MILANO – La Giornata Internazionale della non violenza coincide con il giorno del compleanno di Gandhi, il 2 ottobre di ogni anno. L’iniziativa, promossa e approvata il 15 giugno 2007 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, è dedicata all’uomo che più di altri si è distinto per la politica della “non violenza”. Mahatma Gandhi, in un suo discorso, predicava: “Mi oppongo alla violenza perché, quando sembra produrre il bene, è un bene temporaneo; mentre il male che fa è permanente”. La sua storia, le sue radici, il suo pensiero affondano nello scorso secolo, per giungere ai nostri giorni con energia e sempre più bisogno di non violenza.
In una famiglia agiata di Porbandar, Mohandas Karamchand Gandhi nasce nel 1869 e, sin da giovane, si appassiona agli studi giuridici, terminati poi con la laurea a Londra. Per cause interne alle caste indiane, è costretto a trasferirsi all’estero. In Sudafrica, dove lavorava con l’incarico di consulente legale per una ditta indiana, si rende conto delle ingiustizie sociali e comincia la sua avventura politica a difesa degli indiani segregati. Per combattere le ingiustizie predica il metodo di lotta politica della “non violenza”, per cui diventerà popolare in tutto il mondo.
È proprio in Sudafrica che nasce per Gandhi il soprannome di Mahatma, che significa “grande anima”, ed approfondisce la questione della segregazione razziale, contro il dispotismo delle autorità britanniche e l’apartheid. Gandhi abbandona il Sudafrica dopo ventun anni di lotte lasciandosi alle spalle un Paese dove, grazie alle sue battaglie, sono state attuate importanti riforme a favore dei lavoratori indiani, eliminate parte delle vecchie leggi discriminatorie, riconosciuti ai nuovi immigrati parità dei diritti e convalidati i matrimoni religiosi. Già durante la Prima Guerra mondiale, nel 1915, il giovane studente torna in India dove trova dei moti insurrezionali per l’indipendenza del Paese. In India attua la politica della non-violenza applicata a una serie di boicottaggi per impedire all’Impero britannico di sfruttare materialmente l’India.
La fine della Prima Guerra mondiale e il crollo dei principali imperi coloniali fanno accelerare le istanze indipendentiste dell’India, con due episodi drammatici: il primo è il Massacro di Amristar in cui l’esercito coloniale inglese spara su una folla inerme di un migliaio di persone. Il secondo episodio emblematico è la “Marcia del Sale” in cui più di mille persone marciano per manifestare il loro dissenso a una nuova tassa sul sale imposta dal Regno Unito. Gandhi, in un plateale atto di disobbedienza civile, si mette alla testa di una marcia che durerà 24 giorni coprendo a piedi una distanza di 200 miglia fino al raggiungimento delle saline, presidiate dalla polizia inglese. In segno di protesta il Mahatma raccoglie un pugno di sale e, subito dopo di lui, tutti ripetono il suo gesto. Dopodiché migliaia di indiani si fermano pacificamente davanti all’esercito che, nonostante l’ordine di sparare sulla folla, depone le armi.
Solo nel marzo 1930, Gandhi lancia una nuova campagna contro la legge britannica del monopolio sul sale, anche la stampa internazionale se ne interessa. Gli indiani protestavano per il fatto di non poter vendere il loro sale sui mercati internazionali, che invece erano sfruttati dai Britannici. Per questo motivo la “marcia del sale” si concluderà con l’arresto di più di 60.000 persone, tra cui Gandhi e sua moglie Kasturba Makanji (con successiva condanna a sei anni di carcere) e moltissimi membri del Congresso. In totale, in tutta la sua vita Gandhi sconterà 2.338 giorni di carcere, senza mai aver commesso un atto di violenza. “Noi indiani resistiamo all’imperialismo britannico così come al nazismo (…). Un quinto della razza umana è stato assoggettato alla Gran Bretagna attraverso mezzi che non potrebbero mai trovare una giustificazione. La nostra resistenza a questa oppressione non significa che noi vogliamo male al popolo britannico: la nostra rivolta contro il dominio britannico è disarmata. I nostri padroni possono avere le nostre terre e i nostri corpi, ma non le nostre anime”.
Gandhi fu nominato cinque volte per il premio Nobel per la pace – nel 1937, 1938, 1939, nel 1947 e nel 1948 – ma non lo vinse mai. Nell’agosto del 1942 rivolge il suo ultimo appello al governo britannico per l’indipendenza dell’India con il celebre discorso tenuto a Bombay. Con le celebri parole “Quit India, lasciate l’India”, nel quale esortava gli indiani a lottare per la libertà o a morire nel tentativo, assurge a una figura di uomo politico come santo, il leader di una rivoluzione come atto collettivo di disobbedienza passiva. In tal modo coglie un successo che travalica ogni più viva speranza. Il 15 agosto 1947, infatti, l’India conquista la propria indipendenza, anche se tale processo d’indipendenza portò le violenze tra la comunità musulmana e quella indù lasciando sul campo quasi tre milioni di morti e almeno quindici milioni di sfollati.
“È inutile rispondere alla violenza con altra violenza. Gli inglesi hanno potere, armi e manganelli. Gli indiani devono invece usare la forza della propria dignità e della giustizia”. Ecco perché comincia a predicare il verbo della teoria del Satyagraha, il cui significato letterale sarebbe “insistenza per la verità”, ma verrà generalmente interpretato come “resistenza passiva”. Si tratta di un rivoluzionario metodo di lotta politica, che consiste nel rifiuto di ogni atto che possa ledere fisicamente il nemico. Questo apparente segno di debolezza, in realtà cela una forza esplosiva che poi si estende a collettive forme di non collaborazione e di boicottaggio che nel corso degli anni successivi cominceranno a far scricchiolare l’enorme struttura dell’impero britannico. Il Mahatma diventa così il capo politico e morale del movimento d’indipendenza nonché il leader del Partito del Congresso, battendosi anima e corpo per l’indipendenza dalla Gran Bretagna. Proprio come in Sudafrica, anche in India Gandhi elabora alcune strategie di boicottaggio per impedire ai britannici di sfruttare materialmente la sua nazione.
Esorta così gli indiani a un ritorno a una vita agreste primitiva, rurale, lontana dalle modernità occidentali. Dunque la tessitura a mano del cotone diventa il simbolo della disobbedienza civile. La campagna politica di boicottaggio di Gandhi si estende in tutto il Paese: giudici, maestri, e funzionari pubblici cominciano a dimettersi, le scuole inglesi abbandonate, i prodotti britannici invenduti. Anche a Londra si accorgono che l’India è diventata praticamente ingovernabile. Il 30 gennaio 1948, un estremista indù di nome Vinayak Nathuram Godse, uccide Gandhi con tre colpi di pistola mentre si reca in giardino per la preghiera. Il killer viene subito catturato, processato e condannato a morte, nonostante l’opposizione dei sostenitori di Gandhi che, come il loro leader spirituale, erano contrari alla violenza e a questa forma di giustizia sommaria. Il 6 febbraio del 1948 due milioni di indiani partecipano al funerale di Gandhi. Le ceneri – secondo la sua volontà – vengono disperse nei più importanti fiumi del mondo (Gange, Nilo, Tamigi, Volga).
Il 2 ottobre: una giornata per non dimenticare la grande anima di Gandhi e la sua forza che nasce dalla verità e dall’amore per gli esseri umani.
Claudia Gaetani
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