I governi, da quello regionale a quello nazionale, rilevano che bisogna fare dei tagli e tagliano sui mezzi di sorveglianza e di soccorso, a partire dai Canadair, il cui numero è diminuito nelle finanziarie di quest’anno, mentre non si toccano le spese per l’acquisto di aerei militari. Dito puntato sui piromani, responsabili di tutto, compresa la mancata cura e sorveglianza del territorio; dagli alla mafia dei pascoli, dagli ai pastori che danno fuoco perché bruciano le sterpaglie e sperano che cresca erba più buona e, con l’occasione, bruciano anche i campi vicini per poterci portare pecore e vacche; dagli al delinquente criminale che lega alla coda di un animale, possibilmente un cane o un gatto, un mazzetto di legna ardente lasciandolo poi correre in mezzo alla boscaglia. E poi il caldo, le cicche non spente, i barbecue lasciati accesi, le sterpaglie che ogni proprietario di terra non coltivata dovrebbe preoccuparsi di rimuovere, ecc. ecc.
La Grecia brucia ma in Italia, guardando a quanto accaduto negli anni passati e alle situazioni attuali di rischio, non è che stiamo meglio.
Il dramma greco è sotto gli occhi di tutto il mondo. Persone intrappolate all’interno delle proprie abitazioni e auto o annegate nel tentativo di sfuggire alle fiamme attraverso il mare. Le autorità impotenti di fronte alla furia delle fiamme. È questa la terribile trappola che ha messo in scacco la regione dell’Attica, vicino ad Atene. Un rogo di enormi proporzioni che per alcuni giorni ha distrutto tutto quello che ha incontrato. Sembra che adesso le autorità siano riuscite a mettere sotto controllo la situazione. Ma troppo tardi per salvare la vita a centinaia di persone. La domanda che molti si pongono è se un cataclisma del genere possa o meno verificarsi anche in Italia, dove gli incendi dolosi e colposi sono una triste costante estiva.
A rispondere è Angelo Borrelli, capo dipartimento della Protezione Civile nazionale.
Come può capitare un disastro di questa portata?
“Ci sono condizioni particolari che, quando gli incendi partono, possono creare situazioni incontrollate. Il vento forte, le temperature molto calde e la vegetazione secca sono tutte condizioni che favoriscono il deflagrare di incendi altrimenti facilmente gestibili”.
In Italia a che punto siamo?
“Abbiamo lavorato tutto l’anno in vista del periodo estivo. Basti pensare che a inizio gennaio abbiamo emanato le prime raccomandazioni operative. Abbiamo fatto riunioni per analizzare le criticità e abbiamo costituito un gruppo inter-istituzionale per migliorare la capacità di organizzazione del sistema. Ho molto spinto perché le Regioni si dotino di mezzi aerei adeguati a interventi per fronteggiare gli incendi. Le Regioni si sono adeguate, in modo particolare la Sicilia”.
Sta dicendo che potrebbe capitare un incendio così vasto ma non così incontrollato?
“Esatto. Il punto non è che ci sia o meno un incendio. Abbiamo zone del Paese, come la Sardegna, che storicamente sono a rischio. Ma noi qui abbiamo un modo aggressivo di intervenire. Basti pensare che abbiamo anche avuto emergenze in cui dovevamo controllare incendi molto vasti con condizioni di vento che non ci permettevano di usare mezzi arerei. Anche in quel caso siamo sempre stati in grado di gestire la situazione”.
Ma non tutti sono d’accordo con il capo dipartimento della Protezione Civile nazionale. Antonio Brizzi, segretario del sindacato autonomo dei Vigili del Fuoco Conapo, non ha dubbi. “Di fronte a una possibile emergenza incendi – evidenzia – non si può arrivare con pochi uomini e mezzi antiquati”. E aggiunge: “Siamo sotto organico, abbiamo 5mila uomini in meno. Lo smantellamento del Corpo Forestale è stato fatto con poca cognizione di causa, ai Vigili del Fuoco è stato dato tutto il compito degli incendi boschivi, con soli 362 uomini e un certo numero di mezzi, la maggioranza dei quali, vetusti”.
“Della ripartizione degli uomini della Forestale – conclude Brizzi – 7mila sono andati ai Carabineri. Abbiamo chiesto che di questi, 2mila ritornino nel Corpo dei Vigili del Fuoco”.
Ma non basta, non può bastare. Servono leggi adeguate, serve la prevenzione ma soprattutto serve una nuova cultura del territorio, un nuovo modo di organizzare il settore forestale italiano, troppo trascurato dalla politica (in parte perché rappresenta lo 0,08 per cento del valore aggiunto nazionale), nonostante le superfici forestali coprano più di un terzo del territorio e rappresentino quella che è stata definita la più grande infrastruttura verde del paese. Una infrastruttura che, nonostante incendi e attacchi parassitari, è in espansione a seguito della ricolonizzazione di terreni agricoli abbandonati. La prevenzione a costi minori è quella connessa alla rivitalizzazione dell’economia del settore: un bosco che produce valore è un bosco che viene difeso e che difficilmente brucia.
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