VITERBO – Era il 12 giugno 2005, Steve Jobs parlava ai laureandi della Stanford University. Il suo intervento è diventato celebre ed è oggi ritenuto una sorta di testamento spirituale, le sue parole diedero l’impronta a un’epoca. Sono trascorsi quindici anni e la fame di futuro, di lavoro, di strappare il proprio posto nel mondo è entrata nel DNA dei millennials vale a dire nel DNA di quei ragazzi e ragazze diventati maggiorenni nel corso del nuovo millennio (nati dal 2000 in poi) e che costituiscono la generazione delle tre C: Connected (cioè connessi in Rete e a tutto il mondo); Confident (hanno grande fiducia in se stessi, vogliono emergere e avere visibilità); Change (aperti al cambiamento). La new generation, per intenderci, considerata una generazione per lo più pigra e narcisista ma che, al contrario, è curiosa e flessibile, cresciuta in scenari politici, condizioni economiche e sociali lontani da quelli validi fino alla fine del Novecento. Una generazione che fa i conti con sfide, opportunità e rischi riuscendo sempre a cercare strade diverse trovando soluzioni sorprendenti ad ogni problema che gli si pone davanti.
I millennials sono individualisti ed hanno una forte autostima e determinazione alla realizzazione personale; questi ragazzi fanno della condivisione uno dei pilastri in cui credono. Per loro è naturale mettere in comune pensieri, progetti, passioni e sono dei viaggiatori nati. Per un trentenne i confini geografici non esistono più, contano le reti, cioè le comunità con cui (anche a migliaia di chilometri di distanza) condividere esperienze. A causa della difficoltà a trovare un lavoro nel nostro Paese, sono preparati all’idea di studiare o lavorare all’estero. I millennials sono la prima generazione ad essere immersa in uno scenario radicalmente globale: o l’innovazione sociale sarà pervasiva o il mondo non sarà.
Non è raro che le persone presenti da più tempo nelle aziende abbiano percezioni sfavorevoli dei colleghi appartenenti alla generazione millennials e non è raro che li definiscono arroganti, convinti di sapere tutto, senza alcun rispetto per l’autorità e con un etica di lavoro che lascia molto a desiderare. D’altro canto, la visione dei millennials sui colleghi più “anziani” si focalizza spesso su caratteristiche quali, ad esempio, rigidità, resistenza al cambiamento, scarsa attitudine all’innovazione e la convinzione che l’equazione più ore passate in ufficio = performance più alta sia vera.
Per questo la vera urgenza è ripartire dall’istruzione. Se da un lato vi è la necessità di mettere questi ragazzi in una condizione sociale favorevole, dall’altro lato vi è un enorme tesoro di competenze professionali che dovrebbero essere messe a loro disposizione da parte delle generazioni più mature. Un passaggio di informazioni che ha come risvolto positivo anche il mantenere attive le persone più “anziane” all’interno della società. Per agevolare questo passaggio di competenze è necessario lavorare attivamente per mettere in contatto il trasferimento delle competenze tra queste due generazioni spesso lontane tra loro. Il dialogo tra vecchie e nuove generazioni abbatte quelle barriere che spesso non permettono il dialogo reciproco, portando alla perdita dell’esperienza e delle competenze, di un background fondamentale soprattutto all’interno delle aziende. L’avvicinamento culturale delle due generazioni migliora inoltre il dialogo portando alla luce stati d’animo, considerazioni, predisposizioni che spesso rimangono nascosti e non valorizzati. Lo scambio di informazioni intergenerazionale porta un miglioramento nella volontà di apprendimento da parte di entrambe stimolando la voglia di apprendere cose nuove, e di approfondire quanto già conosciuto. L’avvicinamento delle due generazioni porterebbe una predisposizione mentale di apertura, soprattutto nei confronti delle generazioni più giovani che spesso si trovano a competere con i loro coetanei chiudendosi quindi ad esperienze di condivisione.
In questo caso il confronto con una persona più anziana abbatterebbe questa condizione mentale favorendo il dialogo e il confronto, e facendo vivere ai giovani un’esperienza molto più profonda e appagante. Non meno importante la ricaduta sociale di questo genere di attività. Le persone più “anziane” si troverebbero coinvolte in attività che stimolerebbero la loro partecipazione alla vita sociale, migliorandone quindi la qualità della vita. Azioni che concorrerebbero attivamente all’integrazione sociale, più di altre attività mirate esclusivamente all’ottenimento di questo risultato per cui anche se abbiamo vissuto esperienze differenti, c’è stata la rivoluzione digitale, la globalizzazione, e così via; in realtà vengono condivise la maggior parte dei valori, cambiando solo le priorità e, di conseguenza, la prospettiva. Viviamo una vera e propria frattura, un passaggio di epoca tra moderno e postmoderno che sta creando grandi difficoltà nella comprensione tra le generazioni. Da una parte c’è chi ha goduto di aspettative legate alla stabilità e dall’altra chi non ha più la stabilità come riferimento. Alla luce di questa radicale differenza tra le generazioni, non ci si deve limitare a parlare di patto, ma piuttosto di “ponte”.
Un ponte di comprensione, di lettura delle nuove aspettative, dei nuovi bisogni, dei nuovi approcci al lavoro. Un ponte che aiuti a ristabilire un livello di comprensione culturale tra una generazione e l’altra, soprattutto tra gli over 50 e gli under 30, che superi la logica di una mera ricerca e trasferimento di nuove competenze digitali e vada piuttosto nella logica di un dialogo più profondo. In Italia il patto intergenerazionale e sociale basato sull’assunto che le condizioni medie delle famiglie sarebbero andate sempre migliorando si è rotto da tempo. Oggi, anche a causa della crisi congiunturale della nostra economia, questo patto sociale è molto meno riconosciuto che in passato. È dunque fondamentale riaffermare la necessità di un dialogo tra le generazioni, di uno scambio di esperienze, conoscenze, entusiasmi e passioni in grado di generare reciproco valore e beneficio. La consapevolezza di queste differenze o, meglio, dei modelli mentali differenti tra varie generazioni, è il primo passo per cambiare le percezioni errate, legate agli stereotipi, e vedere la diversità generazionale come fonte di scambio, creatrice di valore e motore dell’innovazione, proprio grazie all’estensione della prospettiva.
Adele Paglialunga
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