Il divario tra Nord e Sud non si colma, anzi col passar del tempo tende ad ampliarsi ancora di più. La cosiddetta “Questione meridionale” (che da più di 150 anni tiene banco fra intellettuali, economisti e politicanti di vario genere) non si è affatto attenuata: resta lì, irrisolta, a indicare che nell’Italia, bella e maledetta, del ventunesimo secolo ci sono ancora cittadini di serie A e altri che “giocano” in categorie decisamente inferiori. “Che esista una questione meridionale, nel significato economico e politico della parola, nessuno più mette in dubbio. C’è fra il nord e il sud della penisola una grande sproporzione nel campo delle attività umane, nella intensità della vita collettiva, nella misura e nel genere della produzione, e, quindi, per gl’intimi legami che corrono tra il benessere e l’anima di un popolo, anche una profonda diversità fra le consuetudini, le tradizioni, il mondo intellettuale e morale”: lo scriveva Giustino Fortunato, storico lucano (era nato a Rionero in Vulture), morto a Napoli nel 1932, quindi quasi un secolo fa. Era uno studioso appassionato, competente e serio, ma dal carattere schivo e caratterizzato da un profondo pessimismo, che lo rendeva sconfortato verso le istituzioni, ricevendo da parte dei suoi detrattori il nomignolo di “apostolo del nulla”.
Ma ebbe il merito di affondare senza pietà il dito nella piaga delle profonde iniquità che furono consumate ai danni del Sud sin dall’unità d’Italia, quando i conquistatori piemontesi depredarono tutto quanto di buono era stato realizzato dai Borboni (dinastia ingiustamente vituperata), lasciando soltanto povertà e disoccupazione alle popolazioni locali. Tanto che il fenomeno del banditismo ebbe radici nel riscatto e nella ribellione al nuovo ordine costituito che, di fatto, sostituiva il precedente, ma con l’aggravante di aver distrutto o portato via il meglio dell’esistente. Insomma, le motivazioni erano economiche e sociali. Senza andare ad impelagarsi in lunghe e persino stucchevoli analisi sociologiche, basta fare riferimento a dati piuttosto recenti perché il ritardo (accumulato sin dalla seconda metà del 1800) non si sarebbe mai potuto annullare dal momento che lo Stato ha investito in media per abitante molto più al centro-nord che al sud, rendendo non solo incolmabile il divario, ma anzi, accentuandolo. Secondo il Rapporto Italia 2020 dell’Eurispes, se della spesa pubblica totale, si considerasse la fetta che ogni anno il Sud avrebbe dovuto ricevere in percentuale alla sua popolazione, emerge che, complessivamente, dal 2000 al 2017, la somma corrispondente sottratta ammonta a più di 840 miliardi di euro netti (in media, circa 46 miliardi di euro l’anno). A proposito, la locuzione “Questione meridionale” fu utilizzata la prima volta nel 1873 dal deputato radicale lombardo Antonio Billia.
L’ultimo esempio (se ce ne fosse ancora bisogno) arriva dall’edizione 2024 degli Indici generazionali del Sole 24 Ore per valutare la Qualità della vita di bambini, giovani e anziani: le classifiche misurano le “risposte” dei territori alle esigenze specifiche dei tre target generazionali più fragili e insieme strategici, i servizi a loro rivolti e le loro condizioni di vita e di salute. A trionfare sono Sondrio per i bambini, Gorizia per i giovani e Trento per gli anziani, ma a preoccupare sono le ultime caselle, appannaggio pressoché esclusivo di capoluoghi del Sud.
L’indice della Qualità della vita dei bambini premia Sondrio che, rispetto all’edizione 2022, è protagonista di un balzo significativo verso l’alto complici posizionamenti alti negli indicatori che fotografano la competenza numerica e alfabetica non adeguata e nell’indice Sport. Sul podio anche Ravenna e Trieste, tallonate da Gorizia e Udine. All’ultimo posto Crotone, preceduta da 4 città siciliane: Palermo, Catania, Ragusa e Agrigento. A garantire maggiore benessere ai giovani, invece, è proprio Gorizia seguita da Ravenna, già vincitrice nel 2023 e quest’anno doppia medaglia d’argento, e Forlì-Cesena. La top 10 di questo indice continua a essere presidiata dalle province emiliano romagnole – a quelle citate si aggiungono Ferrara e Piacenza – che, proprio come nelle precedenti edizioni, confermano performance generalmente positive. Le ultime sono Sud Sardegna, Taranto, Brindisi, Reggio Calabria e Foggia. Trento mantiene salda la leadership per qualità della vita degli anziani. Che vede una forte presenza delle province del Nord in testa alla classifica, con la prevalenza indiscussa di tre regioni: Trentino Alto Adige, Lombardia e Veneto. Tra le prime 10 classificate, infatti, ci sono tre province lombarde (Como al 2° posto, Cremona al 3° e Lodi) e quattro venete (Treviso, Vicenza, Padova e Verona) e, oltre a Trento, Bolzano. Ultime Lucca, Messina, Reggio Calabria, Vibo Valentia e Grosseto.
Inutile sottolineare quanto possano essere strategiche per il futuro dei giovanissimi e dei giovani e quanto sia da considerare fragile quella degli anziani, le persone cioè che, bene o male, pur tra errori, limiti e contraddizioni hanno tenuto in piedi l’Italia negli ultimi decenni: sono i cosiddetti “boomers” (i figli del boom degli anni Cinquanta e Sessanta). Costoro, oggi ormai pensionati, guardano con preoccupazione alla tenuta del sistema pensionistico, alla debolezza congenita e crescente della sanità pubblica, alla erosione costante del potere d’acquisto tanto più che, spesso, gli assegni di vecchiaia servono anche da “bancomat sociale” per i figli e nipoti che non trovano lavoro o che vivono in un perenne precariato, malpagato e debilitante.
Tanto per dire, nel decennio 2022-2032, si prevede che la popolazione dei bambini (0-14 anni) scenderà del 16,2%, quella dei giovani (15-39 anni) del 2,2%, mentre gli anziani (over 65) sarà del 16% in più. Con la conseguenza, per esempio, che cala il numero dei pediatri: i professionisti attivi sono scesi da 17.257 nel 2023 a 16.806 nel 2024, toccando una quota inferiore anche a quella del 2022. E i giovani? Nonostante un miglioramento delle condizioni, questa generazione sembra rimanere bloccata e con scarsa iniziativa: da un lato cala la disoccupazione giovanile (-6,9 nel 2023) e diminuiscono anche i canoni d’affitto in rapporto al reddito (-12,2% nel 2024), dall’altro gli under 35 si sposano sempre meno (-3,1% nel 2023) e le imprese con titolari sotto i 35 anni nel 2024 sono diminuite del 3,2% rispetto all’anno scorso. Calano anche del 2.9% gli esercizi commerciali legati al divertimento e continua a salire l’età media al parto: 32,5 anni nel 2023. Infine, gli anziani: aumenta il consumo dei farmaci anti depressivi (+2,8%), in salita i geriatri (+1,5%); diminuiscono gli infermieri, calati di circa 10mila unità in un anno (-2,3% oggi rispetto al 2023).
Un quadro complessivamente piuttosto preoccupante: pochissime nascite (se non ci fossero gli immigrati, la situazione sarebbe più che drammatica), poche prospettive per i ragazzi ai quali non bastano titoli di studio elevati per potersi garantire occupazioni stabili ed equamente retribuite, moltissimi vecchi con tutte le problematiche legate alla terza e alla quarta età che l’attuale sistema fa fatica a gestire offrendo risposte corrette e in tempi accettabili. Molto probabilmente aveva ragione Giustino Fortunato ad essere così pessimista…
Buona domenica.
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