PALERMO – Nelle 75 pagine assai dense del libretto Svegliamoci! (Mimesis Edizioni, Milano, 2022), il filosofo e sociologo francese Edgar Morin fornisce un’acuta analisi delle criticità dell’attuale sistema sociale.
Il filosofo denuncia innanzitutto il mito del ‘transumanesimo’, termine che indica il completo dominio dell’umano sulla biologia e il potenziamento dell’intelligenza artificiale. Ma, a suo avviso “la filosofia transumanista maschera il vero problema dell’umanità, che non consiste nell’aumento quantitativo dei suoi poteri ma nel miglioramento qualitativo delle condizioni di vita e delle relazioni fra gli uomini”.
Morin afferma poi che “è il progresso, nella sua forma tecno-economica, a condurre verso il disastro” poiché esso sta trasformando l’antropocene – così viene ormai definita la nostra epoca – in ‘thanatocene’, fase di morte e distruzione. Per Morin, il motore principale della minacciosa crisi incombente è “la potenza prodotta dalla trinità scientifico-tecnico-economica animata dal dominio insaziabile del profitto, come dall’energia implacabile degli Stati”. In tale contesto, la globalizzazione non è stata altro che “una mondializzazione tecno-economica”, realizzatasi sotto l’egida dell’onnipotenza del profitto.
Viene di conseguenza denunciato il catastrofico imperativo della crescita, dogma della società contemporanea. Già nel 1972, nello studio I limiti dello sviluppo, si sottolineava che il nostro pianeta, con i suoi delicati ecosistemi e i limiti della biosfera, non può sopportare una crescita tecno-economica progressiva: “Paradossalmente, dovremmo fermare la crescita per salvare il pianeta e sostenere la crescita per salvare la regolazione delle società moderne”. “Il superamento di questa contraddizione non può che venire da una politica che assicuri la decrescita di tutto ciò che inquina e distrugge e la crescita di tutto ciò che salvaguarda e rigenera”. Ma la maggior parte dei responsabili della vita pubblica sono incapaci di affrontare questa contraddizione e dimenticano “l’interesse generale, che è planetario, per concentrarsi sui propri interessi privati immediati, legati alla crescita economica”.
Purtroppo – ripete da sempre Morin – l’umanità è incapace di un pensiero complesso, che includa e contemperi gli opposti: “La nostra educazione ci ha inculcato un modo di pensare incapace di collegare le conoscenza per affrontare le complessità della nostra storia e del nostro tempo”; “il pensiero egemonico si fonda su una concezione della razionalità limitata alla logica aristotelica che esclude qualunque contraddizione come un’assurdità”. Secondo Morin, è necessaria invece una rivoluzione paradigmatica, capace di “riconoscere, distinguere e riunire antagonismi complementari”.
Con una calzante metafora, lo studioso ci esorta poi a navigare nei mari dell’incertezza, rinunciando a ogni concezione lineare della Storia: bisogna essere capaci di reggere il timone anche nelle acque incerte e drammatiche della modernità, senza l’approdo sicuro di un porto religioso o metafisico, cercando sempre di “trasformare la specie umana in umanità”.
È necessario allora, incalza ancora il filosofo, “abbandonare il sogno prometeico di dominare l’universo per aspirare alla convivialità sulla Terra”, riconoscendo il nostro legame originario con la biosfera e organizzando di conseguenza modalità di vita sociale adeguate.
Dobbiamo, quindi, coltivare una politica pienamente umanista, “una politica nuova che integri in sé l’ecologia, la cui portata è capitale e multidimensionale, riguarda cioè tutti gli aspetti politici, sociali, tecnici e scientifici”.
E il pensatore francese conclude il testo con un crescendo di proposte lucide e profetiche, da lui stesso definite “prospettive grandiose in grado di mobilitare energie”: “Salvare il pianeta minacciato dal nostro sviluppo economico. Regolare e controllare lo sviluppo tecnico. Assicurare uno sviluppo umano. Civilizzare la terra”.
Morin, che non è affatto un utopista ingenuo, sa bene che non si potranno mai eliminare dal mondo la sofferenza e la morte, ma, a suo avviso, si può e si deve “aspirare a un progresso nelle relazioni fra esseri umani, etnie e nazioni. Rinunciare al migliore dei mondi non significa affatto rinunciare a un mondo migliore”. Ed esprime alla fine tre principi di speranza: primo, puntare sull’improbabile, sugli avvenimenti quasi impossibili che comunque possono accadere, cambiando in positivo il corso delle cose; secondo, essere consapevoli che qualunque sistema che trasformi società e persone in macchine non può durare all’infinito; terzo, aver fede sulla creatività e sulle possibilità della mente umana: “le sue possibilità sono incommensurabili, non solo per il peggio, ma anche per il meglio. Se sappiamo come distruggere il pianeta, abbiamo anche la possibilità di sistemarlo”.
Grazie di cuore, dunque, al vegliardo francese (101 anni compiuti a luglio) che non si stanca di indicare vie di salvezza e invita a percorrerle con grinta, lucidità e coraggio, tenendoci laicamente per mano come ‘fratelli tutti’.
Maria D’Asaro
Grazie anche a te, Maria D’Asaro, che continui a credere nella possibilità, appunto, che il mondo diventi migliore e indichi letture che vale la pena fare.
Grazie sia a Morin che a Maria. Il mondo sarà anche quello che noi avremo deciso che sarà.