//Stefano Cucchi, la verità viene a galla

Stefano Cucchi, la verità viene a galla

di | 2018-11-04T06:49:58+01:00 4-11-2018 6:48|Top Blogger|0 Commenti

Tutti sapevano, nessuno parlava. Adesso, a distanza, di nove anni dall’arresto e dalla morte, saltano fuori prove e testimonianze che dimostrano quanta colpa, quanta cattiveria e quanta arroganza ci sia stata in quei Carabinieri che la sera del 15 ottobre 2009, all’interno del parco degli Acquedotti a Roma, fermarono Stefano Cucchi, 31 anni, con l’accusa di possesso di 20 grammi di hashish e di alcune pastiglie. Una settimana dopo Stefano venne trovato morto in una stanza all’interno del reparto protetto dell’ospedale Sandro Pertini di Roma dove era ricoverato da quattro giorni. Sul suo corpo, ormai ridotto a uno scheletro (pesava 27 chilogrammi), i segni inequivocabili delle violenze ricevute: fratture, ecchimosi, ematomi e c’è chi dice anche quelli della fame. Da subito si capisce che c’è chi ha la coscienza sporca e cerca di nascondere prove e documenti. Ma la famiglia del giovane geometra inizia una battaglia mediatica che mostra all’opinione pubblica le immagini di quel corpo martoriato. Non solo, dati alla mano contrastano le dichiarazioni di chi vuol far passare la morte di Stefano Cucchi come un tragico incidente. Qualcuno con la solita frase “se l’è andata a cercare”.
Sintetizziamo molto, a marzo del 2011 comincia il processo di primo grado. Viene chiesto il rinvio a giudizio per 13 persone: tre infermieri, sei medici, tre agenti di polizia penitenziaria e il direttore dell’ufficio detenuti. Quest’ultimo, che aveva chiesto il rito abbreviato, viene rinviato a giudizio. È condannato a due anni per i reati di favoreggiamento, falso e abuso in atti d’ufficio per poi essere assolto in secondo grado ad aprile 2012. Per i medici le accuse sono di falso ideologico, abuso d’ufficio, abbandono di persona incapace al rifiuto in atti d’ufficio, favoreggiamento, omissione di referto. I poliziotti sono accusati di lesioni aggravate e abuso di autorità. Il 5 giugno 2013. Dopo tre anni di un processo portato avanti a forza di dubbi, silenzi e omertà, è ufficializzata la sentenza di primo grado: assoluzione per gli agenti penitenziari e per gli infermieri coinvolti. Condannati i medici del Pertini per omicidio colposo ma poco più di un anno dopo tutti gli imputati sono assolti nel processo d’Appello per insufficienza di prove. La decisione è dibattuta e contrastata per le alternative che avrebbero potuto adottare i giudici. “Un’assoluzione per assenza di prove”, chiariva Luciano Panzani, presidente della Corte d’Appello di Roma, sottolineando che “non c’erano elementi sufficienti per ritenere gli imputati colpevoli di un reato, che però c’è stato”.
Ma la battaglia della famiglia Cucchi, in special modo la sorella Ilaria, non si ferma. Dicembre 2015, la Cassazione accoglie il ricorso, annulla le assoluzioni dei medici ma conferma quelle dei tre agenti di polizia penitenziaria. La Procura di Roma avvia una nuova indagine. Viene chiesta una nuova perizia medico legale per stabilire se Stefano abbia subito percosse dai carabinieri e se siano state poste le condizioni per una “corretta ricostruzione dei fatti”.
A gennaio 2017 la Procura chiede il processo con nuovi capi d’accusa a carico dei tre carabinieri Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro e Francesco Tedesco, che devono rispondere di omicidio preterintenzionale pluriaggravato dai futili motivi e dalla minorata difesa della vittima, abuso di autorità contro arrestati, falso ideologico in atto pubblico, calunnia.
E arriviamo a oggi. Francesco Tedesco, uno dei cinque carabinieri imputati nel processo bis di primo grado, confessa e accusa gli altri colleghi del pestaggio di Cucchi. Il carabiniere, nella sua deposizione, rivela l’esistenza di una nota scritta da lui stesso in cui spiegava che cosa era successo a Cucchi. La nota sarebbe stata inviata alla stazione Appia dei carabinieri e sarebbe stata fatta sparire.
Con Tedesco praticamente viene a galla un’altra vicenda, un’altra storia, si sfonda una porta. Anzi un portone. Omertà, false testimonianze, depistaggi, una vera e propria organizzazione ad alto livello che ha puntato a far sparire quanto fino a quel giorno – e soprattutto nei giorni susseguenti la morte di Stefano Cucchi – la sua famiglia aveva portato alla luce.
Adesso salta fuori che di quell’aggressione, di quelle violenze, di quella morte erano a conoscenza anche i vertici dell’Arma dei Carabinieri, o almeno alcuni di essi. Ogni giorno c’è chi aggiunge nuovi tasselli a un’inchiesta che sin dal primo momento avrebbe dovuto portare a galla colpe e responsabilità ma che in pochi, in pochissimi, hanno voluto che così fosse. Stefano Cucchi è stato arrestato, aggredito, malmenato, abbandonato a sé stesso, senza assistenza medica e ammazzato. Tutti sapevano, nessuno ha parlato. Oggi forse è giunto il momento della verità.

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