PERUGIA – Non ha avuto la sua conversione, i toni drammatici di quella di Paolo di Tarso sulla via di Damasco, sbalzato giù di sella dal proprio cavallo e ammonito dalla parola divina (“Saulo, Saulo, perché mi perseguiti!”), ma la chiamata, sia pure silenziosa, ha prodotto gli stessi effetti. Saulo – il suo nome prima di aderire al cristianesimo – , ebreo, forse della setta dei nazirei, ma pure cittadino romano, e molto attivo nella lotta contro il nascente cristianesimo, ebbe la “folgorazione” lungo la strada che lo portava da Gerusalemme alla città che è la capitale più antica del mondo; il dottore in veterinaria, Augusto Martelli da “non credente” si è trasformato in cristiano, quindi in eremita, infine in sacerdote ed in pastore di anime. Una avventura umana e religiosa, a dir poco, significativa.
Da dove possiamo partire per raccontare la sua esperienza, don Augusto?
“Sono nato a Perugia, con mamma (che non c’è più) e papà impiegati e con un fratello, ora sposato e padre di tre figli. Mi sono diplomato al liceo scientifico Alessi e poi ho conseguito la laurea in Veterinaria all’università di Perugia”.
Da cosa è dipesa la scelta negli studi?
“Non sono mai stato uno sportivo, neanche da ragazzo. Ho coltivato fin da piccino un interesse per l’igiene degli alimenti animali. La carne ed i formaggi, per essere chiari. Ed una volta laureato ho trovato lavoro in una azienda avicola in Emilia Romagna, dove sono rimasto per dieci anni”.
Cosa ha caratterizzato la sua attività professionale?
“Il rapporto umano con gli allevatori del forlivese, che mi raccontavano delle loro vicissitudini, le loro speranze, i loro sogni. Una sorta, per me, di interesse in embrione verso l’uomo, per il suo passaggio sulla terra, per le sue aspirazioni, per il senso ed il significato da dare alla vita”.
Già aveva abbracciato il cristianesimo?
“No. Ero ancora un non credente. Mi sono convertito più tardi a 35 anni di età…”.
Dove e quando è avvenuta la “folgorazione”?
“A Monteripido, dove mi ero portato con un gruppo di amici. Fu lì – correva il 2001 – che un frate minore francescano, mi mise in mano un “Vangelo’, quello di Giovanni, invitandomi a leggerlo. Mi colpì il versetto in cui Gesù, di notte, parla con Nicodemo, esponente dei Darisei e membro del Sinedrio. Un passaggio in particolare mi spinse a riflettere: Il vento soffia dove vuole e tu ne odi il suono, ma tu non sai donde viene e dove va. Era diretta non solo a Nicodemo quella frase, ma anche a me? Cominciò da lì il mio cambiamento radicale”.
Da spingerla, addirittura, ad una vita eremitica…
“Mi ritirai in una comunità monastica, nata negli anni Cinquanta in Francia con il nome di Monaci di Betlemme, dell’Assunzione della Vergine Maria e di San Bruno, dove vigono la clausura e la regola del silenzio. Una vita contemplativa e di lavoro. Solo nel fine settimana i fratelli si riuniscono e parlano tra di loro, affrontando un tema specifico. Lì ho vissuto per dieci anni”.
Da cosa è dipesa l’interruzione di quell’esperienza?
“Dal cardinale Gualtiero Bassetti, che intuì la mia vocazione sacerdotale. Mi spiegò che quello che serve in monastero, serve anche nella vita sociale. Fu per questo che entrai nel Seminario regionale di Assisi per completare la mia preparazione specifica. Seguì nel 2017 l’ordinazione diaconale e, l’anno successivo, sempre in San Lorenzo, la cattedrale di Perugia, l’ordinazione sacerdotale. Entrai a far parte quale membro vivente della Chiesa”.
Quali sentimenti ha provato nel corso di quelle solenni cerimonie?
“Profondi. Intensi. L’imposizione della stola diacolanale e della dalmatica, la consegna del Vangelo dalle mani del vescovo rappresentano momenti molto significativi. Altrettanto nella ordinazione sacerdotale quando, oltre alla vestizione, vengono unte dal vescovo le mani col crisma e vengono consegnate pisside e calice a significare che tra i compiti essenziali di un sacerdote figura la celebrazione del sacramento dell’Eucarestia…”.
Inizia nel 2018 la sua attività parrocchiale, nella zona del Trasimeno…
“Mi vennero affidate Paciano che conta poco meno di mille abitanti, Vaiano e Collestrada, con 200 persone ciascuno. Cinque anni sono rimasto in questa realtà che vanta un ‘target’ di famiglie medio. Qui dovevo provvedere alla cura di cinque chiese”.
Quest’anno è approdato alle porte di Perugia, dove un tempo sorgeva una delle prime diocesi cristiane dell’intera regione, il territorio Arnate…
“L’arcivescovo vescovo Ivan Maffeis, che ha deciso molti movimenti, ha ritenuto di inviarmi a Sant’Egidio, un paese con 1100 abitanti, Lidarno e Civitella d’Arna, 400 abitanti ogni realtà e tre chiese, un Santuario, quello di Madonna della Villa ed ancora un asilo ed una scuola materna. Il mio apostolato? Diffondere la parola vivente di Gesù”.
Quale realtà ha trovato nella nuova destinazione?
“Una grande comunione di intenti. Pensavo, all’inizio, di imbattermi in un certo campanilismo. Invece qui si aiutano vicendevolmente e questa ‘comunione’, che giudico edificante, aiuta anche me”.
Qual è il passo evangelico al quale non soltanto nella celebrazione della messa, lei fa riferimento più spesso?
“Il colloquio con la Samaritana, riportato da Giovanni (4, 7-30). Lo considero l’emblema dell’incontro per eccellenza. La donna con l’anfora, che si imbatte in Gesù al pozzo in pieno mezzogiorno, ha avuto cinque mariti ed il sesto non è suo sposo. Una peccatrice. Che, sulle prime quando Gesù le chiede da bere, resta sulle sue perché tra Giudei e Samaritani non corrono buoni rapporti, poi pian piano si scioglie. Ed entra in sintonia con l’interlocutore. So che deve venire il Messia, chiamato il Cristo, dice. E lui risponde: Sono io, colui che ti parla. Ed allora, abbandonata in fretta l’anfora, la Samaritana corre in città per raccontare ai compaesani l’incontro e questi ultimi in buon numero si recano al pozzo per vedere l’uomo che la concittadina aveva descritto, sia pure col dubbio dell’interrogativo: Che sia lui il Cristo? Tutti possiamo diventare testimoni della parola di Dio”.
Elio Clero Bertoldi
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