“Sono soltanto 22 uomini che corrono dietro ad un pallone: il pathos e la poesia non c’entrano nulla”. Quante volte lo abbiamo ascoltato? Quante volte ce l’hanno detto? Più o meno lo stesso numero di volte in cui siamo rimasti increduli dinanzi a tali affermazioni. Perché, anche se spesso non ce lo raccontano, il calcio è stato una colonna portante della vita di molti artisti, poeti, filosofi. Tra i tanti, vale la pena ricordare Fabrizio De André.
Cosa c’entra Faber con il calcio?, viene da chiedersi. Il De André apocrifo, nel cuore, ha portato due colori ed un pallone. Di Genova, come lui stesso racconta, se ne innamorò subito tremendamente, al punto di inserirla più volte nei suoi testi. Esemplare – in questo senso – è “Via del Campo”.
Del Genoa, invece, ne ha sempre parlato molto poco: gli amori più intensi, in fondo, non necessitano di un pubblico racconto. Rare sono le citazioni circa la sua passione rossoblù: una volta, rispondendo alla domanda di un giornalista, dichiarò di essere troppo coinvolto dal Grifone per potergli scrivere un inno che poi, alla fine, avrebbe assunto i tratti di una canzone d’amore.
Un sentimento silenzioso, capace di concedere, una volta alla settimana, quella cercata ora di libertà.
Il calcio, spesso, sa trasformarsi in arte per confondersi con la poesia. Pasolini, Montanelli, Saba. Intellettuali d’ogni tempo travolti dalle emozioni del pallone. Faber, la sciarpa al collo ed il nodo in gola li ha portati per tutta la sua esistenza. Anche lui, la domenica, attendeva con ansia il risultato di un incontro; esultava ad un gol, se la prendeva con il destino dopo un rigore sbagliato. Ha rincorso il vento nei giorni perduti per chiedere un bacio alla sua squadra. Qualcuno, nella rottura dello stereotipo che accomuna il calcio all’ignoranza, potrebbe restarci male, ma deve farsene una ragione: l’amore ha l’amore come solo argomento.
Il tumulto del cielo ha sbagliato momento.
Alessio Campana
Nella foto di copertina, Fabrizio De Andrè
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