Che i boschi da sempre sono una risorsa ambientale ed economica è risaputo da sempre ma oggi, con la cementificazione dei territori con strade e urbanizzazione selvaggia, con una crisi climatica ormai acclarata e con la ricerca del profitto ad ogni costo da parte dell’industria del legno, l’argomento è diventato motivo di scontro tra il mondo scientifico, gli ambientalisti e, appunto, coloro che nelle foreste vedono solo un’occasione di guadagno. E non parliamo solo delle grandi estensioni arboree ma anche di quei piccoli nuclei di verde che si notano attorno a città e paesi e che da un giorno all’altro vengono attaccati e abbattuti da gigantesche motoseghe.
A sfatare i più diffusi luoghi comuni che “fanno comodo agli appetiti insaziabili di un’industria in cerca di nuove opportunità di guadagno” ci hanno pensato Loris Cucchiarini (coordinatore del Centro di educazione ambientale e forestale delle Foreste casentinesi e guida ambientale escursionistica) e Alessandro Bottacci (direttore del parco nazionale Foreste casentinesi, monte Falterona e Campigna) che in un recente articolo su Il Fatto Quotidiano hanno affrontato il delicato argomento della situazione forestale italiana. Tre in pratica i punti – che i due articolisti definiscono “miti” – presi in esame. Vediamoli sinteticamente e brevemente uno per volta così come hanno fatto gli stessi articolisti.
Mito n.1: in Italia i boschi cominciano a diventare persino invadenti, siamo tra le nazioni più ricche d’Europa in quanto a foreste, come la Finlandia o i paesi balcanici; si parla addirittura di “perdita di paesaggio” in un Paese dove l’uomo, presente da tantissimo tempo, non ha una vera vocazione forestale e quindi l’avanzata dei boschi va regimata o arrestata per non modificare il paesaggio storico.
“Tesi del tutto infondata”, affermano Cucchiarini e Bottacci, secondo i quali mentre la media europea di copertura forestale è del 44%, in Italia siamo solo al 33%. L’Italia non è un Paese vocato alla selvicoltura, applicata per lo più alle foreste alpine e, molto meno a quelle prealpine e quasi per nulla sull’Appennino. Unica eccezione le foreste demaniali dello Stato dove, soprattutto nel dopoguerra, sono state ricostituite le aree deforestate nei due secoli precedenti.
Circa il 75% della superficie forestale italiana è governata a ceduo, pratica anacronistica e con un grande impatto negativo, che prevede il taglio raso di vaste superfici di bosco a intervalli di tempo molto ravvicinati (14/20 anni) e che espone il territorio a un’intensa e pericolosa erosione.
Mito n.2: i boschi, specialmente quelli impiantati dall’uomo, sono equiparabili a manufatti e quindi vanno tenuti puliti e in ordine, altrimenti si degradano. Di conseguenza, la “gestione attiva” (inspiegabilmente considerata sinonimo di “gestione forestale sostenibile”) sarebbe lo strumento più idoneo a mantenere in efficienza i soprassuoli forestali e a massimizzare la fornitura dei servizi ecosistemici.
Tesi accettabile solo in parte. Gli scienziati e i ricercatori del settore hanno dimostrato che le foreste, anche quelle impiantate dall’uomo, seguono processi naturali che vanno verso l’aumento della complessità e della stabilità. “La manutenzione – come sottolineato su Il Fatto Quotidiano – diviene necessaria solo in presenza di infrastrutture – come strade, ponti e simili – dove gli alberi cadendo possono, indirettamente o direttamente, provocare danni”. Le foreste non hanno bisogno dell’intervento dell’uomo, esistono da molto tempo prima che l’uomo facesse la sua comparsa sulla Terra. Ciò non significa che non si debba usare il legno ma se vogliamo raggiungere una vera e moderna economia forestale dobbiamo puntare a due cose: lasciare che le foreste divengano più evolute e stabili, e intervenire con i prelievi avendo cura di creare il minor disturbo possibile al sistema biologico.
Mito n°3: dai nostri boschi si può produrre energia rinnovabile attraverso un incremento dei tagli, per ottenere biomasse e l’avvio di circoli virtuosi di liberazione (attraverso le combustioni) e recupero del carbonio (attraverso la successiva ricrescita degli alberi).
Loris Cucchiarini e Alessandro Bottacci rispondono così: “I circoli virtuosi legati alla produzione di energia verde rinnovabile manifestano gli appetiti insaziabili di un’industria in cerca di nuove opportunità di guadagno facile. Bruciare la legna di un bosco provoca il rilascio immediato di CO2, il processo inverso (assorbimento dell’anidride carbonica emessa, tramite la fotosintesi) richiede tempi decisamente molto più lunghi. “Intensificare i tagli per produrre energia, oltretutto in modo scarsamente efficiente – affermano Cucchiarini e Bottacci – serve solo a trasformare i boschi da serbatoi di anidride carbonica in sorgenti di questo pericoloso gas serra”.
Va detto anche che il taglio del ceduo interviene negativamente su molti altri servizi ecosistemici: incrementa l’erosione di una risorsa preziosa come il suolo, dove si trovano immagazzinate grandi quantità di carbonio organico e dove si svolgono i processi di base che mantengono vitali gli ecosistemi forestali. Abbiamo deforestato per millenni, è arrivato il momento di invertire il processo: tutelare le aree forestali in crescita, piantare miliardi di alberi su milioni di ettari, estendere le buone pratiche forestali ad alto livello conservativo, rispettose del bosco e in grado di fornire il legname che ci serve senza produrre danni. La foresta significa suolo, acqua e aria pulita, conservazione della biodiversità, miglioramento del clima, benessere per la società, produzione legnosa responsabile. “È questo l’obiettivo che dovremmo porci tutti a favore della generazione presente e di quelle future”.
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