SAN GREGORIO DA SASSOLA (Roma) – La storia è sempre quella: che c’è un castello dove viveva un feudatario cui gli abitanti del borgo dovevano pagare le tasse per potergli garantire tutti gli agi possibili. Che poi con il tempo il proprietario del castello, evolvendosi la situazione politica, è cambiato e non era più il feudatario: si chiamava “signore” ma comunque la comunità gli doveva sempre qualcosa anche se in forma diversa. La storia continua con varie vicissitudini e nell’era moderna quel castello è diventato di proprietà pubblica: dal 1991 i cittadini ne hanno potuto finalmente usufruire, organizzarci manifestazioni e anche i turisti, in visita ad un territorio ricchissimo di storia, hanno potuto visitarlo.
Ma la disponibilità del bel castello per gli abitanti del borgo è terminata presto perché poi, in un modo che non si sa bene come, esso è tornato in mano a qualcuno che ne ha chiuso i battenti: niente più visite guidate, niente più attività culturali né spazi per le associazioni locali. I sangregoriani, lì dentro, non hanno più potuto entrarci se non pagando profumatamente per pranzarci, prendere un drink o affittare le sue sale. Per passarci la notte il costo oggi è di 230 euro.
Nel frattempo, infatti, il bel maniero è diventato il monumento ad una storia che viene surclassata dal consumismo. E’ stato trasformato, infatti, in un bellissimo hotel di lusso, con lounge bar, una spa con servizi completi e, come si legge nelle recensioni, anche con un panorama mozzafiato. Anticamente il castello di San Gregorio si chiamava Palazzo Brancaccio ma ora è il “Brancaccio hotel”, dal 2019 gestito dall’Ashford group, una cordata olandese che lo terrà per trenta anni, a quanto pare pagando un affitto che viene scomputato da lavori di manutenzione e abbellimento della struttura. In cambio, i sangregoriani possono entrarvi nei dieci giorni in cui l’hotel viene aperto al pubblico (gratis).
Finisce così la storia di quel maniero dall’aspetto severo che svetta tra i monti Prenestini, all’entrata di San Gregorio da Sassola di cui è stato simbolo e immagine. Oggi esso è la triste, inevitabile, sintesi di quella Italia raccontata con tanta dovizia di particolari in splendidi romanzi come “Il Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa o ne “I Vicerè” di Federico De Roberto le cui vicende descrivono la storia come un susseguirsi di eventi in un meccanismo teso a riequilibrare sempre lo status quo. E lo status quo, a San Gregorio da Sassola, è che il Castello non è per i contribuenti come non lo fu, nel Medioevo, per i servi della gleba.
Nel piccolissimo borgo, originale per avere due centri storici risalenti a due epoche diverse, al potere si sono avvicendate influenti famiglie come gli Orsini e i Colonna che nel ‘400 si sono sfidati in guerra per avere il primato su un territorio ambitissimo. Nel Rinascimento due cardinali – Prospero Publicola Santacroce e Carlo Pio di Savoia – lo trasformarono a turno in un loro feudo su cui poi governarono gli Uceda, famiglia di vicerè spagnoli. Più tardi, attraverso le vicende ben note, arrivarono i tedeschi che nel 1943 utilizzarono il castello come quartier generale. Nel 1991, quando finalmente il Comune riuscì ad acquistarlo, molti turisti poterono apprezzarlo e fu scelto come sede del museo degli acquedotti perché San Gregorio ha sul suo territorio molte strutture romane di grande interesse, ben conservate e visitabili con tutta la storia che hanno da raccontare.
Nessun museo, però, risulta realizzato e in paese non se ne sa nulla anche se internet ne parla come di un progetto “in fase di allestimento” proprio lì, dentro palazzo Brancaccio che però oggi è quel lussuoso hotel a cinque stelle. La storia di San Gregorio da Sassola con tutti i suoi misteri custoditi nelle mura dell’imponente maniero si conclude così, come molte storie di oggi: che alla cultura e alla storia, messe a tacere in un luogo che ha tanto bisogno di raccontare a chi ha voglia di ascoltare, si è preferito il lusso e il guadagno.
Gloria Zarletti
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