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Ficodindia, dolce Sicilia tra le spine

di | 2023-09-03T09:45:06+02:00 3-9-2023 5:00|Enogastronomia, Sezione 1|0 Commenti

PALERMO – Nell’episodio L’altro figlio, una delle quattro novelle pirandelliane rappresentate nel film Kaos, capolavoro dei fratelli Taviani del 1984, la protagonista, una madre disperata, raccoglie a mani nude dei fichidindia e se ne ciba avidamente. In nessun luogo del Mediterraneo il ficodindia si è diffuso tanto come in Sicilia, tanto da rappresentare ormai l’elemento ricorrente nelle rappresentazioni letterarie e iconografiche dell’isola e uno dei suoi simboli principali nell’immaginario collettivo.

Il ficodindia o fico d’India, il cui nome scientifico è Opuntia ficus-indica, è però originario dal Messico: diffuso nell’America centrale, era considerato dagli Atzechi una pianta sacra con un forte potenziale simbolico. Il ficodindia probabilmente fece il suo ingresso in Europa nel 1493, anno del ritorno a Lisbona di Cristoforo Colombo dopo il suo primo storico viaggio. Da allora la pianta è attecchita rapidamente in tutto il bacino del Mediterraneo, dove si è naturalizzata al punto da diventarne un elemento caratteristico del paesaggio naturale. La sua rapida diffusione fu dovuta sia agli uccelli, che mangiandone i frutti ne assicuravano la dispersione dei semi, sia all’uomo, che le trasportava sulle navi quale rimedio contro lo scorbuto.

Fichidindia a Lipari, nelle isole Eolie

Il ficodindia è una pianta grassa che può arrivare sino a quattro o cinque metri d’altezza; il fusto è composto da cladodi, chiamati comunemente pale, fusti modificati di forma appiattita, lunghi da 30 a 40 centimetri, che si uniscono tra loro e formano delle ramificazioni. I cladodi garantiscono alla pianta la fotosintesi clorofilliana, assumendo la funzione delle foglie. Il frutto è una bacca carnosa e assai dolce dai numerosi semi, con un ottimo sapore. È necessaria una certa abilità per sbucciarli senza prenderne le spine, ma ne vale davvero la pena. Mangiati freddi, dopo la permanenza di qualche ora in frigo, sono davvero una delizia.

Sono tre le varietà fondamentali dei fichidindia, che differiscono soprattutto per la colorazione: giallo-arancione (la varietà detta Sulfarina), bianca (quella chiamata Muscaredda) e rosso-porpora (la Sanguigna). La Sulfarina è la più diffusa per la maggiore capacità produttiva e la buona adattabilità a metodi di coltivazione intensiva. In genere vi è la tendenza ad integrare la coltivazione delle tre varietà, per fornire ai consumatori tutti i tipi di frutto, belli da vedere nelle diverse sfumature cromatiche e ottimi da mangiare con le loro lievi differenze di gusto.

Fichidindia con l’Etna sullo sfondo

In Sicilia è praticata la tecnica della scozzolatura, il taglio cioè dei fiori della prima fioritura, che viene eseguito in maggio-giugno. Tale pratica consente di ottenere una seconda fioritura, più abbondante, con una maturazione più ritardata, in autunno. Si distinguono quindi gli ‘agostani’, di dimensioni ridotte, i frutti che maturano già in agosto, e i ‘tardivi’ o ‘bastardoni’, più grossi e succulenti, che maturano in autunno.

L’Opuntia ficus-indica, che ha una grande resistenza alla siccità, viene coltivata in molti Paesi: Messico (primo produttore mondiale), Stati Uniti, Cile, Brasile, Tunisia, Turchia, sia per la produzione dei frutti, sia per la coltivazione della cocciniglia del carminio (che prolifera sull’Opuntia), insetto da cui si estrae il carminio, pregiato colorante naturale. In alcuni Paesi, inoltre, i fichidindia sono utilizzati per il foraggio e in altri le sue pale fresche sono usate come una sorta d’insalata.

L’Italia si colloca tra i principali produttori a livello mondiale, primo a livello europeo. Il 90% della coltivazione dei fichidindia si trova in Sicilia, soprattutto nelle province di Catania, Agrigento e Caltanissetta, il restante 10% in Basilicata, Calabria, Puglia e Sardegna.

In Sicilia del ficodindia non si butta niente: innanzitutto si mangiano e si esportano i frutti prelibati; i fiori essiccati forniscono poi un buon decotto, con proprietà diuretiche e antinfiammatorie. Dal frutto oggi vengono prodotti liquori, marmellate, paté, pesto, creando anche abbinamenti con mandorle, uvetta, caffè, gocce di cioccolato e peperoncino. Dalla buccia si ricava un’ottima mostarda. Vengono utilizzate anche le pale, dalle quali si ricava una fibra legnosa simile alla filigrana, adatta per creare gioielli ‘green’ e per essere utilizzata su tessuti, ceramiche e complementi d’arredo.

Chissà se, oltre che icona della Sicilia, il ficodindia potrebbe anche esserne metafora: un cuore di dolcezza, celato in una corazza di spine…

Maria D’Asaro

 

Già docente e psicopedagogista, dal 2020 giornalista pubblicista. Cura il blog: Mari da solcare
https://maridasolcare.blogspot.com. Ha scritto il libro ‘Una sedia nell’aldilà’ (Diogene Multimedia, Bologna, 2023)

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