ROMA – La popolazione moderna è più longeva rispetto a quella di circa un secolo fa quando i tassi di natalità e mortalità erano molto superiori rispetto a quelli attuali. La natalità era maggiore in quanto, in un contesto rurale e contadino, i figli rappresentavano braccia per lavorare; ma anche la mortalità era maggiore per via di guerre e malattie. Quindi, si nasceva di più, ma si moriva molto prima.
Attualmente il progresso e l’industrializzazione hanno modificato sia il tessuto sociale che lo stile di vita, ci sono meno nascite e la popolazione, in generale, è più longeva. Ma quali sono i fattori che contribuiscono a questo allungamento della vita? Nel 1975, una prima ricerca del demografo Samuel Preston, sosteneva che la longevità era conseguenza dell’aumento della ricchezza mentre nel 1985 i suoi colleghi australiani John e Pat Coldwell sostenevano che la stessa era relativa al miglioramento globale del livello di istruzione. Due ricercatori dell’International Institute for applied system analysis (USA) e della Vienna University Economics (Austria) hanno verificato entrambe le precedenti teorie analizzando i dati relativi a 174 paesi raccolti fra il 1970 e il 2015.
Gli stessi hanno confrontato i dati dell’aspettativa di vita con quelli dell’istruzione e del reddito pro capite ed hanno notato che benché vi fosse una correlazione fra l’allungamento della vita con entrambi i predetti fattori (maggior salario e maggiore istruzione), la relazione fra una lunga vita e lunghi studi era quella più lineare e costante. Il nesso fra ricchezza e longevità esiste perché grazie a buone possibilità economiche si può accedere a buone cure; inoltre, una migliore cultura non solo dà accesso a posizioni lavorative più prestigiose e quindi meglio retribuite, ma fa anche optare per l’adozione di uno stile di vita corretto e quindi più salutare (sana alimentazione, prevenzione delle malattie e pratica di attività sportive).
I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista Population and Development Review e, dovrebbero servire, secondo i ricercatori, a sensibilizzare le classi politiche dirigenti sulla necessità e l’opportunità che gli investimenti nel campo dell’istruzione globale diventino una priorità assoluta per tutti i Paesi.
Silvia Fornari
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