PERUGIA – Quando gli chiesero come mai, lui un prete, avesse sparato uccidendo il soldato della Wermacht che, senza colpirlo, gli aveva indirizzato una raffica di mitra, rispose laconico: “Una guancia la offro, due no”. Don Marino Ceccarelli (1916-2004), parroco di Morena di Gubbio, non mancava né di coraggio, né di spirito. Figurava tra i fondatori, ed aveva appena 27 anni, della Brigata San Faustino (poi Brigata Proletaria d’Urto-San Faustino) e dopo la distruzione della sua chiesa ad opera dei nazi-fascisti il 7 maggio 1944, si era dato alla macchia. Lo avevano minacciato, SS e repubblichini, di appenderlo alla croce nel piccolo cimitero del paesino di 300 anime. Il sacerdote, fuggito appena in tempo al feroce rastrellamento, costellato di uccisioni di inermi e terribili devastazioni, si era aggregato alla formazione partigiana combattendo fino alla Liberazione.
Molti sono stati i sacerdoti che, in tutta Italia, hanno preso le armi o dato la vita per la libertà. Diversi di loro hanno ricevuto – giustamente – riconoscimenti ed onorificenze, alcuni alla memoria. Don Marino è rimasto a lungo nell’ombra. Anche per la sua discrezione. Quella mattina di maggio il giovane prete stava per celebrare la messa. Presente in chiesa, le campane annunciavano le 8, un gruppo cospicuo di fedeli, tra cui 22 partigiani. Tutti all’oscuro di quanto si stava per verificare. Da alcuni giorni le formazioni patriottiche avevano iniziato una serie di azioni militari di “disturbo”: tra il 21 ed il 23 erano stati disarmati dieci fascisti a Mocaiana di Gubbio ed il 28 era stato lanciato l’assalto, riuscito, alla caserma carabinieri di Pietralunga, con importante incetta di armi e munizioni. I tedeschi e il prefetto Armando Rocchi avevano, allora, lanciato in risposta una offensiva in larga scala: con uomini, blindati e carri armati della divisione paracadutisti “Hermann Goering”, che avanzavano lungo tre diverse direzioni, ammazzando, depredando, distruggendo. Per fare “terra bruciata” intorno ai partigiani. Piano, in precedenza, messo in atto crudamente e crudelmente, con metodicità teutonica, in Russia.
Don Marino, prima di iniziare la messa, si era affacciato sul sagrato per controllare se sullo stradone si trovasse ancora qualche ritardatario. Si accorse, invece, di alcuni gruppetti, che salivano a passo lento, in lontananza, verso il paese, che si trova in alto a 700 metri sul livello del mare. Chiamò uno dei partigiani e gli suggerì di sparare qualche colpo per verificare la reazione di chi si avvicinava. Il patriota fece partire una lunga raffica. I gruppetti distanziati, si gettarono, all’unisono e riparandosi, ai bordi della strada. Il parroco annusò il pericolo. In una intervista televisiva rilasciata, qualche lustro fa, a Furio Ferruccio Benigni raccontò: “Intuii che fossero tedeschi. Per cui feci uscire tutti dalla chiesa, consigliando di chiudersi in casa e salii nella mia abitazione. Il mitra era troppo ingombrante e, per una volta, lo lasciai lì. Impugnai due rivoltelle e presi sei caricatori. Per prima cosa nascosi un calice, regalo ricevuto per la mia prima messa celebrata, in un armadio della sagrestia. Fu da lì che sentii provenire dall’esterno delle voci straniere. Per cui uscii da una porticina laterale. Un tedesco mi indirizzò una raffica col mitra. Mi salvò una colonna, dietro cui feci in tempo a ripararmi. Risposi scaricando l’intero caricatore da 5-6 metri di distanza. Tutte dirette sul petto. Ricaricai le pistole, mi tirai su e annodai a mezza vita la tonaca, coprii il collarino bianco e scappai di corsa… ”.
I nazifascisti non riuscirono ad acciuffare il pesce grosso che volevano e scatenarono la loro furia cieca sulla chiesa e sulla canonica, minate, devastate e date alle fiamme, insieme ad altre abitazioni della frazione eugubina. Poche ore più tardi un giovane partigiano – su invito di alcune donne che avevano tentato di farlo, ma senza riuscirci – si lanciò incurante del fuoco che ancora bruciava e portò in salvo la pisside con le ostie consacrate, devotamente custodite e poi consegnate, qualche ora più tardi, al parroco di una frazione limitrofa. L’autore del salvataggio si chiamava Luigi Bellucci: due mesi più tardi freddato da un cecchino tedesco in località San Biagio di Pietralunga, mentre si spostava da una postazione ad un altra. Don Marino, intanto, aveva raggiunto la sua banda con la quale rimase sino alla fine della guerra. In maniera organica. Partecipando alle azioni, condividendo con gli altri i pericoli, il freddo, la fame, la paura di essere catturato e fucilato. O peggio ancora, visto il trattamento che i nazifascisti avevano programmato di riservargli se lo avessero catturato e l’orrore che spargevano a piene mani.
Il sacerdote – che aveva celebrato la sua prima messa in Sant’Ubaldo di Gubbio sul monte Ingino nel 1941 – si presentava bene: costituzione robusta, solida, atletica. Risultava pure simpatico e pronto alla battuta, sebbene in apparenza brusco nei modi. Come i contadini delle nostre campagne rudi, diffidenti, ma ospitali e di gran cuore. Suo padre faceva il fattore a Gubbio. In seminario era entrato da ragazzino e si era fatto notare dai superiori per il suo carattere positivo ed il suo zelo. Il vescovo Beniamino Ubaldi lo stimava molto. Confidava don Marino, a chi gli chiedeva della sua scelta di combattente durante la guerra, lui cattolico in una formazione di comunisti: “Il vescovo aveva detto a noi parroci di campagna queste parole: ‘Siate gli uomini della carità’. Come dire: state dalla parte dei deboli, dei poveri, degli afflitti. Io ho seguito le sue indicazioni”. In una mano il breviario, nell’altra il mitra.
Aveva svolto un ruolo, il giovane parroco partigiano, anche negli interrogatori di almeno un paio di spie che il prefetto Rocchi aveva spedito a raccogliere informazioni sulle bande partigiane. “Il primo fu Antonio C. di Gualdo Cattaneo. Raccontava di essere stato attendente di Badoglio. Uno di noi, fratello di un sacerdote, indossò non visto una divisa da Finanziere… E spuntò all’improvviso puntando sui pochi presenti le armi. A quel punto Antonio, temendo di essere considerato un partigiano sbottò: ‘Oh, calmo – disse rivolto al falso finanziere – io so de voialtri, so repubblichino…’. Si tradì da solo, insomma. Gli risparmiammo la vita e debbo dire che, poi, si comportò al meglio e lealmente durante tutta la lotta partigiana al nostro fianco”. Il sacerdote – pure in questo caso prima dell’episodio del rastrellamento di Morena – venne convocato anche per l’interrogatorio di “Mariola”, cioè dell’ungherese Marion Keller, 31 anni, capitata sui monti di Morena su incarico (o ricatto che fosse) del prefetto Rocchi. La bella donna venne processata da una corte formata da Mario Bonfigli (presidente) e dagli avvocati Gustavo Terradura e Stelio Pierangeli. Fu riconosciuta colpevole, ma la corte sospese l’esecuzione. Successivamente arrivarono, da Perugia, ulteriori informazioni sul suo conto e la ex ballerina (nobile di origine e che parlava più lingue, già spia dei francesi in danno della Marina Militare Italiana e scoperta a Napoli e condannata dal regime a 25 anni di carcere) venne fucilata il 28 aprile a Colle Antico.
Conosceva tutti, come ovvio, nella sua zona, don Marino. Con i compaesani beveva un buon bicchiere di vino, magari durante una partita a briscola e tressette. Girava con auto sempre un po’ ammaccate, perché sulle strade di montagna, ricche di tornanti, ogni tanto finiva fuori carreggiata. Viveva da solo e ogni sera, in pratica, veniva invitato in qualche casolare. Raccontavano in campagna che gradisse molto la grappa prodotta artigianalmente dai coloni. Ad una contadina che, dopo cena, gliene aveva versato appena un dito nel bicchiere, aveva replicato: “Temi che sia ammalato? Versa pure: sto bene, eh…”. In una relazione sull’attività partigiana del GAP di Gubbio, redatta nell’immediato dopo guerra, si legge: “Durante il rastrellamento del 7-10 maggio 1944 i tedeschi fucilarono per rappresaglia alcuni contadini del luogo, asportarono dalle case dei coloni ingenti quantità di provviste e distrussero completamente a mezzo mine e fuoco nove case, fra cui va ricordata la chiesa di Morena, il cui parroco don Marino Ceccarelli, fu uno dei più fervidi patrioti”. ”Geo Gaves” (nome di battaglia di Stelio Pierangeli, tifernate e comandante della brigata Proletaria d’Urto-San Faustino) certificava nella relazione sulle attività operative della formazione: “Il movimento ha avuto per animatori fin dall’inizio il tenente colonnello Luca Mario Guerrizio, Bonuccio Bonucci, il tenente Mario Bonfigli, il tenente Vittorio Biagiotti, don Marino Ceccarelli, il tenente Livio della Ragione, l’avvocato Gaetano Salciarini”. In alcuni momenti la formazione partigiana aveva raggiunto la forza di 300 effettivi.
Don Marino – parroco per ben 63 anni consecutivi di Morena – si è spento nel 2004 a 88 anni a Gubbio, ospite di un istituto religioso.
Elio Clero Bertoldi
Buongiorno e Buon Natale . Sono nativo di Pianello di Cagli e ho conosciuto Don Marino , che era un amico di famiglia . So che è stato pubblicato un libro sulla sua vita avventurosa e mi piacerebbe molto poterlo acquistare ma non saprei dove reperirlo . Se potete aiutarmi vi ringrazio in anticipo .