La vicenda dell’allungamento a 5 settimane dalla prima dose del richiamo del vaccino Pfizer pone alcune legittimi quesiti che vale la pena affrontare. Intanto il colosso farmaceutico ha subito fatto sapere che per loro il lasso temporale resta fissato a 3 settimane: d’accordo, può essere un modo per mettersi al sicuro da eventuali contestazioni, ma viene pure il sospetto che la dilatazione poteva essere fissata subito a poco più di mese e che ciò non sia stato stabilito per poter vendere più dosi. E’ un’intepretazione sicuramente capziosa, ma non del tutto campata in aria. Perché non c’è dubbio che, alla base della decisione del ministero della Salute, ci devono essere evidenze scientifiche inequivocabili che sarebbe sciocco, anzi sbagliato, trascurare. In sintesi, si allungano i tempi del richiamo per poter inoculare almeno la prima dose al maggior numero possibile di cittadini: questa la motivazione ufficiale.
E dunque, in questi giorni, sono arrivate le comunicazioni di slittamento. Chi scrive vive nel Lazio (dove – va detto con sincerità – il programma vaccinale è partito bene sin da subito e prosegue con celerità) e ha ricevuto la notifica: prima dose confermata per il 27 maggio e seconda spostata dal 17 giugno al primo luglio. Poco male, l’importante è che si faccia. E questo vale per tutti. Però qualche considerazione è opportuna e riguarda le modalità comunicative. Con la pandemia che da più di un anno ci sta massacrando con un bilancio di vittime imponente e con gravissimi danni all’economia, non si può scherzare: l’ampliamento dell’intervallo di tempo tra prima dose e richiamo andava spiegato con pazienza e con dovizia di particolari. Una circolare non basta, non può bastare. Si ha notizia, ad esempio, che un gruppo di cittadini avrebbe in animo (e forse lo ha già fatto) di presentare un ricorso al Tar del Lazio (la cui decisione avrebbe poi valenza nazionale) contro quell’ordinanza: in sostanza, si chiede di annullare o comunque sospendere il provvedimento e di tornare alle 3 settimane. Brutta faccenda quando temi più che sensibili come la salute pubblica finiscono nelle aule dei tribunali…
Peraltro, questo ha ridato nuovamente fiato ai cosiddetti No vax, gente che non si arrende nemmeno di fronte all’evidenza. E’ un fatto incontrovertibile che con la crescita del numero dei vaccinati stiano continuamente diminuendo contagiati, ricoveri in terapia intensiva e vittime del Covid. Per costoro, Punto e virgola si è già espresso: non volete vaccinarvi? Bene (sarebbe meglio dire male, malissimo…), ma se vi ammalate vi pagate tutte le spese. Non si può fare? In un Paese davvero serio che ha a cuore la salute dei cittadini, si può, anzi si deve fare.
Tornando al tema della comunicazione che non sempre ha funzionato a dovere, basta ricordare la vicenda del vaccino AstraZeneca: prima sì, poi no, anzi forse, bisogna fare verifiche e poi nuovamente sì. Un tergiversare che ha suscitato dubbi e perplessità, tanto che in molti si sono rifiutati di vaccinarsi con quel prodotto. Si poteva e si doveva evitare, a livello europeo innanzitutto, un balletto inutile e controproducente. Tanto più che va pure segnalato che gli Open day AstraZeneca organizzati nel Lazio e riservati agli over 40 si sono rivelati un successo clamoroso. Prenotazioni esaurite in poche ore e tutte le dosi messe a disposizione regolarmente iniettate, con i centri aperti fino a mezzanotte. E adesso si pensa a ripetere e ad ampliare ulteriormente l’iniziativa. Segno tangibile che prevale, alla faccia dei No vax, il desiderio di immunizzarsi e di mettere in qualche modo un punto fermo dopo 14 e più mesi di pandemia.
Insomma, l’importante è che la campagna vaccinale prosegua su ritmi elevati e che nel più breve tempo possibile si arrivi alla cosiddetta immunità di gregge. Per poter tornare alla normalità. Per poter tornare alla vita. Ne abbiamo tutti un gran bisogno e senza dimenticare mai quelli che non ci sono più e ai quali va continuamente il nostro doloroso e struggente ricordo.
Buona domenica.
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