/, Sezione 1/Donando sangue si cambia una vita

Donando sangue si cambia una vita

di | 2021-03-05T13:57:50+01:00 7-3-2021 6:00|Attualità, Sezione 1|0 Commenti

FIRENZE – “Certo che donando si può cambiare una vita: la si può allungare o anche migliorare molto”. Sono le parole della dottoressa Francesca Balestri, dirigente medico presso il reparto di Immunoematologia e Medicina Trasfusionale (Centro Trasfusionale) del Presidio Ospedaliero San Giovanni di Dio (SGD) di Firenze, che racconta il suo ruolo e spiega perché donare è un’azione che fa bene non solo agli altri, ma anche a se stessi. È fondamentale superare le proprie paure e diventare donatori, perché per quanto possa sembrare una realtà remota, chiunque potrebbe aver bisogno di sangue o emocomponenti.

Dottoressa, ricopre altri incarichi oltre alla dirigenza del reparto di Immunoterapia e Medicina Trasfusionale?

“Ho un incarico personale relativo ai progetti della Promozione alla Salute presso le scuole superiori di 2° livello riguardanti la donazione di sangue ed emocomponenti, ma anche di cellule staminali emopoietiche (CSE) da midollo osseo, sangue periferico e cordone ombelicale”.

Quanto serve e perché serve donare?

“Donare il sangue oggi serve moltissimo, perché molti sono gli interventi chirurgici e le terapia per i quali i pazienti spesso necessitano di trasfusioni di emocomponenti (globuli rossi, piastrine o plasma) o infusioni di emoderivati (proteine estratte dal plasma). La popolazione invecchia, quindi si eseguono più operazioni e più trattamenti di anni fa. Inoltre la donazione di CSE serve per eseguire trapianti in pazienti con gravissime malattie del sangue. Donare per salvare vite ma anche per consentire condizioni di vita migliori”.

Come si diventa donatori?

“Si accede ad un Centro Trasfusionale (CT) o ad una Unità di raccolta (UdR) su appuntamento, per eseguire un colloquio e gli esami di idoneità. In tale occasione di medico trasfusionista spiega al candidato come comportarsi prima, durante e dopo la donazione per non avere problemi.

Quali sono i timori più frequenti e di cosa non bisogna avere paura?

“A volte le persone temono di star male dopo la donazione, ma è importante seguire i nostri suggerimenti per evitare malesseri, come fare colazione, non fumare un’ora prima ed un’ora dopo la donazione, non stare fermi in piedi dopo la donazione, non fare sforzi ecc. Pare strano, ma può sopportare bene la donazione di sangue anche chi ha avuto problemi con un semplice prelievo per gli esami di controllo. Ciò su cui il personale sanitario può aiutar poco è la cosiddetta ‘sindrome vaso-vagale’, un malessere che spesso dipende dall’ansia o dalla paura dell’ago. Altre persone, alle quali viene proposta la donazione con separatore cellulare (es. plasmaferesi), hanno paura che il loro sangue possa venire in contatto con quello del donatore precedente, ma i kit che usiamo sono tutti assolutamente monouso e sterili e non ci sono rischi. C’è poi chi mi ha detto che vorrebbe donare CSE ma teme di rimaner paralizzato, perché a volte si confonde il midollo osseo con il midollo spinale”.

In cosa consiste la donazione? Come funziona il processo di conservazione?

“Il donatore può eseguire una donazione di ‘sangue intero’ oppure una donazione in aferesi con separatore cellulare. La prima è la donazione più comune, dura circa 5-10 minuti. Il sangue (4°C), globuli bianchi (che adesso non si trasfondono più), piastrine (che si conservano per soli 5 giorni a 22°C) e plasma (che si può conservare per ben 2 anni a -30°C, oppure che si può scomporre negli emoderivati). La donazione in aferesi può raccogliere uno o più emocomponenti, per esempio plasmaferesi, oppure plasma-piastrinoaferesi ecc. Dura in media 45 minuti”.

Qual è la procedura che viene effettuata prima di effettuare un prelievo e come si esegue un prelievo? Ci sono controindicazioni?  Ci sono casi in cui è richiesto un Day Hospital o addirittura un ricovero?

“Il prelievo si esegue con venipuntura di una vena del braccio dopo adeguata disinfezione. Il diametro dell’ago non è piccolo, ma genera fastidio per pochi secondi, come l’ago di diametro minore usato per i prelievi di controllo. Il prelievo è controindicato in chi abbia vene molto piccole o profonde, o in chi abbia molta paura dell’ago. Ricoveri o DH non vengono solitamente effettuati, anche nei rari casi di effetti avversi postdonazione, quali svenimenti, ematomi nel braccio, flebiti. Ci sono però ‘controindicazioni’ alla donazione (non tanto al prelievo in sé stesso), dettate da varie norme nazionali ed internazionali, volte a garantire la sicurezza del donatore e soprattutto del paziente che deve essere trasfuso (persona che non ha difese immunitarie buone come quelle del donatore).

Ci sono malattie o fattori che impediscono ad un soggetto di diventare donatore?

“Come detto, ci sono varie situazioni che impediscono la donazione, per esempio età inferiore a 18 anni o superiore a 65 (a volte anche più alta), peso inferiore a 50 Kg, anemia anche lieve, quasi tutti i tumori, gravi patologie cardiache o polmonari e renali, infezioni anche banali in atto, uso di droghe pesanti o spesso anche droghe leggere, cambio di partner, recenti tatuaggi o interventi chirurgici o manovre endoscopiche, recenti viaggi in alcune aree del mondo”.

Quali sono le reazioni dei riceventi?

“Si salvano le vite di persone che hanno sanguinato copiosamente, ma si garantisce anche ‘qualità di vita’ a quelle persone con patologie oggi non più letali ma cronicizzate. Faccio un paio di esempi. L’emofilia è una malattia genetica che un tempo creava grosse problematiche legate a gravi emorragie e che purtroppo dava una scarsa aspettativa di vita; oggi, grazie ad infusioni di fattori della coagulazione (plasmaderivati), i ragazzi emofilici hanno una vita pressoché ‘normale’. Ci sono poi persone che hanno avuto ictus o infarti miocardici o che rischiano di averne: oggi si riduce nettamente tale rischio con farmaci antiaggreganti o anticoagulanti (terapie piuttosto comuni oggi negli anziani), ma con un sopraggiunto rischio di sanguinamento: anche in questo caso possiamo aiutare i pazienti con infusioni di plasmaderivati o con trasfusioni di plasma o piastrine. Le reazioni dei riceventi quindi, com’è ovvio, sono spesso di sincera ammirazione e gratitudine per chi dona loro la possibilità di tornare ad avere un po’ di forza, di autosufficienza, di ‘vita normale’. Molti dei nostri pazienti ‘cronici’, se possono, inviano i loro familiari e conoscenti a donare il sangue, non solo per sé stessi, ma anche per gli altri pazienti”.

Ma c’ è anche altro…

“Infatti, esiste un altro genere di reazione, cioè le ‘reazioni avverse’ alle trasfusioni: molti pensano alla trasmissione di virus pericolosi come HIV o HCV (che oggi è pressoché nulla), ma possono esserci infezioni anche da altri microrganismi, meno gravi per noi persone immunocompetenti, ma gravi per i pazienti con difese immunitarie scarse (quali WNV -West Nile Virus, virus parainfluenzali, Trypanosoma Cruzi, malaria, comuni batteri presenti sulla superfice cutanea a livello della venipuntura ecc; il coronavirus invece per fortuna non si trasmette con gli emoderivati); ci possono poi essere reazioni allergiche conseguenti alla trasfusione di donatori allergici; oppure è comune il sovraccarico circolatorio (cioè eccesso di liquidi infusi che il paziente non riesce bene a pompare e disperdere nel circolo sanguigno e che quindi si accumulano a livello periferico o anche nei polmoni. Ovviamente una reazione nettamente pericolosa e che non dovrebbe mai verificarsi è l’emolisi (cioè distruzione dei globuli rossi) dovuta ad incompatibilità della trasfusione di globuli rossi”.

Quali sono le criticità più frequenti ad oggi in merito alla donazione?

“L’aumento delle trasfusioni richieste e la diminuzione delle donazioni rispetto ad anni fa. Il primo per invecchiamento della popolazione, sviluppo di nuove terapie che richiedano trasfusioni, capacità di trasfondere anche neonati prematuri. La seconda forse per difficoltà lavorative, impossibilità a ‘perdere molto tempo’ al Centro Trasfusionale, impegno e responsabilità richiesti. Persone che viaggiano molto, che fanno spesso tatuaggi o cambiano spesso partner o che frequentemente soffrono di infezioni anche banali hanno settimane o mesi di sospensione. Inoltre mesi fa, con il Covid, purtroppo alcuni donatori non sapevano che venire al CT rientra nelle situazioni di necessità; vorrei inoltre precisare che non c’è rischio di contagio venendo al CT, abbiamo corridoi separati rispetto ai pazienti Covid”.

Le donazioni sono sufficienti?

“La Toscana e l’Italia vantavano l’autosufficienza, ma l’ultimo anno ha ridotto molto le nostre scorte, purtroppo. Il Centro Nazionale Sangue (CNS) ha recentemente inviato il report del 2020: -5,4% di unità globuli rossi concentrati (GRC) prodotti in Italia rispetto al ’19, -2% di unità di plasma inviate all’industria farmaceutica per la produzione di plasmaderivati. Invece i numeri del mio ospedale SGD sono purtroppo negativi: 7.359 donazioni nel ’20 (contro 9.701 nel ’17), 8.129 trasfusioni (contro 6.972 del ’17).

Cosa può dire in merito alla donazione delle cellule staminali emopoietiche?

“Le CSE sono i progenitori delle cellule del sangue e si trovano in alcune cavità ossee (midollo osseo). Si possono prelevare da lì o dal sangue periferico con una lunga donazione in aferesi. Servono per eseguire un trapianto di CSE in pazienti con gravissime malattie del sangue (leucemie, mieloma, linfomi). Chi è disponibile a questo tipo di donazione, può eseguire un prelievo che serve per stabilire l’assetto HLA, indispensabile per la compatibilità tra paziente e donatore. Questo dato viene inserito in un Registro nazionale che converge in uno mondiale: se ci sarà un paziente compatibile con il candidato donatore di CSE, colui sarà chiamato per eseguire ulteriori accertamenti e quindi eventualmente la donazione stessa. Ciò significa che non si esegue mai direttamente la donazione di CSE (tranne nel caso di pazienti familiari), ma ci si iscrive ad un Registro dal quale potremmo essere contattati in futuro. C’è una terza fonte di CSE ed è il cordone ombelicale, cioè il funicolo che va dalla placenta della mamma all’ombelico del neonato. Al momento del parto, il cordone ombelicale viene tagliato e gettato via, a meno che non ci siano disposizioni precise della mamma. Ciò significa che perdiamo la possibilità di salvare una vita se la donna in gravidanza non viene da noi al Centro Trasfusionale prima di partorire, per riempire una questionario sulle sue malattie e quelle della famiglia e per darci il consenso all’esecuzione degli esami sui virus HIV, HCV, HBV e sifilide. Infine c’è un’ultima cosa per la cui donazione ci si rende disponibili al Centro Trasfusionale: il latte materno. Le donne che hanno più latte di quello che beve il loro neonato, possono venire da noi per riempire un questionario su malattie e stili di vita e per eseguire il prelievo per la sierologia virale. Successivamente qualcuno andrà a casa loro a ritirare il latte in eccesso.

Boris Zarcone

Nell’immagine di copertina, l’ospedale fiorentino San Giovanni di Dio

Lascia un commento

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi