PALERMO – Secondo l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) sono circa 166 milioni nel mondo i giovani con problemi di salute mentale: un adolescente su sette, tra i dieci e i diciannove anni, convive oggi con un disturbo mentale diagnosticato. L’Unicef informa poi che, afflitti soprattutto da ansia e depressione, 46.000 ragazzi tra i quindici e diciannove anni ogni anno arrivano al passo estremo del suicidio; in tale fascia di età il suicidio si configura come la quarta causa di morte.
“C’è quasi un’epidemia di disturbi d’ansia e di depressione che colpiscono soprattutto i più giovani – ha dichiarato il professore Vincenzo Villari, psichiatra e psicoterapeuta, ai microfoni del TG scientifico Leonardo –. Purtroppo, in un sistema sanitario dove c’è scarsità di risorse, la terapia di supporto o una psicoterapia vera e propria per i disturbi emotivi e quelli depressivi spesso non è adeguata. In Italia c’è stata infatti una riduzione progressiva del budget per la salute mentale, che ammonta a circa il 3% del Piano Sanitario Nazionale, mentre in Paesi come Francia, Germania e Gran Bretagna è due o tre volte maggiore”.
Intanto tra i giovani si diffonde l’eco-ansia, definita anche ansia climatica o ansia ecologica: termine che descrive la sensazione e lo stato emotivo di disagio e di paura per i possibili disastri ecologici e ambientali correlati al cambiamento climatico. Giorgia, una giovane attivista, ha espresso così il suo stato d’animo in un confronto con l’attuale Ministro per l’Ambiente: “Soffro di ecoansia… a volte penso che non ho un futuro perché la mia terra brucia”. L’eco-ansia, già studiata dal 2007, ha ricevuto una certa attenzione mediatica dal 2017, quando Greta Thunberg ha dichiarato pubblicamente la propria ansia personale per il cambiamento climatico.
Nel 2018 l’APA (American Psychological Association) ha pubblicato un rapporto relativo all’impatto dei cambiamenti climatici sulla salute mentale, dichiarando che “i cambiamenti climatici graduali e a lungo termine possono anche far emergere una serie di emozioni diverse, tra cui paura, rabbia, sentimenti di impotenza o esaurimento”. Tale associazione descrive l’eco-ansia come “la paura cronica del cataclisma ambientale che deriva dall’osservare l’impatto apparentemente irrevocabile del cambiamento climatico e la preoccupazione associata per il proprio futuro e quello delle prossime generazioni”.
L’APA, pertanto, ritiene che l’interiorizzazione dei grandi problemi ambientali che affliggono il nostro pianeta possa avere conseguenze psicologiche significative nelle persone. Nella letteratura scientifica, l’eco-ansia è stata definita anche come “la sensazione generalizzata che le basi ecologiche dell’esistenza siano in procinto di crollare”. Nonostante alcuni studiosi sottolineino che l’eco-ansia non sia ancora classificata tra le patologie, ma sia considerata piuttosto una comprensibile reazione negativa alla gravità della crisi ecologica, sono evidenti i casi in cui l’eco-ansia è così forte da richiedere un supporto per la salute mentale. Questa tipologia di disturbo ansioso ha un impatto maggiore sui giovani e si può paragonare a quella provata dai “baby boomer” durante la guerra fredda circa l’eventuale scoppio di un conflitto nucleare. In particolare, oggi molte giovani coppie confessano di provare così tanta ansia e paura per il futuro a causa del cambiamento climatico da scegliere di non avere figli.
Questo il parere di Giancarlo Marenco, presidente dell’Ordine degli Psicologi del Piemonte: “La pandemia che ha spaventato molto e i cambiamenti climatici che spaventano altrettanto danno una forte incertezza rispetto a quello che sarà il futuro. Hanno questi pensieri e queste paure soprattutto i giovani; timori che si manifestano con sintomi prevalentemente psico-somatici e sintomi ansiosi: senso di soffocamento, tensione interna che rimanda alla condizione di incertezza data dalla situazione dei cambiamenti climatici”. Secondo il professore Marenco è fondamentale che gli operatori della salute mentale ascoltino con attenzione il disagio dei giovani; l’Ordine degli psicologi del Piemonte sta cercando anche l’aiuto di associazioni ambientaliste per essere aggiornato su dati e conseguenze della crisi climatica.
“Spero però – conclude il professore Marenco – che il malessere sia anche una spinta a fare, attivi una modalità partecipativa, aggreghi i giovani e li spinga ad occuparsi in prima persona dei temi ambientali. Secondo me, questo potrebbe essere l’aspetto positivo dell’eco-ansia: tradurre la preoccupazione in un impegno per un mondo migliore. Ricordiamo che sono i giovani che in questo momento stanno lottando per tutti noi”.
Maria D’Asaro
Lascia un commento