RIETI – “Questo è un libro che avrà poco esito” commentò Francesco Trevisan, professore di lettere e amico. Eppure Pellegrino Artusi continuava a replicare: “Con questo manuale pratico basta si sappia tenere un mestolo in mano, che qualche cosa si annaspa”. Alla fine, nel 1891, non riuscendo a trovare un editore, Artusi decise di pubblicare a proprie spese le prime mille copie del suo “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”, rivolgendosi al tipografo Salvatore Landi. Le prime due copie furono date in premio a una fiera di beneficienza, al posto delle attese copie delle poesie di Ugo Foscolo. Chi le vinse le andò a vendere subito al tabaccaio. Fu il professor Paolo Mantegazza, antropologo darwiniano, igienista, patologo e scrittore, il primo ad apprezzare il libro, perché poteva essere utile alle famiglie: “Col darci questo libro voi avete fatto un’opera buona e perciò vi auguro cento edizioni”.
Alla 35esima ristampa (con l’editore Bemporad, in seguito Bemporad Marzocco), Artusi pensò di pubblicare edizioni più eleganti, trovando però ancora ritrosie, tanto che replicò: “Dunque anche lei, perché questo mio lavoro sa di stufato, sdegna forse di prenderlo in considerazione? Sappia però e lo dico a malincuore, che con le tendenze del secolo al materialismo e ai godimenti della vita, verrà il giorno, e non è lontano, che saranno maggiormente ricercati e letti gli scritti di questa specie; cioè di quelli che recano diletto alla mente e danno pascolo al corpo, a preferenza delle opere, molto più utili all’umanità, dei grandi scienziati”. Fu molto lungimirante, chissà cosa direbbe oggi, tra dilaganti programmi televisivi, pubblicazioni, canali tematici, Masterchef e chef stellati! “Il mondo corre assetato anche più che non dovrebbe, alle vive fonti del piacere, e però chi potesse e sapesse temperare queste pericolose tendenze con una sana morale avrebbe vinto la palma”. Questo scriveva nel lontano 1902, nella prefazione alla VI edizione, che intitolò “Storia di un libro che rassomiglia alla storia della Cenerentola”.
Mai però avrebbe potuto immaginare che il suo libro oggi sarebbe stato ancora venduto e reperibile anche online. La Biblioteca Comunale Pellegrino Artusi di Forlimpopoli (dove nacque nel 1820) conserva (in cartaceo e in digitale) le prime 15 edizioni, dal 1891 alla sua morte nel 1911, curate direttamente dall’autore e copie di tesi di laurea che hanno avuto per oggetto il libro, tradotto in molte lingue. Artusi ebbe una vita agiata, mantenendo le sue passioni per la letteratura e la cucina, morì a Firenze dove si era ritirato a vita privata nel 1865, quando la città divenne capitale. Scrisse una biografia di Foscolo, poi “Osservazioni in appendice a 30 lettere del Giusti”, anche questi pubblicati a sue spese, senza grande successo. Con il suo libro di cucina ha anticipato Mario Soldati, regista, sceneggiatore, scrittore, le interviste dei suoi documentari “Viaggio nella valle del Po”, “Orta mia”, “Il pranzo di Natale” del 1958, con costumi e stili di vita.
Artusi racconta l’Italia appena nata, nel 1861, le ricette delle sue regioni, con lunghe dissertazioni, spunti linguistici, aneddoti e un discorso conviviale in cui sembra di veder materializzarsi le cascine, il camino, le signore chiamate per nome, in vestiti d’epoca, che svelano i segreti, le ricette della tradizione locale, come il panettone Marietta. “La cucina è una bricconcella, spesso e volentieri fa disperare, ma dà anche piacere, perché quelle volte che riuscite o che avete superata una difficoltà, provate compiacimento e cantate vittoria… Se non si ha la pretesa di diventare un cuoco di baldacchino non credo sia necessario, per riuscire, di nascere con una cazzaruola in capo; basta la passione, molta attenzione e l’avvezzarsi precisi: poi scegliete sempre per materia prima roba della più fine, ché questa vi farà figurare… Il miglior maestro è la pratica sotto un esercente capace; ma anche senza di esso, con una scorta simile a questa mia, mettendovi con molto impegno al lavoro, potrete, io spero, annaspar qualche cosa”.
Ecco: la semplicità, il piacere di fare le cose, il cimentarsi senza affanno, senza crisi isteriche, senza l’ansia di essere i migliori, un libro che è anche filosofia di vita. Ada Giaquinto (1891-1973), conosciuta con il cognome del marito, scultore, orafo e critico musicale Enrico Boni, nel 1925 pubblicò “Il talismano della felicità”, 882 ricette contro le 790 dell’Artusi, rivolgendosi soprattutto alle signore, giovani spose, mogli e madri di famiglia, perché “la felicità di un matrimonio inizia dalla buona tavola”. Anche questo libro ebbe successo e fu tradotto in molte lingue e anche qui veniva dato ampio spazio alle differenze regionali in materia di gastronomia, ma la mano femminile dava più una impostazione di “economia domestica”, dando rilevanza agli aspetti pratici, come la facilità di esecuzione e il costo contenuto, tanto che il libro era considerato un prezioso regalo di nozze, in cui nelle prime pagine si indicava il buon arredamento di una cucina.
Nella prefazione della prima edizione il marito definiva Pellegrino Artusi “incompetente e poco pratico”. Ada Boni seguì l’insegnamento dallo zio paterno Adolfo, chef, insegnante, autore di ricettari e fondatore della rivista “Il messaggero della cucina”, aprì una scuola di cucina frequentata dalla migliore aristocrazia romana, potendo dimostrare che la cucina raffinata, ben curata, non era più lo status symbol di una ristretta fascia sociale. Tenne riviste radiofoniche, scrisse anche”La cucina romana”, per salvare una cucina tradizionale che si andava perdendo e della quale era una profonda conoscitrice, nel 1949 pubblicò “Prime esperienze di una piccola cuoca”, curò la rubrica gastronomica “Il talismano di Arianna” sull’omonima rivista, con Arnoldo Mondadori Editore. Le ricette vennero raccolte poi nel volume “Cucina Regionale Italiana”, pubblicato postumo nel 1975.
Francesca Sammarco
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