NUORO – La chimica è fondamentale per la nostra comprensione del mondo e dell’universo. Nel tempo alcune donne hanno dedicato la loro vita allo studio di questa ostica e affascinante disciplina. A volte sono state discriminate, altre volte invece costrette a lasciare il merito delle proprie scoperte a mariti e colleghi. La storia è ricca di racconti di tante donne che hanno saputo dare contributi di inestimabile valore alla ricerca scientifica e spesso hanno combattuto duramente per riuscire ad avere, da scienziate, gli stessi diritti e le stesse opportunità dei colleghi maschi.
Maria la Giudea, le cui origini sono incerte perdendosi nella notte dei tempi, fu la prima donna che si occupò di alchimia. Donna dall’interesse smisurato per le scienze, si racconta mostrasse una mente brillante che l’ha portata ad eccellere nel suo campo. Forse visse ad Alessandria d’Egitto intorno al I secolo a.C., secondo alcune fonti fu la maga personale della regina Cleopatra. Gli Arabi la chiamavano Maria la figlia di Platone, i Latini la conoscevano come Maria Prophetissima. Maria la Giudea riteneva che i metalli appartenessero a due generi diversi, uno maschile e uno femminile, e unendo questi due generi era possibile dar vita a nuove sostanze come l’oro. Creò per prima il “caput mortuum”, un pigmento di colore viola scuro, ottenuto dalla distillazione e dalla calcinazione e usato come sostanza alchemica. Fu anche la prima a creare la tecnica dello sbiancamento, il “leukosis”, con cui si riusciva a cambiare colore ai metalli. Ma si impratichì anche nella tecnica dell’ingiallimento, la “xanthosis”. Maria scoprì un dispositivo conosciuto col nome di “kerotakis” adoperato per scaldare le sostanze e raccoglierne i vapori e a lei è attribuita l’invenzione della cottura a “bagnomaria”, un metodo che favorisce il riscaldamento di liquidi o solidi, posti in un recipiente, fino alla temperatura di 100°C, una volta che esso è stato immerso in acqua portata all’ebollizione. Per gli alchimisti era una tecnica utile in diversi processi chimici dove era necessario un riscaldamento o una cottura di tipo dolce e non aggressiva.
Tante donne si sono occupate in paesi diversi e in vari campi della chimica a contribuire al suo sviluppo anche a costo della vita. La britannica Edith Ellen Humphrey fu pioniera nella chimica dei composti di coordinazione; la statunitense Ellen Henrietta Swallow Richards si occupò della qualità dell’acqua e dell’aria; la sovietica Vera Yevstaf’evna Popova morì in seguito a un’esplosione nel suo laboratorio mentre tentava di sintetizzare il composto H-C≡P strutturalmente analogo a HC≡N; un’altra sovietica, Julia Lermontova studiò l’acido 2-metil-2-butenoico e si dedicò alla ricerca sulla distillazione del petrolio ottenendo un dispositivo per la distillazione continua.Non meno degna di nota fu Rachel Carson, biologa e zoologa, considerata la madre del movimento ambientalista grazie ai suoi numerosi scritti che denunciavano la pericolosità dei pesticidi e di alcuni altri prodotti dell’industria chimica su uomini, animali e piante, primo fra i quali “Primavera silenziosa”. Il suo talento per la scrittura la aiutò a rendere “gli animali nei boschi o nelle acque, dove vivono, come se fossero vivi”. Per questo è ancora oggi una figura chiave dell’ambientalismo occidentale. Nel 1936 divenne la seconda donna assunta a tempo indeterminato dal Dipartimento Statunitense per la Pesca in qualità di biologa marina. Dalla metà degli anni quaranta provò grande preoccupazione notando un uso eccessivo di fitofarmaci sintetizzati, in particolare il DDT. Scrisse perciò – “più cose imparo sull’uso dei pesticidi, più divento preoccupata” spiegando la sua decisione di cominciare a fare ricerche in tal senso. “Quello che ho scoperto era che tutto ciò che era importante per me come naturalista veniva maltrattato, e che non c’era nient’altro di più importante che io potessi fare”. Primavera Silenziosa fu la crociata della Carson e lei lavorò su questo libro fino alla morte.
L’impegno di scrivere il libro richiese quattro anni, ma prima della pubblicazione, nel 1962, vi fu una strenua opposizione da parte dell’industria chimica supportata dal Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti. Il Time nel 1999 affermò che “la Carson venne assalita violentemente da minacce di cause e derisione, inclusa l’insinuazione che questa scienziata così meticolosa fosse una “donna isterica” non qualificata a scrivere un libro di tale portata”. Altri andarono ancora più a fondo attaccando le credenziali scientifiche della Carson perché la sua specializzazione era la biologia marina e la zoologia, non la biochimica. Una parte dei suoi oppositori la accusò addirittura di essere comunista, molti critici invece affermarono che lei stesse richiedendo l’eliminazione di tutti i fitofarmaci sebbene nel testo la biologa avesse scritto: “Spruzza il meno che ti sia possibile” piuttosto che “spruzza al limite delle tue capacità”.Sebbene Houghton Mifflin fosse stato spinto a stroncare il libro, non cedette e Primavera Silenziosa divenne velocemente un best seller sia negli Stati Uniti che oltreoceano. L’uso dei fitofarmaci divenne una questione pubblica, soprattutto dopo un’apparizione televisiva della Carson nell’aprile 1963 in un dibattito con un portavoce di un’azienda chimica. Non visse abbastanza a lungo però per vedere la messa al bando del DDT negli USA. Morì il 14 aprile 1964 all’età di 56 anni. Nel 1980 venne premiata con la Medaglia Presidenziale della Libertà, il più alto grado di onore civile negli USA.
È giusto rendere omaggio a tutte le donne che con abnegazione, passione, creatività e con la loro vita hanno dato un contributo fondamentale alle scoperte scientifiche, hanno dovuto lottare contro i pregiudizi e le discriminazioni, hanno contribuito giorno dopo giorno al miglioramento delle conoscenze scientifiche e all’avanzamento della ricerca. Di tante donne che hanno con caparbietà lavorato a ritmi serrati nei laboratori, sacrificando spesso la propria vita personale e la famiglia, votandosi al sacrificio per il bene collettivo e l’amore per la ricerca e la scoperta, dobbiamo ricordarne alcune che sono state insignite della più alta onorificenza di valore mondiale attribuita annualmente a personalità viventi che si sono distinte nei diversi campi dello scibile umano, apportando “i maggiori benefici all’umanità” per le loro ricerche, scoperte e invenzioni, per le opere letterarie, per l’impegno in favore della pace mondiale, ossia il Premio Nobel.
Ben cinque donne hanno vinto il Premio Nobel per la Chimica. Maria Skłodowska Curie (1911), chimica e fisica polacca a cui si deve la scoperta del radio e del polonio. Irène Joliot-Curie (1935), figlia di Maria, che insieme al marito Frédéric Joliot riuscì a realizzare la trasmutazione di alcuni elementi in isotopi radioattivi sintetici a partire da alcuni elementi non radioattivi. Dorothy Mary Crowfoot Hodgkin (1964), biochimica e cristallografa britannica studiosa della tecnica di diffrazione dei raggi X attraverso cui determinò la struttura di biomolecole. Tra il 1942 e il 1949 riuscì a determinare la struttura della cobalamina, la vitamina B12, e del primo antibiotico conosciuto, la penicillina. In particolare, i dati ottenuti sulla penicillina hanno permesso di progettare e sintetizzare altri antibiotici fondamentali per la cura delle malattie infettive.Nel 2009 il Nobel per la chimica venne assegnato ancora ad una biochimica e cristallografa, Ada E. Yonath, per la determinazione di biomolecole attraverso cristallografia a raggi X. Israeliana d’origine, insieme con Venkatraman Ramakrishnan e Thomas Steitz ha determinato la struttura della subunità maggiore dei ribosomi responsabili del trasferimento dell’informazione genetica dal DNA alle proteine. Ad Ada Yonath, inoltre, si deve l’invenzione della “criocristallografia”, una metodologia secondo cui le proteine da analizzare vengono sottoposte ad un processo di congelamento rapido per ridurre il danno causato dai raggi X. Grazie a questo risultato Ada diede un importante contributo all’intero campo della biologia strutturale. Ada Yonath fu un esempio di coraggio e caparbietà.
Nel 2018 il Nobel è stato assegnato a Frances Hamilton Arnold, biochimica e ingegnere statunitense studiosa di enzimi, peptidi e anticorpi. Il 24 ottobre del 2019 il Papa l’ha nominata Membro Ordinario della Pontificia Accademia delle Scienze e il 13 dicembre dello stesso anno ha ricevuto il dottorato ad honorem in Scienze molecolari, su proposta del Dipartimento di Scienze chimiche sulla base dei suoi meriti scientifici, dall’Università degli Studi di Padova “per il metodo rivoluzionario dell’evoluzione guidata di proteine che si ispira alla selezione naturale per accelerare in laboratorio lo sviluppo di nuovi biocatalizzatori rivolti all’industria chimica e farmaceutica e alla produzione di biocarburanti in processi ecosostenibili”. Donna energica è co-inventrice di oltre 40 brevetti negli Stati Uniti dal 2013 con due dei suoi ex studenti, Peter Meinhold e Pedro Coelho, ha co-fondato una società chiamata Provivi “che si occupa della ricerca alternative ai pesticidi per la protezione delle colture. Un’altra donna di alti meriti scientifici, ma meno fortunata di altre, fu la biochimica cristallografa ebrea inglese Rosalind Franklin che ha dato un contributo fondamentale alla scoperta della struttura del DNA, la molecola biologica contenuta nei cromosomi e che codifica l’informazione genetica, e dell’RNA. Il lavoro sul DNA fu condiviso con Maurice Wilkins.
La Franklin analizzò la forma “A”, mentre il secondo studiò la forma “B”. Alla fine del 1951 il King’s College affermò che la forma “B” del DNA fosse una spirale, ma si dubitava fortemente che la forma “A” del DNA avesse una struttura ad elica. Le scoperte di Rosalind Franklin, a sua insaputa, furono rivelate da Wilkins a Crick e Watson. Nel novembre del 1951 i due strutturarono un primo modello di DNA tenendo conto dei suggerimenti dati da Wilkins e dalle riflessioni della giovane Rosalind Franklin che nell’osservare il prototipo si accorse di un grande errore, la mancanza dell’acqua. Così, gli ioni sodio che i 2 studiosi avevano erroneamente collocato all’esterno sarebbero stati inclusi in guaine d’acqua e non avrebbero potuto formare il legame. Questo diede nuovo input alla giovane scienziata di proseguire i suoi studi lo poté fare grazie alla foto scattata tra il 1º e il 2 maggio, chiamata foto numero 51. Questa mostrava una vera e propria X, formata da strisce nere simili al manto di una tigre che si irradiavano al centro della periferia e presentava concretamente un’elica. In base a ciò e all’analisi di un epistolario della scienziata e di alcune interviste si ipotizzò che fosse proprio la Franklin l’effettiva scopritrice della morfologia a elica del DNA, nonostante ciò le immagini del DNA ottenute da Rosalind Franklin in cristallografia (la famosa fotografia 51) vennero usate da Francis Crick, Maurice Wilkins e James Dewey Watson che nel 1962 ricevettero l’ambito premio Nobel, mentre il lavoro di Rosalind Franklin non ottenne grandi riconoscimenti durante la sua vita. Rosalind Franklin morì nel 1958 per un tumore alle ovaie contratto a causa della lunga esposizione ai raggi X.
Nonostante la fatica, la delusione, l’avvilimento di non sentirsi mai al pari dei colleghi maschi, l’amore, la curiosità e la passione per la scienza ha portato queste donne a combattere contro gli stereotipi, contro l’ottusità della gente e a lasciare un segno indelebile nella storia della comunità scientifica internazionale. Come diceva Marie Curie nel suo Diario del 1934 riguardo alle donne che vivono per la scienza: “Sono fra coloro che pensano che la scienza abbia una grande bellezza. Uno studioso nel suo laboratorio non è solo un tecnico, è anche un bambino messo di fronte a fenomeni naturali che lo impressionano come una fiaba. Non dobbiamo lasciar credere che ogni progresso scientifico si riduca a dei meccanismi, a delle macchine, degli ingranaggi, che pure hanno anch’essi una loro bellezza. Io non credo che nel nostro mondo lo spirito d’avventura rischi di scomparire. Se vedo attorno a me qualcosa di vitale, è proprio questo spirito d’avventura che mi sembra impossibile da sradicare, e che ha molto in comune con la curiosità”.
Virginia Mariane
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