PALERMO – Nato il 28 giugno 1924 a Sesana, comune allora in provincia di Trieste, oggi sloveno, l’allora ventottenne Danilo Dolci, che insieme ad Aldo Capitini sarebbe poi stato appellato il Gandhi italiano, nel 1952 si trasferì in Sicilia, precisamente nel piccolo comune marino di Trappeto, a metà strada circa tra Palermo e Trapani, spinto forse da un’ispirazione a Nomadelfia, la comunità fondata a Fossoli, nel modenese, da don Zeno Saltini, alla quale Dolci aveva aderito nel 1950, interrompendo per questo, alla vigilia della tesi, gli studi di Architettura. A Trappeto, Dolci trova un’estrema povertà. Un bambino, Benedetto Barretta, muore per denutrizione. Il 14 ottobre 1952 decide allora di fare la prima di tante lotte nonviolente: inizia un digiuno per attirare l’attenzione delle istituzioni sulla miseria. Il digiuno viene interrotto quando le autorità s’impegnano a fare alcuni interventi.
Con il piemontese Franco Alasia, che si era trasferito con lui in Sicilia ed era diventato il suo principale collaboratore, l’attivista fa poi un altro digiuno nel 1957 a Palermo, a Cortile Cascino, uno dei quartieri più poveri del capoluogo, dove i bambini morivano di fame come a Trappeto. Intanto, nel 1953, Danilo Dolci aveva sposato Vincenzina, vedova di un contadino/marinaio di Trappeto. Ai cinque figli già avuti da Vincenzina, seguiranno Libera, Cielo, Chiara, Daniela e Amico (musicista e oggi continuatore dell’opera del padre). A Partinico, paese vicino Trappeto, il 30 gennaio 1956 Dolci promuove lo ‘sciopero alla rovescia’: una forma di lotta basata sull’intuizione che, se un operaio, per protestare, si astiene dal lavoro, un disoccupato può scioperare invece lavorando. Così tanti disoccupati riattivano pacificamente una strada comunale abbandonata; ma i lavori vengono fermati dalla polizia e Dolci, con alcuni suoi collaboratori, viene arrestato.
L’episodio suscita in Italia grande scalpore. Tra gli avvocati difensori di Dolci e degli arrestati c’è anche l’insigne giurista Piero Calamandrei che, il 30 marzo 1956, al Tribunale di Palermo pronuncia un’appassionata arringa difensiva. Condannato comunque a 50 giorni di carcere, Dolci ebbe l’appoggio alle sue iniziative nonviolente, oltre che da tanti giovani volontari, da personalità come Carlo Levi, Elio Vittorini, Giorgio La Pira, Renato Guttuso, Bruno Zevi, Aldo Capitini, Norberto Bobbio e, tra gli stranieri, da Erich Fromm e Jean Piaget.
Lo studio attento delle cause della povertà siciliana porterà l’attivista anche a denunciare la mafia e i suoi rapporti col sistema politico. Dopo le accuse espresse a politici democristiani quali Calogero Volpe e Bernardo Mattarella, Dolci e Alasia vengono querelati per diffamazione e condannati. Da segnalare anche la netta condanna dell’allora cardinale di Palermo Ernesto Ruffini, per il quale Dolci disonorava la Sicilia quando affermava che nell’isola regnavano “estrema povertà e somma trascuratezza da parte dei poteri pubblici”. Il 25 marzo 1970, assieme a Pino Lombardo e Franco Alasia, Danilo Dolci fu promotore di un’altra clamorosa iniziativa: l’apertura della prima radio libera italiana, Radio Partinico Libera, che infranse il monopolio della RAI. La radio, chiusa il giorno dopo, servì a lanciare un appello accorato per i poveri cristi che, dopo più di due anni dal terremoto del Belice, vivevano ancora nelle baracche in condizioni di estremo disagio.
Oltre che sociologo e attivista nonviolento, Dolci fu soprattutto un educatore, assertore della ‘maieutica socratica’: a suo avviso, infatti non era possibile realizzare alcun cambiamento sociale significativo senza la presa di coscienza e il coinvolgimento diretto delle persone interessate. Così divenne animatore instancabile di incontri durante i quali i partecipanti imparavano ad ascoltare gli altri, a confrontarsi sulle questioni trattate e, infine, a prendere insieme le decisioni. Proprio durante le riunioni ‘maieutiche’ con contadini e pescatori, nacque l’idea di chiedere la costruzione di una diga sul fiume Jato. La realizzazione del progetto favorì lo sviluppo economico della zona, consentendo la nascita di numerose aziende e cooperative e privando la mafia del suo potere di controllo sulle modeste risorse idriche disponibili. A partire dagli anni ’70 l’impegno educativo diventa per Dolci fondamentale: viene approfondito lo studio della ‘struttura maieutica’, modalità cooperativa di dibattito e ricerca comune della verità. Col contributo di esperti, si avvia l’esperienza del Centro Educativo di Mirto (vicino Partinico), frequentato da centinaia di bambini. Negli anni successivi, lo studioso conduce in tutta l’Italia vari laboratori maieutici in scuole, associazioni, centri culturali.
Danilo Dolci muore a Trappeto il 30 dicembre 1997, dopo aver ricevuto numerosi riconoscimenti per la sua opera nonviolenta e la sua azione maieutica: nel 1957 gli fu attribuito in Unione Sovietica il Premio Lenin per la pace, accettato pur dichiarando di non essere affatto comunista; nel 1968 l’Università di Berna gli conferisce la laurea honoris causa in Pedagogia; nel 1969, per la sua opera di diffusione dei valori umanitari e culturali, viene insignito della Medaglia d’oro dell’Accademia dei Lincei; nel 1970 ottiene il Premio Socrate di Stoccolma per “l’attività svolta in favore della pace, per i contributi di portata mondiale dati nel settore dell’educazione” e il Premio Sonning dell’Università di Copenaghen “per il contributo offerto alla civilizzazione europea”. Inoltre, negli anni ’70, per le sue composizioni poetiche – aveva iniziato a comporre liriche negli anni ’50 – ottiene il Premio Internazionale Viareggio. Nel 1989, in India, riceve il Premio Internazionale Gandhi per l’approfondimento dei valori rivoluzionari nonviolenti. Infine, nel 1996 l’Università di Bologna gli conferisce la laurea honoris causa in Scienze dell’educazione.
La scrivente ha conosciuto Danilo Dolci in un convegno a Palermo, a inizio degli anni ’90: le sono rimasti impressi i suoi grandi occhi celesti, la pacata eloquenza e l’incoraggiamento a impegnarsi nel lavoro di docente. E una sua poesia: “C’è chi insegna/guidando gli altri come cavalli/passo per passo:/forse c’è chi si sente soddisfatto/così guidato./C’è chi insegna lodando/quanto trova di buono e divertendo:/c’è pure chi si sente soddisfatto/essendo incoraggiato./C’è pure chi educa,/ senza nascondere/l’assurdo che è nel mondo,/aperto a ogni sviluppo,/cercando di essere franco all’altro come a sé,/sognando gli altri come ora non sono:/ciascuno cresce solo se sognato”.
Maria D’Asaro
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