RIETI – La sezione cultura del Cai di Rieti ha organizzato un incontro per riscoprire don Lorenzo Milani, l’uomo, il prete di montagna “che dava fastidio”, il “ribelle obbediente”, il messaggio della scuola di Barbiana, dove ci si prendeva cura dell’altro con lealtà e senso del limite dell’essere umano, due elementi che si accomunano alla filosofia del Cai che rispetta il limite, il passo del più lento, senza lasciare indietro nessuno lungo il percorso. Il Cai di Rieti è dotato di joelette: persone con difficoltà possono trascorrere una giornata in montagna e in gruppo.
A 101 anni dalla sua morte c’è bisogno di ricordare don Lorenzo Milani e lo sottolinea Ines Millesimi del Cai, figlia di una maestra delle aree interne: “Per comprendere i cambiamenti e le derive culturali che stiamo attraversando in questo momento, in cui ci chiediamo come siamo passati da una scuola inclusiva, che superava barriere e confini sociali, a una scuola che parla di classi differenziate, non insegna più la geografia, esclude il diverso. I figli dei migranti hanno diritto all’inclusione e all’istruzione, nelle aree interne si fanno pluriclassi e si accorpano edifici scolastici. Come è potuto accadere questo cambiamento, che va sempre di più verso l’esclusione e l’indifferenza?”. Nel centenario della nascita di don Milani, il presidente Sergio Mattarella e Papa Francesco si erano recati sulla sua tomba per rendergli omaggio.
Peccato che abbia avuto troppo poco tempo: fu parroco per 17 anni. Nel libro “Università e pecore”, vita di don Lorenzo Milani (ed. Feltrinelli), la pronipote Alice Milani, racconta episodi anche inediti del suo prozio e lo fa usando i fumetti. Nata a Pisa nel 1986, ha studiato pittura e incisione a Torino e Bruxelles, nel 2009 ha iniziato a disegnare fumetti e a fare autoproduzioni con il collettivo La Trama. E’ autrice unica per BeccoGiallo di Wislawa Szymborksa, Si dà il caso che io sia qui e Marie Curie. Ha pubblicato storie brevi su Linus, Lo Straniero, Delebile e Graphic News, è direttrice editoriale di Rami, la nuova collana di fumetto di fiction di BeccoGiallo. Prima di tuffarsi nelle carte e nei documenti, Alice ha chiesto aneddoti alla nonna, che ha sposato Adriano, fratello di don Milani.
“Una scuola apolitica prepara gli indifferenti in politica. E sapete dove finiscono gli indifferenti in politica? Finiscono fascisti!”, diceva don Milani. E’ nell’Italia del primo dopoguerra, regnavano povertà, analfabetismo, lavoro minorile, i figli dei mezzadri non potevano andare all’Università, perché i soldi dovuti al padrone servivano per far studiare i ‘signorini’, figli dei proprietari terrieri. Lorenzo voleva diventare pittore e si iscrisse all’accademia, ma entrando in chiesa pensò che “il fine ultimo non può essere solo la bellezza, a che ci serve tutta questa bellezza? L’arte sacra almeno ce l’ha uno scòpo”. Nel 1942 Milano viene bombardata e la famiglia, benestante, si trasferì nella tenuta in Toscana: aveva 24 poderi, contadini al loro servizio e sulle colline di Gigliola, a sud di Firenze, una bellissima villa. Lui dipingeva all’aria aperta, poi la decisione di entrare in Seminario, che colpì di sorpresa i genitori, che non si opposero, anche se non era una famiglia religiosa e la madre era ebrea non praticante.
Il fratello Adriano intanto studiava medicina ed era diventato partigiano. Lorenzo scrisse una lettera a Carla, compagna di scuola a Milano e ‘fidanzatina’, che si disperò per la sua decisione, ma fu accanto a lui nel momento della morte. Lorenzo applicava alla lettera i Vangeli, trovando tante incongruenze nella Chiesa. Il primo incarico fu a Calenzano, una parrocchia di 1200 anime, come cappellano di San Donato dal 1947 al 1951. Al parroco don Pugi chiede “si può dire con ragionevole certezza che il nostro popolo sia cristiano?”, e don Pugi risponde: “Son tutti battezzati, diamine”. Lorenzo non è convinto: “Ma sono cattolici veramente o solo per figura?”. Tutti volevano emigrare, lasciare la terra, ma senza istruzione c’è lavoro in nero, a cottimo, turni di 14 ore e Lorenzo inizia a prendere posizione. “Con tutte le ore di religione a scuola e in parrocchia dovremmo avere un popolo religiosissimo, ma non è così, vengono per abitudine. Siete adulti: se queste cose non vi vanno. girate al largo, se certe cose non le capite, non fate piacere certo nemmeno al Signore o volete fare come i vostri babbi e nonni, che non hanno mai fatto altro che quello che fanno gli altri e basta. Decidetevi: siete cristiani o no?”.
Don Pugi non capiva, a lui bastava la presenza in chiesa. “L’importante è che siano venuti, poi c’è la grazia che fa i miracoli, Signore perdonali se non sono qui con noi”. Lorenzo non ci stava “Eh no, Signore perdona noi perché non siamo da loro!”. Molti preferivano andare alla casa del popolo perché c’era il biliardino, il ping pong, il campo sportivo: “Colpa del Comunismo” diceva don Pugi. Nel 1946 a San Donato il Pci aveva il 70%. Lorenzo diceva: “Gli operai, per difendersi, anche dai preti, devono avere l’istruzione, devono capire la religione” e in una stanzetta dietro la canonica, dove tolse il crocifisso, iniziò a insegnare, prima di tutto italiano, grammatica, sintassi: “Dovete imparare a esprimervi, a discutere, sennò come fate a rispondere in fabbrica e in piazza? Intanto leggiamo il giornale, quando troviamo una notizia sul Congo, facciamo geografia, questa scuola la faccio solo per darvi l’istruzione, prometto che vi dirò sempre la verità su ogni cosa, sia che faccia comodo alla mia ditta, sia che le faccia disonore”.
Erano gli anni degli scontri tra la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista, ma don Lorenzo votò con obbedienza la Dc, pur sostenendo gli scioperi e subendo i divieti del cardinale Ermenegildo Florit di parlare dal pulpito di questioni politiche. Al trasferimento alla parrocchia di Sant’Andrea a Barbiana, 39 anime, non si oppose, la prima cosa che fece fu comprare un pezzo di terra al cimitero perché “io qui ci resto”. Senza acqua corrente, strada, riscaldamento. Questi episodi sono tratti dal libro Lettere pastorali, fortemente osteggiato dal cardinale, Lorenzo era infuriato: “Vogliamo star qui a fare il cinema parrocchiale mentre il mondo va in fiamme?”, ma disse sempre: “Non mi ribellerò mai alla chiesa cattolica”.
La scuola procedeva, i ragazzi erano dalla sua parte. Essendo di famiglia benestante, li mandò all’estero, ospiti di amici e parenti e fu il primo Erasmus. Insieme scrissero Lettera a una professoressa: fece scandalo, ma è validissima ancora oggi. Il vescovo di Rieti Vito Piccinonna, cita Benedetto XVI sulla crisi educativa odierna: “Le generazioni non sono state capaci di trasmettere valori”. E aggiung: “I buoni esempi, i buoni maestri, sono importanti. Don Lorenzo nella difficoltà vedeva una possibilità, oggi c’è tanta solitudine: famiglia, Chiesa e scuola devono mettersi insieme con fiducia e speranza”.
Francesca Sammarco
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