MENTANA (Roma) – La legge è troppo vecchia e non adeguata a tutelare un territorio che dal 1934 – anno cui risale il decreto regio che la contiene – a oggi si è trasformato, mentre si sono conosciute meglio le conseguenze del suo impatto ambientale. Così la questione dei forni per la cremazione delle salme, mentre diventa un business sempre più appetitoso perché il trend è in crescita (in Italia per un defunto su tre si sceglie questa opzione), diventa anche motivo di proteste da parte di comunità nei cui cimiteri i privati tentano di realizzare questi impianti. Se ne discute da nord a sud del nostro paese proprio perché la legge risulta inadeguata alla nuova situazione ambientale e anche alla luce delle nuove scoperte scientifiche. Se ne discute molto anche a Mentana, dove il Comune il 19 gennaio scorso ha deliberato una proposta di partenariato pubblico-privato per la realizzazione e la gestione di un forno crematorio – oggi si dice “tempio” – nell’area cimiteriale.
Stando al piano economico approvato, la S.I.L.V.E. Spa di Firenze, con una convezione trentennale si aggiudica un fatturato di milioni di euro mentre ai residenti del comune alle porte di Roma rimangono solo briciole. O, per dirla tutta, rimangono polveri, in particolare quelle sottili. E’ il Pm 2,5, infatti, il principale accusato in questa vicenda che tiene impegnati cittadini da una parte e amministratori dall’altra, chiusi questi ultimi in un assoluto silenzio da quando la vicenda è diventata di dominio pubblico e si sta esprimendo in proteste, manifestazioni, cortei e la calendarizzazione di un consiglio straordinario per la richiesta di revoca da parte delle opposizioni. I forni crematori, infatti, o “templi” che dir si voglia, contrariamente a quanto dichiarato nella relazione di impatto atmosferico allegata all’accordo tra il comune e la società fiorentina, sono inquinanti di serie A e le polveri che si depositano dai loro camini sono state accertate come altamente dannose. Lo ha sottolineato, citando il rapporto dell’associazione medici italiani, l’architetto Sandro Maggioli, presidente di un neonato comitato “No forno”. “I forni crematori, anche i più avanzati – sottolinea Maggioli – rilasciano sostanze nocive e tossiche per la salute umana e per l’ambiente anche per lunghe distanze”.
Distanze, oltretutto, che stando all’obsoleto decreto regio del 1934, dovrebbero stare dentro gli stringatissimi 200 metri dalle abitazioni, metri dichiarati dalla società S.I.L.V.E. ma che, sebbene pochi, non risultano neanche dall’estratto mappale. “Li abbiamo misurati – spiega il presidente – e sono, in realtà, solo 170 quelli che dividono l’impianto dalle case”. Attenersi a quanto previsto dal regio decreto del 1934, tuttavia, non salverebbe l’amministrazione mentanese dalle proteste della popolazione decisa a proteggere ciò che rimane di un territorio già devastato da una scellerata politica edilizia che non ha tenuto conto dei servizi necessari (casello autostradale, scuole superiori, sanità, strade, parcheggi), ma ora trova urgente avere un forno nel cimitero quando in un anno, secondo la media, sono solo 50 le richieste di cremazioni provenienti dal suo territorio. Tutte le altre previste nel piano della Silve (circa 2300 l’anno ma potrebbero essere di più), provenienti da tutta la regione dove i forni scarseggiano, porteranno nelle casse della società incaricata circa 2 milioni di euro l’anno. Al Comune, invece, toccheranno solo 25 euro a cremazione, in tutto 30mila euro l’anno, troppo poco secondo la comunità mentanese in rivolta per giustificare il sacrificio che le è richiesto sull’altare di questo moderno “tempio”.
Umberto Calamita del Comitato Risanamento del Territorio ne ha parlato durante l’assemblea pubblica del 17 febbraio: “E’ un progetto che soddisfa la richiesta del mercato ma non soddisfa il territorio”. Territorio per il quale agenti immobiliari e operatori del settore agricolo hanno lanciato un grido d’allarme. I primi per la funzione di deterrente che già il progetto sta avendo sul mercato e i secondi per il rischio che corrono i loro prodotti, ancora un bel biglietto da visita per il centro che un tempo era rinomato per la sua tradizione rurale. E mentre il sindaco di Civitavecchia a tutela dei cittadini, ha ottenuto una limitazione del numero di cremazioni al fine di abbassare l’inquinamento ambientale prodotto dall’impianto; mentre il Pd del Lazio ha presentato una mozione per fermare l’attività di tutti i forni, ancora in Liguria (e anche in Campania) la commissione sanità si è impegnata a non autorizzare nuovi forni in attesa di una legge che li regolamenti e tuteli la popolazione e insomma in tutta Italia questi impianti si stanno rivelando troppo invasivi, l’amministrazione di Mentana continua a non spiegare il perché di questa scelta.
“La localizzazione del forno – commenta Maurizio Verdecchia, vicepresidente del Comitato – ha ignorato completamente il contesto urbanistico dove andrebbe ad insistere”. Il traffico locale, congestionato a causa di una già insufficiente viabilità, verrebbe aggravato dai carri funebri diretti alla cremazione nel cimitero che è troppo vicino alle abitazioni. La Macchia di Gattaceca e la Riserva Nomentum, due gioielli naturalistici sopravvissuti a politiche che nel tempo non hanno avuto pietà del territorio, non basterebbero a depurare l’aria né, ovviamente, a renderla più respirabile. E’ per questo che i cittadini non capiscono i motivi di questa decisione che già troppe sentenze in Italia hanno rivelato disfunzionale.
Gloria Zarletti
Nell’immagine di copertina, le proteste dei cittadini di Mentana contro la realizzazione di un forno crematorio nel cimitero
La cosa più naturale sarebbe la terra come ultima dimora dove tutto si riequilibria, del resto le tombe di famiglia non sono più adeguate e si è costretti a ricorrere alla cremazione….
A nome dei cittadini di Mentana, la ringrazio per questo suo articolo equilibrato e chiarificatore. Spero serva a tutti per capire la reale entità di questa scelta davvero scellerata. FR