ROMA – Era bello andare in gita con la scuola, un tempo. Gli studenti avevano l’occasione di vivere due o tre giorni insieme, di conoscere i loro insegnanti sotto un altro punto di vista rispetto a quello dal banco alla cattedra, di fare esperienza. Peccato che ad un certo punto è arrivata la legge Brunetta (D.Lgs 150/2009), la quale di punto in bianco ha fatto fare dietrofront a molti volenterosi che, a costo zero e con tanta pazienza, ogni anno si immolavano come guide turistiche pur di accompagnare le loro scolaresche a visitare città d’arte italiane o straniere. Con le sanzioni introdotte – censura, sospensione dall’insegnamento fino al divieto di esercitare la professione – e anche le sentenze dolorose, gli insegnanti via via hanno preferito abbandonare questa rischiosa consuetudine che si portava dietro strascichi come danneggiamenti negli alberghi da parte degli studenti, notti brave nei locali delle capitali europee mentre loro, per una incomprensibile forma di abnegazione, conducevano la caccia ai nottambuli che non volevano rientrare o che si ubriacavano nei corridoi degli hotel per poi andare come sonnambuli il giorno dopo a fare i turisti in musei e aree archeologiche. Altro che viaggi di istruzione!
Però le cose ultimamente sono un po’ cambiate, anche con la complicità di una nuova consapevolezza nata dopo i recenti eventi. Negli ultimi due anni, infatti, l’emergenza sanitaria ha di fatto bloccato per forza di cose ogni attività che si svolgesse fuori dalla scuola e solo in questi giorni, timidamente, qualche istituto sta iniziando di nuovo a promuovere qualche uscita. Per questo ha fatto rumore la notizia (che a dire il vero non è una notizia), dei genitori del liceo Alessandro Volta di Foggia infuriati con i “prof” che si sarebbero “rifiutati” di accompagnare i loro figli in gita. Non sanno che questo non rientra tra le loro mansioni. Non prendersi questo impegno o anche venir meno ad esso non rappresenta un reato né una manchevolezza giuridica. Neanche, per dirla tutta, etica. I genitori che pretendono per i loro figli un docente nelle vesti di accompagnatore, infatti, non sanno che il docente lo ha sempre fatto a titolo gratuito, per passione o volontariato che dir si voglia dando, di fatto, la sponda a tutti quelli che aspettano l’occasione per dare addosso alla categoria.
Per questo motivo, nella vicenda di Foggia non c’è nessuna notizia da raccontare: i professori avevano tutto il diritto di rifiutarsi ad accompagnare la scolaresca e non hanno “privato” i loro studenti di nulla, come invece è stato scritto e detto. La stessa dirigente scolastica Gabriella Grilli ha dichiarato a “Foggia Today”: “Non potevo obbligarli”. Varrà ricordare infatti che sul contratto di lavoro degli insegnanti non esiste niente che regolamenti le attività extrascolastiche né che riconosca per queste una retribuzione. Non parliamo poi di una diaria giornaliera: ciò che non è compreso nel costo del viaggio (spesso il pranzo), i prof devono pagarselo di tasca propria. E ancora: per chi si rende disponibile per i viaggi d’istruzione non sono previsti gli straordinari neanche per le notti in bianco a rincorrere studenti ubriachi. A volte succede anche questo.
I formatori avvertono sempre nelle assemblee sindacali: “L’unico modo per gli insegnanti di non avere guai nei viaggi di istruzione è quello di non prestarsi ad andarci”. Lo ribadisce Rino Di Meglio, coordinatore nazionale di Gilda insegnanti in una intervista a Orizzonte scuola: “Con le gite – ha dichiarato – i docenti si espongono a rischi e si assumono una responsabilità grave senza neppure ricevere alcun compenso”. Di Meglio pone anche una domanda su quello che rappresenta forse un nodo cruciale del problema: “Quale altra categoria di lavoratori fa questo?”. Probabilmente gli stessi genitori che sbraitano perché i loro figli sono rimasti senza viaggio non sarebbero disposti ad andare loro stessi con una classe di giovani su cui – scalmanati o meno, non conta – può garantire solo la sorte perché al docente non è pagata neanche un’assicurazione e se succede qualcosa paga di tasca sua.
E’ l’abnegazione di una parte di questa categoria, quindi, che nel tempo ha diffuso l’idea romantica dell’insegnante senza una vita privata, disposto a fare tutto per i suoi alunni, anche rischiare di incorrere in sentenze di risarcimento per incidenti come quello avvenuto nel 2012 a Firenze dove un’alunna è caduta da un balcone non regolamentare. Secondo il giudice il docente avrebbe dovuto controllare la struttura al momento dell’assegnazione delle camere nell’albergo. Come dire che la responsabilità del docente, durante i viaggi di istruzione, è su tutto, anche sull’imponderabile, sull’imprevedibile.
E’ su questo che si sono ingannati i genitori: hanno creduto che i professori avessero poteri straordinari e invece devono accettare che anche loro sono umani, hanno dei limiti. Devono rispettarne l’autorevolezza che deriva loro dal ruolo formativo nei confronti della società, impegno che non permette loro di occuparsi di tutto. Devono riconoscere il lavoro nobile che svolgono in classe, da non confondere con quello (rispettabilissimo, ma è un’altra cosa) delle baby sitter o degli accompagnatori turistici.
Germana Punzi
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