CORCHIANO (Viterbo) – Camminare nelle forre di Corchiano, lungo le sponde del fragoroso Rio Fratta che affluisce nel Tevere, tra le tombe a parete, attraverso le ombrose tagliate (strade ricavate scavando le pareti rocciose delle gole), significa entrare nella magia di un territorio che, non a caso, ha ricevuto il titolo di Monumento naturale. Basta passarci per ricongiungerci con le nostre origini e con l’energia della terra. Ma oltre a questa sensazione fisica c’è anche il sentirsi in contatto con le nostre radici culturali, in un passato lontano che sembrava esserci sfuggito dalla memoria.
Molti sanno che l’antico nome di questo piccolo borgo del viterbese, nell’agro falisco, è Fescennium. Pochissimi, tuttavia, conoscono il ruolo che Corchiano ebbe nella storia del teatro quando a Roma ancora non era pensabile né questa né qualsivoglia forma d’arte. Di una vera e propria attività teatrale a Roma, infatti, si potrà parlare solo a metà del IV secolo. In questa incantata campagna laziale, invece, tra i contadini falisci (popolo confinante con gli Etruschi e poi da questi assorbito), seppure ancora “in nuce”, legate alla terra e ai cicli dell’anno, si animarono le prime messe in scena. Si trattava di semplici spettacoli improvvisati con i quali si festeggiavano matrimoni, il raccolto o, comunque, eventi positivi, in tempi molto remoti. Questo già avveniva in epoca pre-letteraria, quando quella di Roma non era storia ma solo leggenda.
Le rappresentazioni avevano carattere magico e apotropaico, servivano ad allontanare la mala sorte, a valorizzare la vita e la nascita, quindi a scongiurare le malattie e le avversità che potessero compromettere una gravidanza. Tutto era legato alla funzione delle parole, ai giochi che con esse si possono fare, ai doppi sensi, alle esagerazioni e alle canzonature, tipiche di quell’italum acetum in cui il poeta Orazio vedrà la tipica mordacità latina, quella dalla battuta sempre pronta e sagace tipica del battibecco e delle trovate umoristiche (le gag moderne). Forse è questo legame con la terra che colpisce nelle forre di Corchiano e che racconta a chi ci capita la sua storia millenaria. Erano, questi spettacoli, i “fescennini”, la cui nascita viene genericamente ascritta – anche sui libri di letteratura latina – ad un paese della campagna laziale non meglio precisato.
Piace però pensare che Corchiano, con l’incanto dei percorsi boscosi, la vegetazione rigogliosa e presenze animali che ci guardano di soppiatto sia stata la sede di quei rituali spettacoli. Quei luoghi raccontano cosa potesse succedere quando i ludi (processioni, sacrifici, gare equestri, rituali), concludevano l’aratura o la mietitura e le fatiche venivano ripagate con balli, canti e feste – probabilmente anche festini – proprio in questo angolo del Lazio e tutto si concludeva con certe rudimentali forme di teatro e tanto sesso. A Fescennium le rappresentazioni erano tutte legate al tema della fecondità e quindi molto licenziose quando non addirittura volgari. I riferimenti osceni erano l’argomento principale dei fescennini e l’immagine del dio Priapo campeggiava in orti e giardini con il suo enorme fallo, chiamato “fascinum”, termine in cui secondo un’altra ipotesi risiede l’origine di questo genere (pre)letterario.
E’ da questa comicità pesante e rozza, semplice, che si evince una caratteristica essenziale della festa antica: essa doveva essere un momento di distacco dal quotidiano, di riposo da dedicare alla divinità, di attività sfrenata, di sfogo fisico e mentale privo di regole, anche nelle pratiche sessuali. Ciò spiega come i fescennini, entrando nella cultura romana attraverso la figura dell’attore etrusco (il ludius), abbia potuto confluire nel genere della “satura”, il cui avvento segna la nascita del teatro nell’Urbs e di una scuola per attori che l’influenza greca porterà poi ad altissimi livelli. La storia della drammaturgia ha fatto il resto fino ai nostri giorni con una evoluzione continua di tecniche e scuole.
Ma i fescennini rimangono il substrato che ancora si continua a leggere sotto ogni messa in scena. All’origine di ogni spettacolo si può riconoscere un mondo capovolto in cui il servo la fa da padrone, non corrispondente alla realtà. Vi si scorge quel sorriso dolce e amaro tipico dell’italum acetum che, passando attraverso la nascita del Carnevale in cui ogni scherzo vale, è arrivato fino ad ogni moderno, catartico, apotropaico, evento che si svolge sulle tavole di un palcoscenico.
Gloria Zarletti
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