NAPOLI – Non è facile riconoscere le vere opere d’arte. Certo, basterebbe la bellezza di quello che portano, che trasmettono. Ma come si fa ad individuarle in maniera oggettiva e quindi cioè come fare a valutarle? Come si fa a dare un valore immenso (450 milioni per il “Salvator Mundi” di Leonardo da Vinci) o riconoscere le teste del Modigliani dalle copie prodotte da ragazzi? Insomma non è facile.
Ma cosa rende un’opera, opera d’arte? Cosa deve mostrare per essere definita tale? Su questo tema spesso si dibatte a tutti i livelli, da quello scolastico a quello professionale, critico e anche speculativo. Immersi in una produzione fin troppo esagerata di opere d’arte, e noi italiani ne sappiamo qualcosa avendo più dell’80% della produzione artistica mondiale, spesso ci riesce difficile elaborare giudizi, confronti, paragoni tra artisti di tante epoche passate e presenti.
Romano Guardini nel 1947 affermava: “Io non rendo giustizia all’opera d’arte se la ‘gusto’, ma se rivivo l’incontro dell’artista creatore con l’oggetto”. È una constatazione molto vera: per capire la bellezza di un’opera non basta l’attimo di meraviglia che ci pervade davanti ad un capolavoro. Bisogna tentare un processo di immedesimazione con l’artista che l’ha realizzato. È nel momento dell’incontro con l’oggetto, come scrive Guardini, che accade qualcosa di inatteso. È quell’attimo, che possiamo inseguire con l’immaginazione, in cui “lo sguardo palpita”. L’arte è certamente terreno privilegiato per l’esperienza della meraviglia, ma il primo a sperimentarla è l’artista stesso. È il suo sguardo che va cercato (Frangi).
L’arte di oggi ha infatti un tasso di problematicità e di negatività così alto da rendere a prima vista arduo rintracciare segni di meraviglia e di sublime. Ma come suggerisce Guardini, per capire la verità di un’opera si deve andare oltre l’impressione dettata dal nostro gusto. Questo è ciò che disperatamente si tenta di spiegare in classe con ragazzi, sì entusiasti, ma che poca disponibilità hanno nel tentare di entrare nella vita dell’altro. Sarebbe anche abbastanza semplice, del resto, rintracciare nei percorsi di tanti artisti di oggi una tensione verso obiettivi che ci riempiono di stupore, per l’arditezza e anche per la capacità di coinvolgimento. Come spiegare un’opera di Van Gogh senza conoscerne le trame ardite della sua vita? Come spiegare che dietro un semplice ritratto di scarpe logore c’è una vita straziata e desolata vissuta in un continuo tormento? “Tutta la vita di Vincent è stata il tentativo di cambiare un destino già scritto nel proprio nome: strappo, solitudine, erranza, follia. Come fare per fare esistere questo uomo nato morto?” (M. Recalcati) (Vincent Van Gogh nacque nello stesso giorno, qualche anno dopo, della morte del fratellino che portava il suo nome. O meglio gli fu dato il nome del fratello che non c’era più e che lui, inesorabilmente, doveva sostituire nella mente dei genitori).
Come si fa a spiegare questo, come si riesce a percepire il valore di un quadro di Van Gogh se non si parte dalla stramaledetta e malinconica vita dell’artista? Come si fa a comprendere l’opera immensamente nostalgica di Vasilij Kandinskij se non si parte dalla fuga dalla Russia e dall’amore infinito per la musica? Il passato, come succede anche a noi del resto, porta in nuce ciò che sarà la produzione, l’espressione, il tocco, la pennellata o il tocco di scalpello di ogni artista. Ecco il valore: “Per capire la verità di un’opera si deve andare oltre l’impressione dettata dal nostro gusto”, ancora Guardini.
“Privi di meraviglia restiamo sordi al sublime” recitava il titolo del Meeting di Rimini di agosto; la Meraviglia, questo è l’unico termine che porta ad una conoscenza certa non solo dell’opera d’arte ma di tutta la nostra vita. Ed è la chiave di volta per fare, creare, ammirare un’opera d’arte. “Una cosa la vedi solo se la ammiri, la ami solo se la conosci nel profondo”: conoscere un’opera d’arte, riconoscerla tale ha, quindi, la sua premessa nell’impatto iniziale con l’opera ma necessita che lo spettatore ci si immerga, si confronti, si immedesimi in tutta la sua completezza che nasce inesorabilmente dal cuore e dall’idea dell’autore. Solo così, e questo vale per ogni cosa, è possibile amare e conoscere non solo un’opera ma tutto il nostro esistere.
Innocenzo Calzone
Nell’immagine di copertina, il “Salvator Mundi” di Leonardo
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