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Gaber (il signor G), genio libero e vero

di | 2024-01-05T17:17:33+01:00 7-1-2024 5:15|Sezione 4, Spettacolo|0 Commenti

NAPOLI – Parlare di Giorgio Gaber sarebbe, potrebbe, dovrebbe essere sicuramente un azzardo. Parlare di un artista geniale quanto per certi versi indefinibile per posizione politica, sociale, risulta difficile. Di sicuro è stato un uomo colmo di giudizio, di quello chiaro, duro, netto, tagliente come lo abbiamo ascoltato nella canzone “Io se fossi Dio”. Un giudizio che gli ha permesso di affrontare temi delicati e anticonformisti, politicamente scorretti tanto da ricevere critiche feroci da una parte del pubblico e apprezzamenti dei più calorosi dalla gran parte di chi lo ha ascoltato e seguito per tanti anni. Amico di un vasto mondo cattolico, compagno deluso dai compagni di partito, forse più a destra di quanto si possa immaginare, insomma poliedrico, affascinante per la sua indefinibile locazione.

Vive nel periodo in cui l’Italia era un paese ricco, in crescita economica ma dove però l’individuo perde qualcosa; quando, a suo dire, negli anni ’70, comincia la disgregazione della società, quando cioè la sua generazione comincia a perdere: il consumismo è ormai ovunque imperante, mentre nelle periferie covano i germi della povertà e della solitudine, dell’emarginazione e della violenza. Con il decennio successivo, cambiano i volti della città, soprattutto di una Milano che è ormai una metropoli ingrigita e inquinata come tante altre. È il tempo in cui Gaber racconta questo cambiamento nella celebre canzone “Com’è bella la città”, paradossale e amara esaltazione delle sue luci menzognere.

Lungo l’esile svolgersi di un signor qualunque, Gaber si porta dietro tutto il mestiere maturato fin lì e insieme si lascia definitivamente alle spalle quella “simpatia” ammiccante che tanto aveva fatto la sua fortuna, anche commerciale. C’è la tentazione continua di uno sguardo un po’ teso a contrapporre in modo rigido e dogmatico principî, atteggiamenti o posizioni ritenuti inconciliabili, come fossero opposte espressioni di bene e male, di vero e falso su quell’Italia mezza in rivolta e mezza in ritirata. L’orizzonte piccolo borghese è analizzato con spietatezza, puntando il dito non tanto verso gli individui ma innanzitutto verso se stessi. È un mondo in crisi quello del signor G, ma non ci sono facili scorciatoie a disposizione per inventarne uno nuovo, e anche la diffidenza verso certe liberazioni illusorie è già tutta presente.

La crisi chiaramente espressa, la contraddizione non sono mai manifestazione di una scrittura autoreferenziale, di un io esaltato e tale caratteristica apparterrà sempre alla sua artisticità. I toni sono alti, il sarcasmo stride come carta vetrata, come se fosse l’ultimo appello contro il disfacimento di un sogno: “Io per me, se c’avessi la forza e l’arroganza, direi che sono diverso e quasi certamente solo, direi che non riesco a sopportare le vecchie assurde istituzioni e le vostre manie creative, le vostre innovazioni…”. Una canzone su tutte ne chiarisce la personalità, una canzone tra le tante, profonde, forse non la più bella sicuramente, ma che ne fotografa lo spirito, lo immortala nel suo ruolo di sarcastico distruttore ed è “Il conformista”. Una di quelle canzoni in cui Gaber esce allo scoperto, si dichiara, ma soprattutto dichiara quella che è la personalità dell’italiano medio, dell’uomo che si adegua a tutto, che non si pone mai, che baratta, critica e si ritira, parla e si nasconde, quello che pensa per sentito dire, opportunista fino all’estremo limite, pronto a giocarsi la pelle o quella dei cari pur di ottenere qualcosa.

Gaber centra il punto, annienta l’uomo “aerostato evoluto che è gonfiato dall’informazione… risultato di una specie che vola sempre a bassa quota… vive e questo già gli basta” o anche ancora più attuale “…e quando ha voglia di pensare pensa per sentito dire… s’allena a scivolare dentro il mare della maggioranza… e vive di parole da conversazione”. L’uomo Gaber, il genio Gaber. Basterebbe questa canzone per definirne l’attrattiva, la calzante attualità. Un uomo libero, ma di quella libertà vera, aperta e davvero libera. Una vita piena, vissuta, dentro una serie di rapporti intensi, veri.

Gaber ha lasciato un segno indelebile nella storia della canzone e del teatro italiano. Ha soprattutto svelato quell’immagine tanto vera quanto contraddittoria dell’italiano medio, colmo di contraddizioni e frenesie non certo appaganti. Ha riassunto (e questo è ciò che colpisce di più) la posizione più vera dell’uomo e cioè che è necessaria un’apertura di cuore e di ragione per raggiungere una libertà di posizione. Una coscienza critica per essere più veri, per essere dentro la realtà, dentro la vita. Non ha mai disdegnato lo stare insieme, essere in una compagnia di artisti amici e compagni di vita, condividere una storia, descrivere la storia. Perché è proprio vero che “la libertà – come dirà in una delle canzoni più belle – non è uno spazio libero: libertà è partecipazione”.

Innocenzo Calzone

Giornalista pubblicista, architetto e insegnante di Arte e Immagine alla Scuola Secondaria di I grado presso l’Istituto Comprensivo “A. Ristori” di Napoli. Ha condotto per più di 13 anni il giornale d’Istituto “Ristoriamoci”. Partecipa e promuove attività culturali con l’associazione “Giovanni Marco Calzone” organizzando incontri e iniziative a carattere sociale e di solidarietà. Svolge attività di volontariato nel centro storico di Napoli con attività di doposcuola per ragazzi bisognosi; collabora con il Banco Alimentare per sostenere famiglie in difficoltà. Appassionato di arte, calcio e musica rock.

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