VITERBO – Il crocifisso in classe non si tocca. Lo certifica una sentenza (la 24414/2021) delle Sezioni unite civili della Cassazione, riguardante appunto l’esposizione del sacro simbolo nelle aule scolastiche. A sollevare la questione un insegnante di fronte alla decisione presa dal dirigente scolastico di un istituto professionale statale in base ad una delibera raggiunta con la maggioranza dall’assemblea di classe degli studenti.
La controversia fa discutere da tempo: secondo il parere del ricorrente, il simbolo religioso appeso alla parete dell’aula ledeva la libertà di coscienza in materia religiosa dell’insegnante. “In un Paese come l’Italia, l’esperienza vissuta di una comunità e la tradizione culturale di un popolo non costituiscono atto di discriminazione verso il docente dissenziente per causa di religione”, si sottolinea in un comunicato diffuso per spiegare le motivazioni della sentenza.
La questione, ormai da diversi anni, vede la contrapposizione tra cattolici e laici ed evidenzia la divisione sempre più accentuata, con relative reazioni di scontento e disapprovazione dal mondo cattolico ed ovviamente di consenso ogniqualvolta vengono rilasciate dichiarazioni a favore, come quella del ministro Lorenzo Fieramonti quando affermò di “preferire una scuola laica”.
Per la Corte di Cassazione, dunque, uno dei più significativi simboli del Cristianesimo non si tocca: “L’aula – si legge nella sentenza – può accogliere la presenza del crocifisso, quando la comunità scolastica interessata valuti e decida in autonomia di esporlo, eventualmente accompagnandolo con i simboli di altre confessioni presenti nella classe e in ogni caso ricercando un ragionevole accomodamento tra eventuali posizioni difformi”. È ovvio, che da un punto di vista culturale ormai la concezione sul crocifisso nelle scuole, nei seggi elettorali o nelle aule del tribunale per i cattolici è cristallizzata da tempo: è sentito come una sorta di simbolo di libertà; per altri, invece, rappresenta un’imposizione di uno Stato che, in definitiva, è e deve restare laico. La diatriba si protrae da tempo e vede la Chiesa pronta a battersi per affermare il principio della legittimità della presenza nei luoghi pubblici, soprattutto a scuola. Si tratta di “un simbolo di prezioso contributo alla costruzione di una società fraterna”, scrisse Padre Lombardi in un editoriale su “La civiltà cattolica”.
Per quanto riguarda la richiesta dell’insegnante a ricevere un risarcimento danni, niente da fare, perché per i giudici “non si è ritenuto che sia stata condizionata o compressa la sua libertà di espressione e di insegnamento”.
Laura Ciulli
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