una luce che abbaglia lo spettatore anche profano e al credente svela un linguaggio che ha il suono di divino. Sfogliare il catalogo di Giuseppe Siniscalchi significa immergersi nell’intimità di un artista che da raccontare ha tanto e lo fa attraverso un messaggio pittorico a tratti sfumato, impressionistico, a tratti netto, chiaro con figure umane più geometriche, ripiegate su se stesse in una sorta di meditazione che viaggia verso l’alto, come una preghiera. Un linguaggio sofisticato e simbolico, intellettuale e complesso all’apparenza ma che arriva d’impatto anche ad un pubblico eterogeneo.
Anche un osservatore non strutturato, come un bambino ne apprezza l’impressione visiva e ne coglie il messaggio di pace, fraternità e interculturalità. Proprio i bambini, infatti, sembrano comprendere la purezza del racconto di Siniscalchi e sono tra i fruitori più attivi della sua arte e con i loro contributi fonte di ispirazione. La Luna wa (di pace) e il Sole wa (di pace) sono i protagonisti maggiormente presenti nelle opere di Siniscalchi: la tela mezzo del racconto a tutto tondo non mostra il suo messaggio solo frontalmente ma si volta, svelando un altro aneddoto nascosto nel suo “verso” opposto. La sua verità.
Da qui nasce il Fronteversismo, un arte, anzi un manifesto, che non vuole confinare un pensiero solo in un verso, ma vuole spiegare al lettore/spettatore il “retro” racconto: l’essenziale non visibile. Una pennellata, un fiorellino, un accenno di figura. Nel Fronteversismo si avverte un fil rouge conduttore che sembra seguire un linguaggio iniziato nei primi del ‘900 ma lo fa con un’altra versione dei fatti, attraverso la fusione del pensiero occidentale e orientale, un messaggio universale di pace, integrazione e rispetto delle culture. L’artista sembra condividere una preghiera d’immagini con lo spettatore, lo fa dialogando attraverso il Sole caldo mediterraneo e la Luna esotica quasi fluorescente che domina e accentra su di sé il racconto.
Intorno tutto sembra ruotare, le stelle, i pianeti, i paesaggi, la terra. Intorno al disco solare o lunare un alone assorbe e attira a sé coinvolgendo gli elementi in una danza, come un magnete. Si avverte come un movimento nei cieli. L’alone può sembrare, a chi lo osserva, un occhio divino verso cui, per esempio, nel fronte de “La luce e pace” (2014, olio su tela), una donna con un copricapo giapponese, un kasa, tende le mani giunte a triangolo in preghiera, come aspirazione del terrestre verso il celeste, figura che fa eco a un promontorio anch’esso triangolare, al cui apice, fa la sua scalata verso il cielo, il kanji “Pace” (la Pace wa), mentre nel verso a sorpresa l’immagine nascosta ricorda la creazione del racconto stesso, con un suggestivo “Vuoto”, dato da accenni di pennellata. Vuoto il cui significato nel pensiero orientale è di grande “pienezza” e materialità non visiva, non tangibile.
Un altro elemento che umile sembra affacciarsi nei dipinti, è costituio da figure di uomini e donne i cui copricapi triangolari sono spicchi di luna e sole, per raccontare che l’uomo è parte di qualcosa di più grande: non è l’uomo al centro dell’Universo, ma ne è un frammento. Copricapi che per esempio nella fronte della “Pace nel deserto” (2014, olio su tela) si trasformano in una barchetta/vela. “La vela – afferma Siniscalchi – porta con sé un messaggio benaugurante e per questo è spesso presente nei miei dipinti. A darmi l’ispirazione è stato un grande scultore e amico, Giorgio Berlini. Mi piacque il messaggio di speranza della vela, spinta dalla forza del vento e l’ho ripreso nelle mie creazioni”.
L’artista Siniscalchi è un esempio di vita che rispecchia l’opera: sposato con “la dolce ed eccezionale Mutsue Sekihara” (come lo stesso Siniscalchi la definisce, dalla cui unione nasce Leonardo) viaggia e si innamora dell’Oriente e della cultura orientale. Visita templi buddisti e viene segnato dagli incontri, tra Occidente e Oriente, con grandi maestri, di arte e di pensiero, come Kengiro Azuma, Shinji Kobayashi, Fernando Leal Audirac, ma anche dallo scambio interculturale con il monaco zen Shunan e gli incoraggianti incontri con Madre Lina Colombini, solo per citarne alcuni. Per non parlare dell’incontro con il Dalai Lama a cui chiede “una preghiera per tutti gli artisti del mondo che comunicano pace”, durante una visita dello stesso a Milano nell’ottobre del 2016.
Cos’è il Fronteversismo? “E’ un pensiero – afferma Siniscalchi – una filosofia, non certo una tecnica pittorica. E’ la ricerca che continuo ogni giorno a fare di ciò che si vede ma soprattutto di ciò che non si vede, come una cara persona scomparsa o le forme di vita minuscole. Il bosone di Higgs. I sentimenti che esistono ma sono invisibili. E poi c’è l’Energia, c’è l’Anima. Il verso è l’anima del quadro”. Parola, musica, spiritualità e bellezza si fondono nel Manifesto del Fronteversismo firmato da “Artisti di varie Arti”. “Il Fronteversismo – commenta Siniscalchi – è un messaggio di pace e di rispetto, non sono mai stato interessato a vendere le mie opere, il mio scopo non è vendere un quadro che sarà appeso alla parete di un privato, ma è un moto di condivisione, per spingere chi guarda le mie creazioni o ascolta ciò che ho da raccontare, a fermarsi e a riflettere su temi profondi”.
L’Arte non si può mercificare per Giuseppe Siniscalchi, non ci si arricchisce con l’Arte ma si fa arricchire chi la guarda, l’artista è colui che con il suo quid, con il suo dono, condivide. Le opere di Siniscalchi sono esposte, solo per citare alcune esempi, da Occidente a Oriente: al Mudima di Altamura, al museo Pomarici, presso la sede di Chazen a Tokyo, nel tempio di Kuoji di Amasuka, nel museo tempio di Chalong e nel tempio di Buddha in Phuket, nella Camera dei Deputati di Città del Messico, nel palazzo di Giustizia di Milano, nel castello di Valsinni dimora della poetessa Isabella Morra vissuta nel ‘500 e nel Museo di S. Egidio a Taranto, all’interno del quale ha anche realizzato un dipinto murario “Luci e ombre nel Creato” insieme a Domenico Melillo. E la lista è solo parziale.
Quelle di Giuseppe Siniscalchi, insomma, non sono solo parole, ma fatti. Nonostante le numerose richieste, workshop, salotti, testimonianze, incontri, esposizioni non tralascia mai i più giovani, organizzando costantemente laboratori e concorsi dedicati ai bambini e ragazzi da Milano a Niigata passando da Phuket. Momenti di riflessione e cultura in cui invita i più piccoli a esprimere la propria Arte. “I bambini – afferma – sono per me una fonte inesauribile di ispirazione e motivazione. I commenti migliori ai miei quadri, spesso, sono stati quelli proprio dei più piccoli che senza sovrastruttura colgono il messaggio chiaramente e facilmente”.
Quando e come nasce l’ispirazione? “E’ innata – racconta – l’ho avuta fin da piccolo. Ho ritrovato vari cartoncini di quando ero un bambino, in uno ho raffigurato un uomo chino che si regge su un bastone e che ho fatto a 5 anni, un uomo che medita e che disegnai ispirato da un quadro che si trovava a casa dei miei genitori, così come ho ritrovato dei paesaggi a volte geometrici e a volte di fantasia, accumuli, numeri. Dipingevo d’istinto, non solo nei fogli ma anche nei cartoncini, nei pezzi di stoffa, nelle pareti…”.
Giuseppe Siniscalchi è anche un noto avvocato del foro milanese, ma come si coniuga il pragmatismo del forense con la sensibilità di un artista tanto spirituale, etereo e quasi evanescente? “Io stesso sono un esempio del dualismo dei miei quadri, il fronte e il verso. Essere avvocato mi ha insegnato a osservare le due facce della realtà, ad approfondire ciò che vedo. Mi ha spinto a guardare la realtà con attenzione, anche nelle cause non mi fermo mai all’apparenza cerco il non apparente, l’essenza”. Verrebbe da dire che la “fronte” è ciò che in molti hanno visto in giro per Milano, il professionista impeccabile in giacca e cravatta, ma l’anima è l’artista sensibile e delicato. E l’impegno, la ricerca della verità oltre che nelle aule, lo si legge nel messaggio scritto.
Nelle opere infatti, a volte dominate e a volte accennato, si coglie un altro elemento che impera con forza nei quadri del padre del Fronteversismo: “l’ideogramma”, che nella cultura orientale oltre a essere una scrittura è il segno visivo di un’idea, un’immagine che custodisce nella sua forma un significato, una filosofia. Si legge sul catalogo di Siniscalchi un contributo di padre Luciano Mazzocchi (fondatore della comunità Vangelo e Zen e reggente della ex cappellania giapponese a Milano): “La lingua giapponese, nell’ideogramma 和 -WA. indica la pace come nome, come verbo e come aggettivo. La radicale a sinistra è l’immagine stilizzata della spiga di riso che maturando, china la testa. Quella a destra, significa la bocca. La combinazione delle due radicali evoca, quindi la bocca che chiede il cibo e lo ottiene”.
Aggiunge Siniscalchi: “La pace, ho appreso dai miei incontri con i monaci zen, è quando il riso circola da una bocca all’altra. La vastissima Cina fu unificata proprio dallo scambio di riso”. Quindi il cerchio dell’ideogramma è ciò che si innalza nei cieli di Siniscalchi, una bocca che ricorda il verbo, mentre nella parte “terrena” vasti campi di cereali e di terra ricordano la spiga, ripresa anche nell’uso della carta di riso.
Ma Siniscalchi va oltre cercando di ampliare il Valore della Pace, verso un messaggio di ecosostenibilità, utilizzando spesso materie naturali e povere come, nel “Manifesto del Fronteversismo” 2014 (tecnica mista su carta di riso blu, con foglio di carta di riso, su un foglio di carta da pacchi e all’interno carta di riso giapponese), cartoni, carta da pacchi, stoffe, scatole e involucri, cartoncino di una tisana, scatole vuote, scarti da riciclo e carta di riso.
“Io sono molto attento al riutilizzo delle materie – afferma mentre racconta un aneddoto – proprio da un cartone è nata la copertina del libro ‘Il Cartone della Pace’, mi sono ispirato per la copertina alla storia del mio amico, Settimio Di Segni, una storia di riscatto che ci insegna il valore delle piccole cose, come un semplice cartone. Il libro autobiografico è infatti la testimonianza di un uomo sopravvissuto al nazismo, che dopo i rastrellamenti è ripartito da un semplice cartone, un cartone che viene indossato, riutilizzato come abito, per andare a scuola. Un grande messaggio di forza e della volontà di non arrendersi. Si può sempre ricominciare anche da un elemento povero e vuoto come un cartone abbandonato”.
Il racconto di quest’artista è difficile da concludere. Vale la pena utilizzare le parole del purtroppo scomparso Philippe Daverio che scrive di Siniscalchi: “Il lavoro di Giuseppe può essere definito essenzialmente ‘un diario non verbale’, anche se la parola vi si installa con un suo ruolo simbolico e concettuale. Un diario che documenta il passato ma è pronto a fare i conti con tutte le variabili che il futuro può riservare alla sua personalità dalle diverse ma convergenti dimensioni di pittore, avvocato, conoscitore della cultura giapponese e uomo di fede”.
Alessia Orlando
Raramente si leggono articoli così approfonditi frutto evidente di serio lavoro di studio e ricerca . Complimenti alla giornalista Alessia Orlando ed alla redazione per l’ ampio spazio dedicato a me ed al fronteversismo cogliendo punti essenziali .