ROMA – Ci ha messo in guardia dalle bufale – fake news – ovvero da quella distorsione che si fa della realtà per modellarne la percezione tra le persone. Ha scritto molte opere sul tema della manipolazione di massa. Ha parlato delle fake come di post-verità: strumenti con cui si creano notizie non vere ma che finiscono per interpretare esattamente le convinzioni di una maggioranza. E’ lui quello che ha raccontato la storia della rana che, se messa in una pentola progressivamente sempre più calda, rimane immersa fino a farsi bollire perché si abitua pian piano al cambiamento. Insomma, Avram Noam Chomsky, ancora arzillo con i suoi 92 anni, linguista, filosofo, scienziato cognitivista, teorico della comunicazione, attivista politico statunitense, ha descritto bene i meccanismi della propaganda e della manipolazione e proprio per questa sua autorevolezza acquisita sul campo, probabilmente, in questi giorni un documento a lui attribuito sta circolando sui social.
In dieci voci, la cosiddetta lista di Chomsky, si descrivono le fasi attraverso le quali un individuo viene indotto ad obbedire a regole restrittive dettate da un’esigenza straordinaria, viene confuso nell’interpretare realtà e finzione attraverso la distrazione dai problemi veri e la strategia della gradualità che prima o poi rende accettabile anche il provvedimento più punitivo. Insomma, nel cosiddetto decalogo di Chomsky, divenuto virale sui social negli ultimi giorni, sono annotate molte situazioni che calzano perfettamente alle condizioni di vita cui siamo stati costretti negli ultimi mesi per preservarci e impedire il contagio da Covid 19. Un esempio: la paura diffusasi quando le continue proroghe del Governo sono sembrate incarnare l’incubo di una non meglio identificata volontà di piegarci ad un tipo di vita limitante e restrittivo, si è consolidata alla lettura del punto 4 del decalogo, intitolato “la strategia del differire”. Essa è descritta come “un modo per far accettare una decisione impopolare presentandola come dolorosa e necessaria”. Nel decalogo si spiega che questa strategia viene adottata per guadagnare il consenso ed eliminare qualsiasi germe di ribellione. C’è chi nel leggere questo punto, soprattutto chi aveva appeso striscioni colorati con l’arcobaleno ai balconi immaginando un futuro roseo dopo tanti sacrifici, si è messo subito sul chi va là ed ha pensato di starci dentro con tutte le scarpe, in una distopia orweliana.
A quelli si sono davvero drizzati i capelli essendosi riconosciuti nell’atteggiamento descritto di seguito: “perché la gente, la massa, ha sempre la tendenza a sperare ingenuamente che tutto andrà meglio domani” . Come si leggeva sugli striscioni? Ah, ecco: “Andrà tutto bene”. Appunto. La lista di Chomsky, su cui si leggono – guarda caso – molte coincidenze di questo tipo, ha cominciato a circolare sui social, con corredo di commenti e interpretazioni tutte dello stesso tenore, tutte riferibili al terrore che in quel decalogo fosse contenuta la spiegazione di ciò che, con la pandemia, i governi mondiali vorrebbero ottenere dalla popolazione: il totale asservimento, il divieto di comunicare e organizzarsi. In una parola: una dittatura. Tutto plausibile perché, in effetti, le dieci voci del decalogo che descrivono le modalità attraverso cui un governo può manipolare una popolazione somigliano tantissimo alle disposizioni adottate per contenere l’emergenza sanitaria che ha colpito tutto il globo.
Però c’è un… però. Innanzitutto bisogna dire che secondo uno studio dell’Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni, “nel periodo che va dal 21 febbraio al 22 marzo 2020, le fake sul Covid 19 sono aumentate raggiungendo una media giornaliera del 38 per cento sul totale delle notizie diffuse su web, account, social e pagine”. E poi il decalogo di Chomsky, che circola da anni su internet, e viene tirato in ballo ogni volta che può servire a seminare confusione, in realtà non è di Chomsky. Almeno a giudicare da quanto affermato da Lucia Rocco che, stanca di sentire citata questa lista con troppa leggerezza, è andata a verificarne l’autenticità. Sul suo blog, in un articolo del gennaio 2015, la Rocco riporta l’intervista di Naief Yehya, un giornalista della testata messicana “RevistaReplicante” e scrive: “Il brillante giornalista è andato direttamente alla fonte, scrivendo una email all’esimio professore che senza indugio gli ha risposto”. La risposta di Chomsky non avrebbe lasciato dubbi: “È un falso – ha scritto lo scienziato -. Non ne conosco l’origine. Alcune parti sono copiate, o sono simili, a cose che ho detto. Ma non è mio. Noam Chomsky”. Insomma, anche se quel decalogo riporta contenuti riferibili alle teorie del professore, ne sembrerebbe piuttosto una sintesi. Si, insomma, un falso, un tarocco, una fake. Può succedere, che ci si caschi.
Può succedere perché i requisiti di una vera bufala è che essa abbia degli elementi di attendibilità come possono esserlo i pareri di autorevoli esperti ma soprattutto che essa rappresenti una convinzione già diffusa e in attesa solo di essere confermata. Non dimentichiamo quale fu la prima bufala della storia o, almeno, la più riuscita: quella organizzata da un giovanissimo Orson Wells che, nel 1938, riuscì a creare un panico di massa attraverso una trasmissione radiofonica (uno spettacolo, in realtà, dal titolo “La guerra dei due mondi”), che mandò in diretta la cronaca di un atterraggio di marziani sulla terra. Mentre si raccontavano i fatti e venivano intervistati scienziati ed esperti, si citavano i numeri della follia che si stava consumando per le strade d’America, nonostante gli speaker radiofonici avessero avvertito, ad un certo punto, che si trattava solo di una messa in scena. Ma la folla è affascinata da ciò che la spaventa ed a quel punto il meccanismo era partito: non si poteva interrompere perché il pubblico voleva che quello che si raccontava per radio fosse vero. Avvisare, dunque, che quel che veniva descritto era solo uno spettacolo non bastò a frenare la follia collettiva: essa continuò a imperversare nelle città mentre i dati di un vero disastro continuavano ad essere trasmessi dalla radio.
Ma è la lezione finale che ci deve insegnare qualcosa: i giornali, nei giorni successivi, raccontarono che in realtà in America non successe niente e quando la trasmissione fu mandata in onda la maggior parte degli americani non stava ascoltando la radio. Secondo la stampa, insomma, ci sarebbe stato uno spettacolo nello spettacolo. Dove sia stata la verità, a questo punto, nessuno può dirlo ma ciò che rimane è che la messa in scena funzionò molto bene e che la bufala fu talmente ben organizzata che riuscì a disorientare opinione pubblica e media (che allora erano solo stampa e radio). Insomma, si può dire che la prima bufala generò la seconda. Oggi il gioco può essere molto più pericoloso perché i mezzi di informazione sono più numerosi e più potenti. Chomsky ce lo ha insegnato nelle sue conferenze e nei suoi saggi e ciò non gli è bastato a diventare egli stesso una bufala. Ricordiamocelo quando, con leggerezza, giriamo un post.
Gloria Zarletti
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