PALERMO – L’isola di Stromboli, che fa parte dell’arcipelago delle Eolie, a nord est della costa siciliana, è balzata alla ribalta mercoledì 3 luglio per un’improvvisa e rovinosa eruzione dell’omonimo vulcano, che, oltre a incendi e frane, ha purtroppo causato la morte di un escursionista, Massimo Imbesi. Ora i parametri sismici sono rientrati, ma l’isoletta rimane in stato di allerta. L’eruzione dello Stromboli ricorda che la Sicilia, terra baciata dal sole e ricca di strepitose bellezze storico-naturali, è anche terra assai ballerina. Dove persino le isole compaiono e scompaiono, sotto la spinta di possenti movimenti tellurici.
Alla fine di giugno del lontano 1831, nel tratto di mare tra Sciacca e Pantelleria ci furono alcune scosse sismiche di fortissima intensità, avvertite fino a Palermo. Navi di passaggio nella zona videro colonne di fumo uscire dalle acque, assieme a violenti zampilli di lava. I pescatori del luogo segnalarono una sorta di “ribollimento” del mare e morìe di pesci. Il 7 luglio, il capitano della nave Gustavo avvistò un isolotto alto circa 8 metri che sputava cenere e lapilli. La completa emersione avvenne però nella notte fra il 10 e l’11 luglio 1831, quando si formò una piccola isola di circa quattro chilometri di circonferenza e sessanta metri d’altezza.
L’isola – che emerse alle coordinate geografiche 37° 10′ di latitudine Nord e 12° 43′ di longitudine Est, a soli 30 km dalla costa di Sciacca e a 55 km dall’isola di Pantelleria – mostrava una forma tronco-conica per via della sua attività vulcanica e ospitava due laghetti sulfurei in ebollizione.
Formata prevalentemente da tefrite, materiale roccioso eruttivo facilmente erodibile dall’azione delle onde, il pezzo di terra emerso non ebbe vita lunga. Infatti, nei mesi successivi, se ne verificò un rapido smantellamento erosivo.
L’isoletta suscitò subito l’interesse di alcune potenze straniere europee, che nel mar Mediterraneo cercavano approdi delle loro flotte: il suo possesso e il suo “battesimo” diedero origine a un’accesa disputa soprattutto tra Gran Bretagna, Francia, Germania e Regno borbonico delle due Sicilie, disputa narrata anche da Andrea Camilleri nel romanzo “Un filo di fumo”.
L’Inghilterra il 24 agosto giunse sul posto con il capitano Jenhouse, che vi piantò la bandiera britannica, chiamando l’isola “Graham”. Questa presa di posizione suscitò la protesta dei Borboni, che rivendicarono l’isola come territorio del Regno delle Due Sicilie e proposero di chiamare nominare l’isola “Corrao”, dal nome del capitano che l’aveva avvistata.
Intanto il 26 settembre la Francia, per contrastare l’azione inglese, inviava il brigantino La Fleche, con una missione diretta dal geologo Constant Prévost insieme al pittore Edmond Joinville, al quale si devono i disegni del fenomeno eccezionale dell’emersione. I francesi fecero ricognizioni accurate fino al 29 settembre, e il materiale raccolto venne inviato alla Société géologique de France. Il contenuto di queste relazioni stabiliva che l’isola, sotto l’azione delle onde, aveva subito diverse frane, che a loro volta avevano provocato grandi erosioni sui fianchi. Pertanto l’isola, non avendo una base consistente, si poteva inabissare bruscamente.
Come gli inglesi, anche i francesi approdarono sull’isola senza chiedere permesso al re Ferdinando II di Borbone, nonostante l’isola fosse sorta entro acque prossime alle coste siciliane. Anzi i francesi la ribattezzarono “Iulia” , perché comparsa nel mese di luglio. Ferdinando II, constatando l’interesse internazionale che l’isoletta aveva suscitato, inviò sul posto la corvetta bombardiera Etna al comando del capitano Corrao il quale, sceso sull’isola, piantò la bandiera borbonica, battezzando l’isola “Ferdinandea”, in onore del sovrano.
Ma sul posto giunse anche il capitano Jenhouse con una potente fregata inglese; così il capitano Corrao rimandò la questione ai rispettivi governi. L’isola avrebbe goduto, all’epoca, dello stato di Insula in mari nata, cioè, in quanto emersa dal mare, la prima nazione o persona a mettervi piede avrebbe potuto rivendicarla legittimamente (in questo caso gli Inglesi). Ma, a fine ottobre del 1831 il governo borbonico prese posizione ufficiale e inviò ai governi di Gran Bretagna e Francia una memoria con la quale ricordava che, a norma del diritto internazionale, la nuova terra apparteneva alla Sicilia.
Ci pensò “Ferdinandea” a dirimere a suo modo le scottanti questioni territoriali: tra fine dicembre 1831 e inizio gennaio scomparve completamente, a eccezione di un vasto banco di roccia lavica. Recenti ricerche oceanografiche hanno evidenziato che l’attuale banco costituisce – con i vicini banchi “Terribile” e “Nerita” – uno dei coni accessori del vulcano sottomarino Empedocle, un edificio vulcanico paragonabile all’Etna per larghezza della base. Giulia, Nerita, Corrao, Hotham, Graham, Sciacca, Ferdinandea: tanti i nomi attribuiti a quel territorio nel corso degli anni. Davvero troppi, per un’isola che non c’è.
Maria D’Asaro
Nella foto di copertina, la localizzazione geografica dell’isola Ferdinandea
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