RIETI – Del popolo dei Masai, non si parla nei telegiornali e men che mai nei talk show, ma almeno qualche parola va spesa per accendere i riflettori su una situazione analizzata nell’articolo di Bruna Sironi da Nairobi pubblicato su Nigrizia di febbraio: “Continuano gli abusi sui popoli nativi per estendere le riserve naturali a scopo turistico, anche grazie ai finanziamenti della Banca Mondiale”. Popolo nilotico nomade o seminomade, di allevatori transumanti, qualcuno stanziale, che vive sugli altopiani intorno al confine tra Kenya e Tanzania, i Masai meritano di restare a vivere nelle loro terre ancestrali. Il capitalismo continua a fare i suoi danni e come diceva Alberto Sordi nel film “Finché c’è guerra c’è speranza”: bisogna sempre depredare qualcuno. In Tanzania il governo si accanisce da tempo contro il popolo Masai, nell’area di Ngorongoro, con sfratti nell’intera riserva, abusi e violenze. Circa 100mila Masai dovranno lasciare le loro terre, 20mila entro la fine di marzo e nel parco Ruaha, un progetto di ampliamento delle aree protette prevede il trasferimento forzato di altre migliaia di persone.
L’Oakland Institute, centro studi americano che sostiene i Masai della Tanzania nella difesa dei propri diritti, ha lanciato un nuovo allarme sull’accanimento del governo contro di loro. Secondo l’istituto, il 2024 potrebbe essere un anno particolarmente difficile, iniziato già con diversi abusi contro le comunità nei parchi e nelle riserve naturali o nelle loro vicinanze, per sfrattarli dalla loro terra, destinata ad essere inclusa nelle aree protette. E’ successo già con i nativi d’America, confinati nelle riserve (da leggere con i fazzoletti pronti “Seppellite il mio cuore a Wounded Knee” di Dee Brown). A gennaio, i ranger della Tanzania National Park Authority (TANAPA) hanno preso d’assalto un villaggio Masai nelle vicinanze del parco nazionale Tarangire, nel nord del paese, sparando sugli abitanti, arrestandone otto, sequestrando 800 capi di bestiame. Già nel 2023 si erano verificati sequestri di 3 mila capi, venduti all’asta, con un grave impatto economico per i Masai.
A gennaio il governo tanzaniano ha annunciato di avere cambiato lo status legale dell’area protetta del cratere del Ngorongoro (Ngorongoro Conservation Area), impedendo insediamenti e attività umane, come il pascolo del bestiame, fino ad ora possibili in alcune fasce del territorio. La decisione fa seguito ad altre simili adottate negli anni scorsi, che hanno destato la riprovazione non solo dei difensori dei diritti dei popoli indigeni, ma anche di numerosi esperti dell’ONU, mentre l’Unione Europea le ha condannate con una chiara risoluzione. Una risoluzione e la coscienza è sistemata. L’Oakland Institute, con una ricerca sul campo, Flawed Plans for Relocation of the Masai from the Ngorongoro Conservation Area (Piani non adeguati per il trasferimento dei Masai dall’area protetta del Ngorongoro), pubblicata nel maggio del 2022, ha anche dimostrato che le aree messe a disposizione per le comunità trasferite forzatamente non erano adeguate: terreno di pascolo insufficiente, acqua scarsa, vaghe e inconsistenti promesse di migliorare i servizi, gravemente insufficienti. Le comunità già residenti nelle zone individuate non sarebbero state consultate e non avrebbero dato il loro assenso all’insediamento dei nuovi residenti, circostanza che potrebbe portare a conflitti intercomunitari senza fine.
I ranger della TANAPA hanno intensificato le azioni intimidatorie anche nelle aree adiacenti al parco nazionale di Ruaha (Ruaha National Park – RUNAPA) nella zona centrale del paese, uno dei quattro parchi per lo sviluppo dei quali la Banca Mondiale ha finanziato, il progetto “Gestione resiliente delle risorse naturali per il turismo e la crescita” con 150 milioni di dollari. L’intervento prevede di svilupparli migliorandone la gestione, costruendo infrastrutture necessarie all’aumento dei flussi turistici e gli abitanti dell’area dovrebbero cambiare la loro cultura, con la formazione per lavori alternativi a quelli agropastorali tradizionali. Al RUNAPA il progetto finanzia anche l’estensione della zona protetta, che passerà da 1 a 2 milioni di ettari. Il progetto, approvato dalla Banca Mondiale nel dicembre del 2017, dovrebbe terminare entro la fine di febbraio del 2025. Cancellata la registrazione delle terre nei villaggi Luhanga, Madundasi, Msanga, Iyala, Kilambo, che si trovano nell’area interessata all’estensione del parco e che coinvolgono 21 mila persone.
L’Oakland Institute ha pubblicato le violazioni dei diritti umani, di cui la Banca Mondiale non è responsabile, ma complice. L’aumento del Pil del paese grazie alle entrate previste per lo sviluppo del turismo non può avvenire a scapito delle popolazioni più emarginate che un “buon governo” dovrebbe sostenere con politiche adeguate e rispettose. È probabile che, almeno per quanto riguarda il progetto finanziato dalla Banca Mondiale, il governo tanzaniano debba rispondere delle politiche “atroci” nei confronti delle popolazioni native e delle comunità rurali risiedenti nelle aree univocamente destinate ad essere protette (omicidi, sparizioni, violenze sessuali, aggressioni e sequestri di bestiame). Sarebbe necessaria una pressione internazionale per fermare tutti gli abusi e le violazioni dei diritti delle popolazioni native e delle comunità rurali stanziate nelle aree destinate a diventare parchi nazionali. La comunità di Avaaz sta raccogliendo fondi a sostegno dei Masai e petizioni a loro favore. “Stay human”, come diceva Vittorio Arrigoni, attivista ucciso per aver abbracciato la causa palestinese.
Francesca Sammarco
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