//“Fanum Voltumnae”, l’archeologia delle meraviglie

“Fanum Voltumnae”, l’archeologia delle meraviglie

di | 2019-03-24T09:57:00+01:00 24-3-2019 6:25|Sezione 6|0 Commenti
ORVIETO (Terni) – Il “Fanum Voltumnae”, cioè il grande santuario federale della lega etrusca della Dodecapoli, é stato individuato dagli archeologi in una piccola vallata tra il colle su cui sorge Orvieto e il poggio di Settecamini, a sud-ovest della città del Duomo, proprio all’inizio del percorso che univa l’Urbs vetus alla Bolsena antica, ora vocabolo Campo della Fiera.
La professoressa Simonetta Stoppini, il suo staff e gli studenti provenienti da tutta Italia, che da più di tre lustri stanno lavorando in questo sito, ricchissimo di reperti, hanno fatto riemergere una via sacra larga 10 metri e lunga 80 metri, in basolato, con una parte riservata al passaggio dei carri che hanno lasciato le tracce delle loro ruote (distanziate di un metro e venti) e una al transito delle processioni devozionali o trionfali. La via conduceva all’accesso del recinto sacro, dove sono stati rinvenuti quattro templi, utilizzati in tempi diversi, mentre un quinto viene collocato dagli studiosi, sotto la chiesa medievale di San Pietro in Vetere. Insomma, era qui il cuore pulsante della civiltà etrusca, nella fase del suo splendore e della sua massima espansione.
Gli etruschi chiamavano questo recinto sacro “il luogo celeste”: definizione riportata in un breve scritto su un frammento di ceramica, recuperato in loco. Una definizione che testimonia l’importanza dell’area (gli etruschi – ricordate il “fegato di Piacenza”? – riservavano una particolare attenzione alla volta celeste).
In precisi periodi dell’anno i “maiores” della Dodecapoli convenivano al santuario federale per assumere le decisioni comuni, come l’elezione di magistrati e per prendere parte agli agoni sportivi. Orvieto nell’antichità (parliamo del VI-V-IV secolo a.C.), svolgeva (vedere il rescritto di Spello), un ruolo paragonabile, sotto questo profilo, a quello di Olimpia nella Grecia classica. I ritrovamenti lasciano ritenere che le gare di maggior richiamo per i Tirreni fossero quelle dei carri. La destinazione religiosa e cultuale del luogo resisterà sino all’anno della “peste nera” (il 1368), e quindi, poco meno di duemila anni.
Il tempio A, distrutto dopo il 274 a.C., dai Romani, risulta ristrutturato all’epoca di Augusto, nel quadro della politica propagandistica del primo imperatore di Roma. Alla luce è stato riportato, tra l’altro, un altare monolitico, con resti di sacrifici (carbone e volatili), dedicati alle divinità infere (Demetra e Proserpina) e un “thesaurus” in leucite (per spiegarsi: una “cassetta per le elemosine”, contenente 220 monete romane d’argento, servite anche per la datazione del tempio), sistemato davanti all’altare. Da questo sito i Romani razziarono, quale bottino di guerra, quasi duemila statue di bronzo, di cui sono rimaste soltanto le basi marmoree. Dalla terra sono saltati fuori bronzetti (uno di un bambino con una palla in mano), vasi raffinatissimi, ceramiche, teste di una menade e di un dio, uno scarabeo in pietra verde, una foglia d’oro e una di bronzo, tanti oggetti d’uso femminile, testimonianza di ex voto o donazioni a divinità matronali (su uno degli oggetti è riportato il lemma “atial”, che significa “della madre”). In altre due fosse, di epoca augustea, sono stati recuperati un bronzetto del 490 a.C., (“Un vero capolavoro”, assicura la professoressa Stopponi), teste femminili, gioielli ed anelli (due in argento, il primo con incisa una sfinge, il secondo con un grifo), la testa in terracotta di un dio, con la barba e con una complessa acconciatura, individuato come Voltumna (il Vertumnus romano). Tutti i pezzi recuperati sono andati ad arricchire il già importante Museo archeologico nazionale di Orvieto.
Costruito in stile greco il tempio C, dotato di un colonnato, dove è stata rinvenuta un’anfora attica del 510 a.C., con dipinto un volto di Gorgone (“Con tanto di mascara agli occhi e le sopracciglia evidenziate”). Intorno a questo monumento, che venne abbattuto tra il 308 e il 280 a.C., all’epoca degli scontri più accesi e feroci tra Romani da un lato ed Etruschi e italici dall’altro, sono state rinvenute tombe di bambini, un poppatoio, reperti di statue greche, i resti di sacrifici di suini, ovini, bovini e persino di un cavallo (forse il cavallo di destra del carro vincitore, che era usanza sacrificare dopo il successo nella gara).
Nell’edificio E, proprio negli ultimi scavi, è stato trovato, tra i tanti (venti le casse riempite) un frammento di coppa a vernice nera col disegno di una cetra e la scritta “al dio” (Apollo? Le Muse?), un mosaico con al centro un fiore quadripetalo, marmi (persino gialli, provenienti addirittura dalle cave di Tunisi), una meridiana (questi strumenti di misurazione del tempo venivano installati solo in luoghi di notevole importanza e di grande frequentazione), due pantere rampanti, una moneta dell’epoca dell’imperatore Tiberio. Nel secondo secolo dopo Cristo, questo tempio che era soprelevato e arricchito da una elegante fontana, antistante ala scalinata di ingresso, venne ristrutturato con marmi pregiatissimi e trasformato in un impianto termale con tanto di frigidarium (abbellito da un mosaico di 50 metri con Scilla, che brandisce un remo, attorniata da mostri marini e da guizzanti delfini), calidarium e natatio (piscina) ed un mosaico con polipo. Più tardi nuova trasformazione: una fornace che produceva vetro e infine cimitero cristiano medioevale.
Il progetto (se si troveranno i finanziamenti) prevede l’allestimento di un percorso per rendere fruibili gli scavi ai visitatori (che ora si possono avvicinare soltanto durante le campagne estive), in questo periodi ricoperti (alcuni persino interrati) e controllati. Si spera anche di rappresentare con filmati in 3D la magnificenza e la sacralità di questo antico luogo di culto, tanto caro ai misteriosi etruschi. Un parco che, insieme al museo archeologico orvietano, potrebbe richiamare i numerosi amanti dell’archeologia, della cultura e del bello.
Elio Clero Bertoldi

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