CASTEL DI TORA (Rieti) – Andare in pedalò sul lago del Turano nella settimana di Ferragosto e trovare una necropoli romana. Due ragazzi del posto, fra cui David Di Benedetti (un occhio esperto sui resti archeologici) hanno avvisato immediatamente la Soprintendenza ai Beni Archeologici, l’amministrazione comunale di Castel di Tora, che ha messo a disposizione mano d’opera e risorse economiche ed è subito iniziata una breve, ma intensa, campagna di scavi che ha permesso di scoprire 12 tombe, di cui tre scavate più approfonditamente, con l’archeologa Letizia Silvestri, i funzionari della Soprintendenza, Francesca Licordari e Alessandro Betori (rilievo topografico dello Studio Tecnico di Massimiliano Ceccarelli).
L’area è senza dubbio di grande interesse archeologico e il ritrovamento è stato possibile grazie al livello basso delle acque del lago artificiale del Turano e a smottamenti e movimenti franosi che hanno riportato alla luce la necropoli. Si tratta di tombe “a cappuccina”, cioè in fossa sormontata da coppie di tegole disposte a spiovente, fermate da coppi, la cui presenza era già nota a livello locale da almeno cinquant’anni, ma non erano mai state indagate scientificamente. Nel 1984 anche l’archeologo Andrea Staffa ne aveva parlato in una tesi sui resti archeologici della valle del Turano. Lo stato di conservazione delle ossa ha permesso, in alcuni casi, il recupero quasi completo dello scheletro e anche di un cranio, duro e compatto, non rovinato dalle acque del lago, che consentirà di effettuare studi approfonditi sul sesso, l’età, la statura, le patologie e le attività ricorrenti. Analisi molecolari potrebbero permettere, inoltre, di ricostruire appartenenze e peculiarità genetiche attraverso il Dna e abitudini alimentari. Sono stati rinvenuti diversi chiodi, le cosiddette “bollette”, che si usavano fin dall’antichità per gli scarponi chiodati e che non erano indossate dagli schiavi.
A un mese dal ritrovamento sono stati presentati a Castel di Tora i risultati di queste indagini preliminari in un convegno con archeologi e studiosi sull’archeologia della Valle del Turano tra passato presente e futuro, le attività della Soprintendenza, le cavità naturali della preistoria e le nuove ricerche, le forme di insediamento nella media valle del Turano in epoca antica, l’area funeraria di età romana a Campo Reatino (54 tombe a cappuccina che coprono due secoli fino al III secolo d.C.), le prospettive di ricerca archeologica, la necessità di realizzare campi scuola universitari, ricostruire una geopolitica dei santuari, con ricerche anche a Roccasinibalda, Vallecupola, Ascrea, Paganico, dove è stata rinvenuta la Pietra Scritta, monumento funerario della famiglia dei Muttini, risalente alla seconda metà del I secolo a.C., fonte di leggende legate a tesori nascosti, a strepiti infernali assordanti e ad apocalittici fenomeni metereologici.
Necessario oggi guardare al territorio come era prima dell’invaso artificiale che ha ricoperto strade di collegamento, tratturi, quindi insediamenti e dunque necropoli, coinvolgendo anche il Moby’s sub Apnea Blu di Rieti, oltre al Gruppo Speleologico Vespertilio, per indagare una storia ormai sepolta dalle acque, che riemerge solo quando il livello è molto basso come in questo periodo. Serve dunque un nuovo progetto di ricerca e sinergia tra enti. Il sindaco Cesarina D’Alessandro ha già dato piena disponibilità a sostenere le ricerche “nell’ottica di uno sviluppo futuro del paese e dell’intero territorio, iniziando un percorso condiviso con la Soprintendenza, altri comuni ed enti sovracomunali, per programmare ed effettuare ulteriori ricognizioni sistematiche, l’eventuale redazione di una carta archeologica aggiornata, la musealizzazione dei reperti in loco e la creazione di percorsi storico-archeologici che possano implementare il già importante patrimonio culturale e naturalistico della Valle del Turano”.
Cunicoli, grotte, necropoli: la Sabina, la valle del Salto e del Turano, i monti carseolani con l’eremo di San Giovanni in Fistola (si scava dal 2012 grazie anche alla Riserva Regionale Monti Navegna e Cervia), fino alla colonia romana di Alba Fucens in Abruzzo, la necropoli a cappuccina di Campo Reatino a Rieti (zona 4 Strade), i monti Sabini, brulicano letteralmente di resti di insediamenti umani, dall’età protostorica, fino all’età imperiale. Ce n’è di storia da raccontare e soprattutto da scoprire, perché attraverso lo studio delle sepolture, arredi funebri, ossa e Dna si scoprono le abitudini alimentari, lo stato di salute, gli scambi culturali e gli spostamenti dell’uomo. C’è la Grotta di Pila a Pozzaglia Sabina, frequentata sin dal paleolitico superiore, dove vive una importante colonia di chirotteri (il loro guano ha reso più complicato fare rilevamenti stratigrafici): nel 1996 il Gruppo Speleologico Vespertilio, su incarico dei funzionari della Soprintendenza Archeologia del Lazio e dell’Etruria Meridionale, ha effettuato rilievi e riprese fotografiche all’interno del sito preistorico, già scoperto ed esplorato dal professor A. G. Segre ed A. Radmilli alla fine degli anni ‘50.
Si tratta di una cavità molto importante in cui i paleontologi identificarono alcune inumazioni del periodo eneolitico, ha un grosso camerone con concrezioni sviluppate, resti di ceramica protostorica, pietra lavorata del tardo Pleistocene -inizio Oroceno, ossa di animali, punte di freccia, corredi funerari del bronzo antico. C’è Grotta Scura, oggetto di un importante studio volto ad identificare lo stato del sito. Scoperta nel 1988 dal Gruppo Speleologico F. Orofino, la cavità venne frequentata da una particolare cultura protostorica presente durante l’età del bronzo in tutta la nostra penisola e a cui si dà il nome di “civiltà appenninica”, c’è la grotta di Battifratta, lungo il costone travertinoso del Pleistocene medio inferiore a Poggio Nativo, sulla sinistra del fosso di Riano confluente con il fiume Farfa e altre grotte con reperti paletnologici, c’è la Grotta Grande di Muro Pizzo, l’eremo di San Giovanni in Fistola sui monti carseolani, la Valle del Cavaliere fino alla colonia romana di Alba Fucens in Abruzzo, Valle Mura con sepolcreti del IX secolo a.C.
Questo sito in particolare ha rilevato una popolazione robusta e di statura alta (1,77 mt il più alto) senza particolari malattie, sepolture singole in casse lignee, ma non ci sono bambini. A Collalto Sabino sulla vetta di Monte San Giovanni si notano canali di drenaggio di bonifica della zona, si costituisce il paesaggio agrario, gli scavi hanno riportato in luce santuari e depositi votivi, fabbriche di laterizi e mattoni, monete, vasi in pasta vitrea (III, II secolo a.C.). Ci sono tante ricognizioni ancora da fare in tutta la valle del Turano, da scoprire e da riprodurre com’era: sarà possibile con i visori 3D dell’associazione Ri-attivati, che ha ricostruito la Rieti medievale, in base a cartografie e documentazione accurata, organizzando visite guidate.
Francesca Sammarco
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