MILANO – Partire quest’anno era un bel dilemma. Chissà che file? Chissà quanti controlli? E se per il caldo mi si alza la temperatura? Meglio arrivare in aeroporto con tre ore di anticipo, dopo essersi ben idratati. E invece? Il 31 luglio, arrivati a Milano Malpensa in partenza per Palermo si scopre che se c’è un luogo “Covid free”, quello è proprio l’aeroporto. Si legge sui siti ufficiali: “La Certificazione verde COVID-19 è richiesta in Italia per partecipare alle feste per cerimonie civili e religiose, accedere a residenze sanitarie assistenziali o altre strutture, spostarsi in entrata e in uscita da territori classificati in ‘zona rossa’ o ‘zona arancione’. E’ inoltre necessaria per accedere a qualsiasi tipo di servizio di ristorazione al tavolo al chiuso, spettacoli, eventi e competizioni sportive, musei, istituti e luoghi di cultura, piscine, palestre, centri benessere, fiere, sagre, convegni e congressi, centri termali, parchi tematici e di divertimento, centri culturali e ricreativi, sale da gioco e casinò, concorsi pubblici”. Effettivamente non si fa menzione degli aeroporti.
Infatti, nessuno ti chiede il famigerato green pass e nessuno ti misura la temperatura. Correndo alla ricerca dell’uscita, scopri che tutti i negozi sono colmi di gente che compra gli ultimi regali da portare a parenti e amici e per un attimo sembra di trovarsi in un mercatino di Natale, con tutti elettrizzati dalle compere e pronti per godersi la vacanza. Solo le mascherine ricordano che siamo in piena pandemia, ma vengono indossate solo per abitudine e per senso civico, perché nessuno controlla che realmente siano correttamente posizionate coprendo naso e bocca. Se non fosse per i classici voli cancellati e per i ritardi mostruosi, nell’aeroporto di Malpensa sembra di vivere in una dimensione parallela, un’isola felice, dove il Covid è un ricordo lontano. E chiacchierando amabilmente tra i passeggeri, compagni di volo, scopri che a nessuno è stato chiesto il certificato verde, che tutti hanno pensato di recarsi in aeroporto con tre ore di anticipo con l’ansia della “botta di caldo” che ti fa alzare la temperatura e che, come nella canzone di Gaber “Avrò spento il gas?”, hanno controllato dodici volte di avere stampato la certificazione di vaccinazione. Chi a colori e chi in bianco e nero. Quelli più avanti invece hanno scaricato il QR code.
Le distanze, arrivati davanti al proprio gate, si accorciano sempre di più e una buona parte dei passeggeri iniziano ad ammassarsi, sudati, stropicciati, mezzi addormentati come in una discoteca, quasi spalla a spalla. Uno dei dilemmi esistenziali del nostro secolo è il perché in tanti si mettano in fila mezz’ora prima dell’imbarco davanti alle porte. Sembra quasi un rito di iniziazione, qualcuno prima o poi dovrà informarli che, a meno che non si impegnino, senza di loro l’aereo non parte. Nel percorso, a terra, non ci sono nemmeno dei segnali per indicare le distanze, nessuna voce metallica, come quella del supermercato, ricorda di indossare la mascherina. Niente. Nulla. Seduti sui bordi del muro o sulla sedia agognata, rubata al viaggiatore inconsapevole che si è alzato per andare alla “toilette”, perdendo il posto, c’è chi invece sgranocchia uno snack rigorosamente comprato dopo i controlli (naturalmente senza mascherina) e chi beve un succo di frutta (ovviamente senza mascherina). Mentre il passeggero (sempre quello della toilette) racconta che vicino ai servizi c’è anche un’area fumatori, aperta a chi ne avesse bisogno, con 10 persone chiuse dentro.
Il bello dell’aeroporto, soprattutto per chi va verso località di mare e comunque intravedere la leggerezza e ascoltare le storie di chi come Gianni e Lucio ha girato il mondo per lavoro e finalmente torna a casa o di chi spensierato immagina di fare un tuffo, nel caso specifico, a Mondello. C’è chi disegna, chi non si stacca dall’iphone, chi pensa, chi legge, chi immagina, chi si arrabbia per il volo cancellato. E poi dopo ritardi, rinvii, l’ansia di non partire, viene annunciato l’imbarco e si aprono le porte e inizia una vera processione di persone che si accalcano come un fiume umano verso il gate. Dimenticando il distanziamento, dimenticando i mesi a casa con i contagi galoppanti, distratti dalla voglia di salire sull’aereo, nessuno pensa nemmeno più che chi gli sta accanto potrebbe essere inconsapevolmente positivo e veicolo del virus. Tutto dimenticato.
“E’ assurdo – commenta Giuseppe seduto per terra lontano dalla calca – vedere tutte queste persone praticamente appiccicate l’una con l’altra. I media hanno tanto parlato di green pass e delle restrizioni legate a chi non ha la doppia vaccinazione e invece qui nessuno dice nulla. Nemmeno una voce di sottofondo ricorda l’importanza del distanziamento, nessuno mi ha nemmeno misurato la temperatura”. “Sai cosa penso – continua Stefania che ascolta – che io ho stampato il green pass, indosso la mascherina Ffp2 e sono vaccinata. Adesso sto tornando a Capaci dai miei genitori e in questi mesi sono sempre stata attenta, ho evitato i luoghi affollati soprattutto perché sapevo che dovevo tornare da mia madre che è un soggetto fragile, allergico a molti medicinali ed è l’unica in famiglia che non ha fatto il vaccino, praticamente non esce mai. E io? Mi sa che prima di riabbracciarla, dopo un anno che non la vedo, andrò a fare un tampone, pensavo ci sarebbero stati dei controlli maggiori”.
E dopo 20 minuti accalcati davanti alle porte e il viaggio in bus, vicini vicini, si entra nell’aereo che porterà verso la Sicilia. E sopra l’aeromobile scopri di meglio, non ci sono posti vuoti. Le file ognuna delle quali è composta da tre poltroncine, sono tutte al completo e le sedute non sono alternate. Siedi vicino a un passeggero di cui non sai nulla, nemmeno se ha fatto il vaccino oppure no, condividendo un limitato spazio vitale. E non basta. A metà volo il personale ti offre da bere, il che prevede che ti debba togliere la mascherina per adempiere al gesto. Il paradosso è che (sembrerebbe quasi la nota stonata) una voce poco prima del decollo ricorda l’obbligo della mascherina durante il viaggio. E allora perché proponi qualcosa da bere?
Ma al ritorno, tutto sarà diverso, dopo il 6 agosto le misure saranno più stringenti e i controlli più ferrei. E invece? Venerdì 20 agosto, stesso volo ma con viaggio inverso, inverso come l’umore di chi lascia il mare per tornare nel luogo di lavoro, stesse facce, solo più abbronzate e tristi, stessi assembramenti, stesse compere, questa volta per i colleghi, stesse scene, stesse file e stessa assenza di controllo sul distanziamento, temperatura, green pass o mascherina. Ma una lancia bisogna spezzarla, bisogna vedere sempre il bicchiere mezzo pieno. Infatti al ritorno una voce dentro il velivolo, finalmente fa un monito, raccomandando di evitare di stazionare davanti alle porte dei bagni e nel corridoio in più di due persone per evitare assembramenti (questi sì che sono i veri assembramenti), mentre l’hostess si allunga per offrire un bicchiere d’acqua che o berrai per osmosi o….
Alessia Orlando
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