ROMA – Si è esposta davanti a giudici e avvocati spesso ammiccanti, ha sfidato il pregiudizio della cultura patriarcale millenaria e dura a morire secondo cui, a prescindere, la donna se l’è “andata a cercare”. Ha risposto a domande capziose e insolenti davanti ad un’opinione pubblica attonita che, in televisione, per la prima volta ascoltava nei dettagli cosa avviene nel momento in cui una donna viene violentata. Anzi stuprata. La parola “stupro”, infatti, entrò per la prima volta in un’aula di Tribunale con lei per indicare non solo la violenza sessuale a persona non consenziente ma anche attentato al pudore, profanazione, aggressione alla dignità umana.
Si parlò di questo nel processo a Gianni Guido, Angelo Izzo, Andrea Ghira, tre ragazzi della Roma “bene”, trascinati nel 1975 alla sbarra da lei, Donatella Colasanti, sopravvissuta a 36 ore di orrore nella villa del Circeo dove i tre la portarono, insieme alla sua amica Rosaria Lopez, con la scusa di una festa. In realtà le due ragazze, 17 anni Donatella e 19 Rosaria, si ritrovarono nel bel mezzo di un macabro, allucinante festino, in cui furono immolate come vittime di una mascolinità tossica. Una pagina criminale delle più terribili che si possano ricordare.
Le ragazze non avevano ancora conosciuto le delizie dell’amore né le conobbero mai perché i tre, nel condurle in quel posto, avevano proprio progettato di divertirsi con i loro corpi, far loro del male, offenderle perché di “borgata” mentre loro erano “di buona famiglia”. E poi di ucciderle. Rosaria uscì morta da quelle sevizie fisiche e mentali, durante le quali fu abusata nel corpo e nell’anima, umiliata con le parole e i gesti, e poi annegata con la testa nella vasca. Donatella sopravvisse perché si finse morta, ma da quel momento dedicò tutti gli anni della sua breve vita (morì a 47 anni di tumore), alla causa delle donne. Una vicenda terribile, che sconvolse l’Italia e che fece fare un passo avanti fondamentale ad una mentalità ancora lontana dalla consapevolezza della parità di genere perché quella ragazza fu disposta a raccontare, più e più volte, anche in interviste televisive oltre che davanti ai giudici, quello che le era stato fatto.
E solo uno scossone emotivo, un trauma, come quello che lei fu capace di procurare nell’opinione pubblica poteva aprire una porta sugli orrori della violenza sessuale, dalla notte dei tempi perpetrata dall’uomo sulla donna. Quegli anni, ricordati come quelli “di piombo” per il terrorismo, furono anche quelli dell’avanzata del movimento femminista con tutta la sua prepotenza, che proprio dallo “stupro del Circeo” prese piede e assistette Donatella in ogni udienza di un processo per lei pesantissimo.
La ragazza fu sottoposta a interrogatori tendenti a trasformare lei nell’accusata per il solo fatto di essere donna, non le furono risparmiate battutine e risolini. Il suo sacrificio, però, non bastò ad eliminare il “vizio” culturale secondo il quale molti uomini si sentono in diritto di disporre della vita delle donne – e i numerosi femminicidi ancora oggi lo confermano – ma valse per due cose fondamentali: modificare il reato di violenza sessuale da reato contro la pubblica morale a reato contro la persona e soprattutto a rendere consapevoli le donne che gli abusi vanno denunciati.
I dati dicono che lo zoccolo duro della mentalità non è stato ancora superato ma il sacrificio di questa giovinetta in quei due giorni e la sua restante vita dedicata al raggiungimento di una verità processuale (tutti condannati all’ergastolo in prima istanza ma Ghira non è mai stato trovato, Guido ebbe la pena tramutata a 30 anni, Izzo riuscì a scappare), che corrispondesse il più possibile ai fatti accaduti. Il dolore che suscita ogni volta il racconto di questa vicenda assurda è necessario per riflettere su cosa accadde e cosa avviene ogni volta che una donna viene maltrattata, offesa, devastata con l’acido, stuprata, fatta a pezzi e messa in una valigia.
Il racconto che Donatella fece dell’abiezione raggiunta dai suoi tre aguzzini non va dimenticato, anzi va ascoltato e riascoltato da tutti, anche dai più piccoli, perché dall’orrore nascano le domande e si cerchino le cure ad una devianza che non accenna a scomparire. Di recente due film hanno raccontato la vicenda. “La scuola cattolica” (2021, regia di Stefano Mordini), censurato in un primo tempo ai minori di 18 anni e oggi a quelli di 14, basato sulle deposizioni della Colasanti che ricostruisce minuto per minuto il crimine, mentre la serie televisiva “Circeo” si sofferma più sul processo, permettendo di ricostruire passo passo il difficile cammino verso la conquista di diritti femminili che oggi sembrano scontati ma in realtà sono stati frutto di tante lotte.
Un cammino che non è mai terminato perché, al di là delle apparenze di una parità di genere conquistata, le donne morte ammazzate sono ancora troppe e quelle che conquistano posizioni di comando sono state spesso costrette ad usare modi maschili per non essere messe da parte quando non addirittura fatte fuori. Nel settembre 2022 a Donatella Colasanti è stato dedicato un parco a Roma, nel quartiere della Montagnola dove viveva.
Troppi giovani non conoscono il suo nome. Gli antichi romani consideravano un esempio da imitare Lucrezia, la nobildonna che si era suicidata perché era stata violentata. Oggi più che mai quella ragazzina della Montagnola merita che si parli più di lei e che alle giovani e anche alle meno giovani si ricordi che lo stupro una donna non se lo va “a cercare”, ma esso si annida in una cultura che tutti, ognuno nel proprio ruolo, dobbiamo contribuire a cambiare.
Gloria Zarletti
Lascia un commento