FOLIGNO (Perugia) – Il giorno dell’anniversario della tragica morte, il 13 giugno 1849, di Colomba Antonietti in Porzi (nata nel 1827, a Bastia Umbra, ma cresciuta fin dal secondo mese di età a Foligno), non solo i bastioli ed i folignati, ma pure i romani celebrano, con tanto di cerimonia pubblica, il ricordo della coraggiosa eroina risorgimentale. Una associazione della capitale, di cui é anima e madrina la giornalista e scrittrice Cinzia Dal Maso depone, davanti al busto della combattente per la libertà, sul Gianicolo, un mazzo di rose bianche. Colomba Caterina Antonietti aveva in quel sanguinoso giugno – in cui contro i francesi, scesi in Italia a difesa degli interessi del Papato, più numerosi e meglio armati, perdettero la vita numerosi eroi del Risorgimento Italiano – appena 22 anni. Tuttavia Colomba – figlia di un panettiere (Michele) e di una casalinga (Diana Trabalza), il cui forno era sito dove ora, in Foligno, sorge l’Hotel Italia – quando era ancora minorenne coltivava già idee libertarie dal dominio dello Stato Pontificio.
Come proprio la Dal Maso nel suo libro (“Colomba Antonietti – la vera storia di un’eroina”, per i tipi di Edilazio) ha documentato, la volitiva e bella folignate partecipò alla lotta armata nei giorni della Repubblica Romana non soltanto per amore del suo sposo, il tenente e aristocratico conte Luizi Porzi di Ancona (la cui casata proveniva da Imola), ma per convinta partecipazione all’amore di patria, visto che prima ancora di incontrare e conoscere il suo futuro fidanzato e marito, era già animata dagli ideali risorgimentali. In battaglia, per sembrare un uomo, scendeva indossando una divisa dismessa dal coniuge, ma che era stata tuttavia personalizzata e sulla quale comparivano anche i bottoni con le cifre del suo nome. Il bel testo della Dal Maso, basato su molte fonti, è particolarmente avvincente e regala un’ottica completa sulla storia di Colomba e del suo amato, che sopravvissuto alla sanguinosa e disperata battaglia contro il generale Nicolas Charles Victor Oudinot e i suoi soldati (inviati a sostegno del Papa Re da Luigi Napoleone, allora presidente della Repubblica Francese e poi imperatore col nome di Napoleone III) non si risposerà più, segnato da quel tragico eppure totalizzante amore ed emigrerà in sud America, dove ormai molto vecchio morirà senza rimettere più piede in Italia.
I due si erano incontrati e conosciuti, con timidi e furtivi sguardi, a Foligno quando lei era appena quindicenne: risiedevano in case vicine, divise da un cortiletto e parlandosi o facendosi segni dalle finestre delle rispettive abitazioni. Il loro fidanzamento, contrastato per ragioni diverse da entrambe le famiglie, creò scandalo. Tanto che il cadetto dell’esercito pontificio venne trasferito, d’ufficio, a Senigallia. Ma i due si erano reciprocamente promessi eterno amore e si sposarono in barba a tutti e addirittura all’una di notte, il 13 dicembre 1846, nella chiesa di Santa Maria della Misericordia a Foligno. Praticamente da soli: l’unico congiunto presente agli sponsali fu il fratello di lei, Feliciano. La coppia, per la luna di miele, si spostò a Bologna, dove risiedeva la madre dello sposo, che li ospitò. Rimasero nella città emiliana un paio di mesi e poi si trasferirono a Roma. Intanto il cadetto era stato promosso al grado di tenente. Essendosi, tuttavia, sposato senza la necessaria autorizzazione delle autorità militari pontificie, l’ufficiale venne arrestato, processato e rinchiuso in Castel Sant’Angelo. E con stipendio dimezzato.
Ogni giorno Colomba andava a visitarlo e a confortarlo. Nel 1848 i due aderirono, all’unisono, alla Repubblica Romana. E Colomba, tagliatasi i capelli, indossò una divisa militare, combattendo in prima fila e a fianco dell’amato, a Velletri (il 18-19 maggio 1949) e a Palestrina, con un ardimento tale da ricevere i complimenti del comandante in capo, Giuseppe Garibaldi. E pure lo stesso “eroe dei due mondi”, tra gli altri testimoni della tragedia, descrisse la dolorosa morte della giovane umbra. Avvenuta sulle mura sbrecciate di San Pancrazio, che i repubblicani ed i romani stavano cercando di rabberciare alla meno peggio, con pietre e sacchi di terra, sotto i colpi continui dei cannoni papalini e tentando di difenderle, da un eventuale assalto all’arma bianca, scavando un profondo fossato. La tragedia si consumò di pomeriggio, alle 18. Scrive Garibaldi: “La palla di cannone (una calibro 36, che i difensori chiamavano, irridenti, “Pio IX”, dal nome del pontefice, nda) era andata a sbattere contro il muro e ricacciata indietro aveva spezzato le reni ad un giovane soldato. Il giovane soldato, posto in barella, aveva incrociato le mani, alzato gli occhi al cielo e reso l’ultimo respiro. Stavano per recarlo all’ambulanza, quando un ufficiale, si era gettato sul cadavere e l’aveva coperto di baci. Quell’ufficiale era Porzi. Il giovane soldato era Colomba Antonietti, sua moglie, che lo aveva seguito a Velletri e aveva combattuto al suo fianco”.
Altre fonti sottolineano come le ultime parole della giovane fossero state “Viva l’Italia”, mentre il marito, nelle sue memorie, rammenta che la palla di cannone aveva colpito Colomba al fianco destro fratturandole il bacino ed il femore. “Spirò tra le mie braccia”, precisò nello scritto. Al solenne funerale partecipò una grande folla, tra cui la principessa Cristina Trivulzio di Belgioioso, patriota e finanziatrice dei moti risorgimentali, Anita Garibaldi, tante altre donne, mogli e compagne dei combattenti o crocerossine e l’allora colonnello Luigi Masi, cugino di Colomba (liberatore una dozzina di anni più tardi, alla testa dell’esercito savoiardo, di Perugia; l’ufficiale garibaldino era originario di Petrignano di Assisi). Venne suonato un inno funebre (“Chi per la patria muor vissuto è assai…”) e la bara sfilò coperta di rose rosse e bianche e di una sciarpa tricolore. Colomba venne sepolta nella chiesa di San Carlo ai Catinari, ma dal 1941 i suoi resti sono stati trasferiti nell’Ossario Garibaldino sul Gianicolo.
La giornalista romana, nel suo libro, allarga il discorso pure alle altre donne che parteciparono, in armi o comunque impegnate in attività logistiche, alla difesa della Repubblica Romana, fornendo quindi una visione piena, esauriente, a tutto tondo, del ruolo, davvero importante e in molti casi di primo piano, svolto dal mondo femminile nel cammino per la costruzione dell’Italia. Il conte Porzi emigrò in America Latina spostandosi tra il Brasile, l’Uruguay e l’Argentina e si spense nel 1900 a Canas di Montevideo. Visse nel culto dell’amata e non ebbe altre donne.
Elio Clero Bertoldi
Lascia un commento