Eric Alm, bioingegnere del MIT di Boston, qualche anno fa è stato coinvolto in un esperimento sui batteri dell’intestino e, avendo difficoltà a reclutare volontari affidabili e volenterosi che mettessero da parte le proprie feci, ogni giorno, con costanza e precisione, ha deciso di fare da sé. Le complicazioni maggiori le ha avute il suo assistente, che ha dovuto spiegare alla moglie che cosa fossero quei barattolini nel frigo. E quando è andato in vacanza in Messico ha dovuto farsi fare una speciale autorizzazione per riportare a casa il bagaglio. La storia del loro esperimento è così singolare da essere finita sui giornali, ma i due scienziati l’hanno ugualmente pubblicata.
Santorio Santori nasce il 29 marzo 1561 nell’odierna Capodistria (Slovenia). A Padova studia filosofia e medicina, nel 1582 si laurea e comincia a lavorare sul tema della sua vita: i cambiamenti di peso di un corpo prima e dopo l’ingestione di cibo e prima e dopo l’emissione degli escrementi. Nel 1614 pubblica il De statica medicina, che ha da subito un grandissimo successo. In un secolo e mezzo avrà 84 ristampe e sarà tradotto nelle principali lingue europee. Un anno dopo la pubblicazione, Santorio ne invia una copia a Galileo precisando di essersi basato su due pilastri: il principio di derivazione ippocratica, per cui la medicina è essenzialmente l’aggiunta di quel che manca e la rimozione di ciò che è superfluo; mentre il secondo è l’esperimento. Fatto su se stesso, nel caso specifico.
Due secoli dopo, dall’altra parte del mondo, un altro scienziato finisce inscatolato in uno strumento di sua costruzione. Si chiama Wilbur Olin Atwater e vuole misurare il potere nutritivo degli alimenti e confrontarlo alle necessità energetiche dell’organismo umano. In questa grande scatola mette se stesso e i suoi collaboratori, e non misura solo i cambiamenti del peso ma soprattutto misura le temperature. Dopo anni di pesate e autopesate, Atwater riuscirà a chiudere la sua opera monumentale nella quale descrive il contenuto calorico di quattromila alimenti. Insieme ai collaboratori Edward Bennett Rosa e Francis Gano Benedict costruisce i calorimetri, o «camere respiratorie». In sostanza erano camerette sigillate, lunghe poco più di due metri e larghe la metà, dentro cui un soggetto poteva alloggiare anche cinque giorni di fila. Da fuori si inserivano gli alimenti, si ritiravano gli escrementi e si facevano misure. Dentro queste camerette il soggetto poteva sedersi alla scrivania, leggere, camminare lungo le pareti, compiere qualche attività preordinata e poco altro. Di notte, si tirava giù il letto e il soggetto poteva dormire. In questo modo diventò possibile calcolare la quantità di energia necessaria a un essere umano per vivere e per fare attività fisica.
“Da sempre – riflette Silvia Bencivelli – gli autoesperimenti si sono concentrati soprattutto nell’ambito delle malattie infettive e in anestesiologia. Non dovrebbe stupire: per secoli siamo morti soprattutto di infezioni, quindi era lì la massima urgenza della ricerca medica. Quanto all’anestesiologia, è il campo in cui la comodità di avere una cavia accondiscendente è massima, così come è massimo il vantaggio di avere una valutazione diretta degli effetti della propria procedura (non devi chiedere «funziona?»: te ne accorgi da te). Oggi non è più il tempo dello scienziato solitario chiuso nel suo gabinetto a giocare con gli alambicchi, né è tempo di sperimentazioni senza controllo. Oggi si lavora in gruppi di ricerca che devono cercare finanziamenti e rispondere ai finanziatori e all’opinione pubblica. Poche perdite di tempo e molta statistica per avere risultati più oggettivi possibile. È anche tempo di propaganda, di intrecci complicati tra scienza, economia e politica, ed è tempo di spin doctor e strateghi della comunicazione”.
Barry Marshall vince il premio Nobel per la Medicina nel 2005: la storia della sua scoperta è decisamente particolare. Prima delle sue ricerche, si credeva che l’ulcera fosse unicamente dovuta a una condizione di stress. Per questo, era molto difficile da curare. Ma Marshall dimostra che c’è anche un batterio coinvolto. Insieme al collega Robin Warren, patologo dell’Ospedale di Perth, inizia a raccogliere dei campioni dai pazienti che si lamentano di dolore di stomaco. All’inizio degli anni ’80, in alcuni pazienti inglesi i dottori trovano gli stessi batteri presenti in quelli australiani: si tratta di Helicobacter Pylori. Per dimostrare la sua teoria che l’H. P. causa l’ulcera, cerca di infettare alcuni animali di laboratorio con questo batterio. Ma senza successo: soltanto i primati sono affetti da questo specifico batterio, e i limiti etici e legali proibiscono i test sugli esseri umani. Per questo, il medico non può pubblicare alcun paper scientifico sulla sua scoperta. Alla fine, decide di fare il test su sé stesso. Inserisce i batteri in un brodo e lo beve. Dopo cinque giorni sviluppa i sintomi dell’ulcera e dopo 10 giorni un’endoscopia mostra che i batteri sono dappertutto. Guarisce dopo essersi curato con semplici antibiotici. L’Helicobacter Pylori causa l’ulcera peptica. E così Marshall permette a chi soffre di questa malattia di lasciare la sala operatoria e di affidarsi al medico di famiglia…
Tu Youyu nasce nel 1930 a Ningbo, la sua famiglia dà grande importanza all’istruzione, ma a 16 anni Tu deve prendersi una pausa di due anni dallo studio perché contrae la tubercolosi. Quando torna a scuola, sa esattamente cosa vuole fare: iscriversi a medicina. Al Beijing Medical College, studia Farmacologia e impara a classificare le piante medicinali, a estrarre principi attivi e a determinare le loro strutture chimiche. Negli anni Sessanta, il Vietnam del Nord chiede aiuto alla Cina per combattere la malaria, che sta causando enormi perdite tra i suoi soldati: il parassita unicellulare che causa la malattia è diventato resistente alla clorochina, il trattamento standard. Nel 1967 il presidente Mao lancia il Progetto 523 con l’obiettivo di trovare una cura per la malaria: Tu Youyu ne diventa la responsabile. Decide di recarsi subito nell’isola di Hainan, nel sud della Cina, dove è in corso una terribile epidemia di malaria. In quelle foreste pluviali, Tu assiste all’effetto devastante della malattia sul corpo umano. Al ritorno a Pechino, esamina antichi testi medici cinesi per cercare di comprendere i metodi tradizionali nel combattere la malaria. Trova un riferimento all’assenzio dolce, utilizzato in Cina intorno al 400 d.C. per curare le “febbri intermittenti”, un sintomo tipico della malattia. Tu e due colleghi testano la sostanza su sé stessi prima di somministrarla a 21 pazienti nella provincia di Hainan. Guariscono tutti. L’anno successivo, il team di Tu distilla il principio attivo del composto, l’artemisinina. Ci vorranno altri due decenni, ma alla fine l’OMS raccomanderà la terapia con artemisinina come prima linea di difesa contro la malaria. Nel 2015, riceve il Nobel per la Medicina, ex aequo con William C. Campbell e Satoshi Omura.
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