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“Getty Museum” non vuol restituire il bronzo

di | 2024-05-23T20:36:21+02:00 26-5-2024 5:10|Attualità, Sezione 3|0 Commenti

PERUGIA – “Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire”, recita un adagio. Ed il proverbio si attaglia perfettamente alla dirigenza del “Getty Museum” di Malibù (California, Usa) che non coltiva alcuna intenzione di restituire al nostro paese la statua bronzea dell’Atleta di Fano, nonostante le sentenze pronunciate su un fronte dalla magistratura italiana e sull’altro dai giudici del Cedu (la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, attivata – guarda un po’ – proprio dal gruppo statunitense in opposizione al verdetto della giustizia italiana). I giudici di Bruxelles hanno ribadito che l’esportazione dell’opera d’arte sia risultata “illegale” e che, quanto meno, la dirigenza del museo Usa si sia rivelata, nella circostanza dell’acquisto del bronzo, “negligente”.

Il “Getty Museum” a Malibù in California

La “sordità” viene dimostrata in modo lampante dalla portavoce del museo, Lisa Lapin, che ha diffuso una nota di questo tenore: “Pensiamo che la proprietà da parte del Getty da oltre 50 anni di un’opera d’arte che non è stata creata da un artista italiano, né è stata trovata in territorio italiano, sia giusta, etica e in linea con la legge americana e il diritto internazionale”. La presa disposizione prosegue: “Continueremo a difendere il nostro diritto legale alla statua. La legge e i fatti in questo caso non garantiscono la restituzione al governo italiano di una statua che è stata esposta pubblicamente a Los Angeles per quasi mezzo secolo. Riteniamo che qualsiasi ordine di confisca sia contrario al diritto americano e internazionale”.

Lisa Lapin, portavoce del “Getty Museum”

Riassumiamo il “pensiero” (definiamolo, a fatica, così) del “Getty Museum”: la statua non è stata modellata da un artista italiano (e questo è vero: ma cosa c’entra?), non è stata ripescata in acque italiane (si finge di non ricordare che l’affermazione sia stata seccamente smentita, sulla scorta delle testimonianze dell’equipaggio della motonave che riportò il manufatto a Fano, dalle sentenze) e la perla finale: la statua è stata esposta per 50 anni in California (è come sostenere che anche per le statue rubate esista una sorta di “usucapione”, che scatta dopo un certo numero di anni, aspetto del tutto campato in aria). Ora senza addentrarci troppo in territori giuridici, varrà solo rimarcare come le motivazioni del museo siano, alla luce della ragione e del buon senso, non solo infantili, ma fragili ed inconsistenti.

Che l’autore del bronzo non sia italiano, non presenta alcuna rilevanza. Si potrebbe replicare che ai tempi di Roma – sia Repubblicana, sia Imperiale -, la Grecia – cui appartenevano per nascita Lisippo ed i suoi discepoli, ai quali la statua è stata attribuita – faceva parte, capta (cioè presa con le armi nel 146 aC con la distruzione di Corinto), dei territori romani (tanto da essere costituita in Provincia nel 27 aC). Che il bronzo non sia stato ritrovato in acque italiane, nell’Adriatico, suona altresì falso come una patacca dalle testimonianze raccolte nel corso del dibattimento. Ma pur ammettendo, per assurdo, che l’opera fosse stata rinvenuta in acque internazionali, a recuperarla è stato un equipaggio completamente italiano (ingaggiato da un armatore della stessa nazionalità), che l’ha sbarcata su suolo tricolore. Ergo: nessuno spazio razionale per le argomentazioni contrarie. Il particolare, infine, che per 50 anni l’Atleta di Fano sia rimasto esposto nel “Getty Museum” (con nome mutato: l’Atleta di Getty, quasi a nasconderne la provenienza) non riveste alcuna valenza giuridica. Se la statua è stata esportata illegalmente – come “fotografano” i verdetti – l’illegalità rimane e non si scalfisce, né decade col trascorrere del tempo.

Per amore di ragionamento: se si ruba la “Gioconda” e la si tiene nascosta per mezzo secolo in cassaforte, non per questo la tela diventerà, dopo dieci lustri, di proprietà legittima del ladro o del ricettatore. In conclusione: la portavoce californiana esprime davvero le volontà del Museo? Lo si verifichi. In caso positivo urge che il governo italiano intervenga, decisamente, su quello statunitense e faccia abbassare la cresta ai tracotanti gestori della villa-galleria di Malibù. E, forse, un bel provvedimento di confisca del bene, con tanto di timbri – ad adiuvandum – della magistratura italiana, non ci starebbe male.

I “nipotini” di Getty continuerebbero a fare – ecco un altro detto popolare calzante – “orecchie da mercante”?

Elio Clero Bertoldi

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