ROMA – I romani, che avevano il culto della parola, indicavano con l’espressione “vir bonus dicendi peritus” l’uomo virtuoso e per questo capace di saper ben parlare. Noi invece oggi, nell’epoca della comunicazione spinta, siamo circondati da tanti aspiranti “sputasentenze” e non siamo più in grado di districarci tra le fallacie argomentative. Questo termine fu coniato dalla Scolastica per indicare ragionamenti errati ma psicologicamente plausibili, espedienti subdoli che possono far passare per vera una notizia falsa o non del tutto corretta. Siamo ormai lontani da quando l’onestà intellettuale era considerata una caratteristica imprescindibile per il politico la cui attività pubblica era rappresentata soprattutto dai comizi. Oggi, purtroppo, viene considerato comunicatore efficace colui che sa convincere il pubblico parlandogli “alla pancia” e toccando “nervi scoperti” con il solo proclamare slogan o parole d’ordine. E’ così che si è sostituita all’oratoria la demagogia, sua sorella “cattiva” e ben lontana dai suoi presupposti etici, avendo lo scopo di circuire il popolo al fine di ottenere consenso, e non certo di informarlo. Le fallacie, dunque, sono un’insidia in cui ci imbattiamo quotidianamente, sia nelle trasmissioni televisive che nei talk show e nelle tante notizie costruite a bella posta circolanti sui social. Il più delle volte in esse è contenuto ciò che gli uditori si vogliono sentir dire, e che per questo viene accettato come oro colato.
Peccato, però, perché a dire il vero l’oratoria era nata per ben altre finalità. Il filosofo e politico Cicerone (I sec. a.C.), dell’oratore prevedeva che questi fosse, oltre che onesto, anche “completo e ben preparato, in grado di parlare in modo esauriente ed eterogeneo di ogni argomento”. Alludeva al fatto che, per dirla in soldoni, non si può aprir bocca e darle fiato così, alla leggera, specialmente se nella società si ha un ruolo pubblico. Riteneva fondamentale, poi, che un buon oratore avesse una grande cultura affinché i suoi discorsi non sembrassero la mera ripetizione di concetti nozionistici imparati a memoria ma il frutto della sua conoscenza e dell’esperienza. Doveva essere, per prima cosa, una persona seria o – come si direbbe oggi non a caso – uno “di parola”. Questo, quindi, accadeva nell’antichità quando l’arte di parlare si coniugava bene con un ideale di vita semplice e civile. Ma la corruzione era già penetrata nelle maglie della Repubblica portandosi dietro la mistificazione, la propaganda e il populismo dell’Impero romano.
Da lì le fallacie, con il mettere una parolina in un posto ben preciso o aggiungere un avverbio apparentemente innocuo in una frase, hanno preso piede fino a diventare la base della comunicazione moderna e lo strumento attraverso il quale chi non è abbastanza portato per la logica viene raggirato e confuso. Oggi saper usare le fallacie può bastare per diventare imbonitore o politico, venditore o conduttore televisivo. E anche per diventare opinionista. Su internet si possono trovare le 20 fallacie per vincere un dibattito, e anche la guida completa per spiazzare l’avversario o convincerlo di una teoria, non mancano minicorsi per usarle nelle vendite (settore in cui vengono chiamate eufemisticamente “trucchi” o “tecniche”). C’è di buono, però, che a saper ben cercare, sul web ci sono anche dei siti che danno un’ampia panoramica delle fallacie più comuni e spiegano come riconoscerle e quindi aggirarle. La diffusione delle fallacie è stata amplificata dai social dove ognuno è diventato un po’ il giornalista di se stesso.
Non solo politici ma anche utenti comuni hanno trovato qui il terreno per orientare l’informazione secondo la loro visione personale, saltando la mediazione dei professionisti il cui ruolo invece è proprio quello di verificare l’attendibilità di ogni notizia. Assistiamo continuamente ai proclami di chi, anche in assistenza di formazione specifica, si rivolge ad un pubblico di fans che riescono a portare sul loro terreno con l’escamotage di qualche trucco, che però un professionista serio non potrebbe usare. E’, questo, un danno gravissimo all’informazione la cui qualità si abbassa progressivamente non essendo sottoposta, come dovrebbe, al controllo dei giornalisti, che per codice deontologico hanno il dovere di farlo. Invece no. Ormai c’è solo l’autoreferenzialità: politici e opinionisti si intervistano e si rispondono pure da soli, facendo passare per fatti delle opinioni personali con un subdolo intento manipolatorio. Nell’epoca dell’apparenza questo sembra normale. Se si chiede a qualcuno l’origine di una notizia è facile sentirsi rispondere: “L’ho letta su facebook”, come se ciò bastasse a renderla vera.
Le fallacie sono un vizio umano come umano è non essere sempre chiari e trasparenti nella comunicazione. Ma bisogna vigilare, oggi più che mai perché ci siamo tutti dentro e pure con tutte le scarpe ed ogni riferimento non è affatto casuale. Quindi, si salvi chi può.
Gloria Zarletti
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