RIETI – Nella lettera scritta in occasione del 56esimo appuntamento della giornata mondiale delle comunicazioni sociali, il 24 gennaio, giorno della ricorrenza del patrono dei giornalisti San Francesco di Sales, Papa Francesco esorta ad “ascoltarci l’un l’altro” con il cuore e questo messaggio è stato condiviso e commentato insieme al Vescovo Domenico Pompili, il direttore di Radio Rai 1 e del giornale radio, Andrea Vianello e la stampa reatina. Un appuntamento annuale costruttivo e piacevole, un’occasione di confronto e riflessione, saltato solo nel 2021 a causa della pandemia. Nel 2020 l’incontro fu ad Amatrice con Giovanni Floris, pochi giorni prima dell’emergenza Covid 19 e ritrovarsi nuovamente insieme nella sala degli Stemmi di palazzo papale è stata per tutti i partecipanti una boccata d’ossigeno, un ritorno quasi alla normalità, pur con tutte le restrizioni ancora da seguire.
“Il Papa ha messo sul tavolo una questione fondamentale anche se misconosciuta: non è vero che oggi si ascolta poco, grazie alle nuove piattaforme l’ascolto è notevolmente cresciuto – esordisce Monsignor Pompili – solo che si ascolta con orecchie da mercante, non con le orecchie del cuore, non ci si ascolta l’un l’altro, invece i new media ascoltano anche troppo, anzi origliano, spiano, ci geolocalizzano e fanno in modo che le nostre nevrosi e paure diventino dati da utilizzare dal punto di vista economico. Il Papa ci invita a tornare all’esperienza di base della comunicazione, ricordando le parole di Platone ‘ogni farmaco ha una componente tossica e una curativa’. Il digitale ci ha avvicinato durante questi due anni di isolamento sociale, ma la componente tossica resta e bisogna tenere insieme questi due aspetti, enfatizzando quello curativo, facendo entrare il mondo dentro di noi”. E prima di passare la parola all’ospite cita Ian Mcewan “a differenza della vista, l’ascolto include”.
Andrea Vianello tre anni fa le parole le ha perse, a causa di un ictus causato dalla dissecazione della carotide e la sua esperienza l’ha raccontata nel libro “Ogni parola che sapevo” (ed. Mondadori), prima però ha commentato le parole del Papa che sono “molto vicine al lavoro che faccio e che ho sempre cercato di fare. Chi fa un lavoro di comunicazione deve saper ascoltare per riuscire a intercettare la voglia di partecipazione di ascoltatori, lettori, telespettatori. Orecchie e cuore li ho messi nel mio piano editoriale, tracciando la strada nella redazione, la radio è un grande contenitore delle parole, anche quelle degli ascoltatori: possono essere scambiate, li sentiamo, raccontiamo anche le cose che non vengono raccontate, fatti, spazi che non vengono illuminati. Il giornalista deve mettere luce in posti dove la luce non c’è, soprattutto noi del servizio pubblico, è il nostro mestiere raccontare anche dei posti nascosti dove ci sono gli umili, che devono avere una voce, che è una voce del nostro racconto. Il microfono diventa gli occhi degli ascoltatori, le cose vanno raccontate con il cuore altrimenti è asettico, le notizie hanno bisogno anche di emotività, lasciatela andare, mantenendo la professionalità. Quando iniziai mi dicevano di raccontare senza aggettivi, in maniera lineare, con frasi asciutte, io non sempre ubbidivo e ci mettevo quell’aggettivo che ti fa capire la scena, quello che sta succedendo, gli occhi di chi è davanti a me. La radio e il giornalismo sono mezzi caldi, la radio è la casa delle parole, dentro ogni notizia c’è la vita degli uomini, il fattore umano, dobbiamo entrare nelle case e negli angoli dimenticati, con quella pennellata in più”.
Dopo il malore che lo ha colpito tre anni fa Vianello è stato direttore di Rainews 24 per un anno e mezzo e due mesi fa è tornato a Radio 1, dove aveva iniziato come praticante vincendo un concorso nel 1990, raccontando le stragi di mafia del ’92 e dove ha conosciuto sua moglie Francesca. “Da dietro le quinte trasmetto a chi lavora con me la voglia di raccontare con il cuore. Senza il cuore la macchina umana non va avanti, si ferma, ma nella frenesia della vita che ci fa correre come il criceto nella ruota, ce ne dimentichiamo e la ruota per me, il 2 febbraio di tre anni fa, si è fermata”. E qui inizia il racconto che può essere quello di ognuno di noi. “La sera prima avevo mal di testa, ma quando sei in onda non ci fai caso. La mia è una storia di sanità pubblica che funziona. Certo ho avuto la fortuna di sentirmi male il sabato mattina, con panico ma lucidità, avevo perso la parte destra e non riuscivo a pronunciare parole comprensibili, mia moglie (anche lei giornalista ndr.) era a casa, non c’era il solito traffico, chi mi ha soccorso ha capito cosa mi era successo. All’Umberto I, centro di eccellenza, un giovane dottore avendo capito che non era solo un ictus, in cui è fondamentale intervenire il più rapidamente possibile, vedendo la mia età, il mestiere che facevo, tre figli ancora adolescenti, si è preso la responsabilità di intervenire, comunicando a mia moglie i rischi e mettendo due stent nella carotide”.
Senza intervento chirurgico, Vianello avrebbe perso la parola definitivamente, intervenendo c’era il 50% di successo e di riacquistare la parola, altrettanto di non farcela, la prima cosa che ha pensato al risveglio è stato “Intanto sono qui, ora vediamo cosa si può fare” e allora prima di tutto “viva la scienza e la ricerca, venti anni fa gli stent li mettevano solo al cuore. Oggi sono presidente di ALICe Italia, associazione per la lotta all’ictus e sarà mio compito aiutare chi è stato ‘fulminato’ come me. L’ictus è la terza causa di morte e la prima di invalidità, tante famiglie sono in grave difficoltà, servono centri di riabilitazione, come il centro di Santa Lucia, e logopedisti bravi, come la giovane dottoressa che mi ha aiutato a ritrovare le parole. Il nostro cervello è strano, ci sono parti che non utilizziamo e che se sollecitate ed esercitate costantemente, sopperiscono alle funzioni che la parte dedicata non è più in grado di svolgere, perché non ha avuto ossigeno e ormai è arida. Una volta a settimana continuo ad andare dalla logopedista, ogni mattina ripeto il nome dei miei figli, che non riuscivo più a pronunciare Maria Carolina, Goffredo (in onore di Parise ndr), Vittoria: la prossima volta – sorride – sceglierò nomi più semplici da pronunciare”.
“Oggi – conclude – sto bene con voi e parlo speditamente, stasera magari sarò stanco e i fonemi mi usciranno con più difficolta, ma non bisogna mai arrendersi e soprattutto non vergognarsi di quello che succede, perché non è colpa nostra. Mi vergognavo a farmi vedere dai miei figli, perché senza la parola mi sentivo menomato e invalido, poi ho capito che loro erano più preoccupati del non vedermi. Il mio sogno era di scrivere, ma non mi ritenevo all’altezza, quello che mi è successo mi ha spinto a farlo, anche se è stato difficile, non ho voluto usare il correttore automatico del pc, ho rivisto le mie priorità e sto scrivendo un altro libro. Come Ulisse sono andato oltre le colonne d’Ercole, dove c’erano solo i mostri sono tornato a casa, la mia Itaca delle parole, devo meritare questo privilegio”.
Una bella persona, capace di autoironia, empatia, tanta forza di volontà che nel suo libro vuole trasmettere a tutti.
Francesca Sammarco
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