PERUGIA – Una repubblica fondata su un errore (dei cartografi). E che resistette per quasi quattro secoli: per l’esattezza 385 anni.
È veramente una curiosa storia quella della “Repubblica di Cospaia” che – senza ottenere gli onori della cronaca – si gestì da sola senza eserciti, senza carceri, senza tasse e così a lungo.
È veramente una curiosa storia quella della “Repubblica di Cospaia” che – senza ottenere gli onori della cronaca – si gestì da sola senza eserciti, senza carceri, senza tasse e così a lungo.
La vicenda di Cospaia, un borgo dell’alta Umbria, di appena 250 abitanti diffusi su 330 ettari di terreno (circa due chilometri di lunghezza e 500 metri di larghezza) inizia nel 1441. Papa Eugenio IV (Gabriele Coldulmer, 1383-1447) e la repubblica di Firenze (allora sotto la cripto-signoria di Cosimo il Vecchio De’ Medici (1383-1464; era il nonno di Lorenzo il Magnifico) stipularono un accordo per dividersi un pezzo di Alta Val Tiberina. Firenze incaricò i suoi cartografi di fiducia, Roma i propri consulenti geografi. La trattativa prevedeva i confini dei territori da spartirsi lungo il corso del letto del torrente Rio. Gli uni e gli altri ignoravano, evidentemente, che il fiumiciattolo si biforcava in due tronchi prima di gettarsi nel Tevere: Rio Gorgaccia a nord e Rio Riascone a sud. E, pertanto, caddero entrambi nello stesso abbaglio: i fiorentini fissarono il limite dei propri territori sul braccio del torrente più a nord, i papalini lo individuarono sul ramo più a sud.
Accadde così che una striscia di terreno non ebbe più “padroni”. Gli abitanti di Cospaia colsero la palla al balzo e si organizzarono in Repubblica senza alcun organismo, tranne il Consiglio degli Anziani ed il Consiglio dei Capi Famiglia. Non sentirono il bisogno di altro. Nel loro stato non esistevano strutture militari e neppure carcerarie. Soprattutto nessuna tassa da pagare, tranne una colletta annuale da versare da parte di ogni famiglia per i bisognosi di cure mediche.
Ed il fatto che il piccolo territorio fosse “zona franca” venne sfruttato al massimo dopo la scoperta delle Americhe (1492) e l’arrivo in Europa della pianta del tabacco. Siccome nello Stato Pontificio la coltivazione del tabacco e lo stesso utilizzo erano severamente vietati, non solo Cospaia diventò centro di produzione del tabacco, ma anche base dei contrabbandieri (o “spalloni”) che trasportavano e vendevano il prodotto nei territori papalini (Umbria, Marche, Emilia Romagna).
La gestione dello staterello veniva affidata alle riunioni dei due consigli che erano presieduti – si tenevano nella chiesa dell’Annunziata (almeno tra il 1718 ed il 1826) – dal parroco della chiesa di San Lorenzo e dal rappresentante della famiglia più importante del posto, i Valenti. La bandiera sventolava con i colori bianco e nero, divisi in diagonale, mentre sullo stemma venne disegnato il paesino con i due corsi d’acqua con due pesci (sulla destra) e la pianta del tabacco, cioè la “Nicotiana tabacum” (sulla sinistra); in alto il motto: “Perpetua et firma libertas” (Eterna e sicura libertà). Gli abitanti di Cospaia furono i primi, almeno in Italia, a coltivare il tabacco, chiamata “erba tornabuona”.
La “pacchia” degli altotiberini ebbe fine con la Restaurazione. Dopo la caduta di Napoleone, vennero ridisegnati al Congresso di Vienna, i confini di tutti gli stati europei. E si arrivò, il 26 ottobre 1826, anche alla Repubblica di Cospaia che venne letteralmente smembrata: la parte più a nord passò al Granducato di Toscana (all’epoca guidato da Leopoldo II d’Asburgo-Lorena, il penultimo del casato) ed accorpata a Sansepolcro, in Toscana; la parte a sud allo Stato Pontificio per divenire frazione di San Giustino, in Umbria. Ogni cittadino ottenne, quale risarcimento, una moneta d’argento con l’immagine del pontefice regnante, Leone XII (al secolo Annibale Francesco della Genga, 1760-1829) e il “placet” per continuare a seminare, raccogliere e seccare il tabacco. Un quarto di secolo più tardi, gli uni (gli umbri) e gli altri (i toscani), confluirono nel Regno d’Italia.
Oltre all’importanza per l’agricoltura e l’economia della coltivazione del tabacco, si verificò anche una significativa conseguenza sociale: la figura delle “tabacchine”, che recarono non soltanto ricchezza alle rispettive famiglie, ma pure una liberazione, dalla relegazione nelle case, delle donne. Ma questo aspetto apre un ulteriore capitolo ed un’altra storia.
Elio Clero Bertoldi
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