Stiamo vivendo un’estate molto strana. Contraddittoria, per certi versi. Da un lato, è evidente che la situazione legata alla pandemia è notevolmente migliorata rispetto ai mesi dell’isolamento: per fortuna, i camion dell’Esercito che portano via decine di bare sono un tristissimo ricordo. Ma insieme al sollievo per aver superato la fase più acuta convivono sensazioni che inducono a vivere ancora con prudenza. Diversi focolai esplodono qua e là; i medici assicurano che la situazione è sotto controllo e che gli strumenti per combattere il perfido draghetto colorato si sono notevolmente affinati, per cui anche l’eventuale contagio andrebbe affrontato con possibilità di successo molto ampie, sicuramente superiori a quelle dei mesi scorsi. Insomma, dal punto di vista sanitario le cose sono decisamente migliorate.
Eppure tutto questo non basta per indurci a condurre una vita normale, come quella di un anno e di un’estate fa. Perché? Per una serie di ragioni che sono di natura psicologica, ma anche pratica. E’ vero che i rischi si sono attenuati, ma è vero anche che la presenza di focolai non rassicura del tutto e quindi frena. Si percepisce in modo palpabile la voglia di tornare a stare insieme, di divertirsi, di concerti e spettacoli all’aperto. Qualcosa si sta muovendo, ma le misure di distanziamento ancora vigenti impediscono una totale ripresa. E pure la più che probabile proroga dello stato di emergenza (c’è chi dice addirittura fino al 31 dicembre) non è che produca un effetto particolarmente rassicurante. A tutto ciò si aggiunge il periodico annuncio che con l’abbassarsi delle temperature e con la riapertura delle scuole (che coinvolge milioni di giovani e non solo) c’è da mettere in conto il riacutizzarsi dell’epidemia. E dall’estero (Brasile, Usa, India tanto per citare i casi più eclatanti) i bollettini quotidiani segnalano che il coronavirus è tutt’altro che sparito.
Si torna ad andare in vacanza, privilegiando nella maggior parte dei casi le mete italiane (e ci mancherebbe altro…) ma per periodi molto brevi: 4-5 giorni al massimo. E’ un segnale incoraggiante, tanto più che soltanto un mese fa le prospettive erano differenti e improntate al pessimismo. Manca il turismo estero, soprattutto nelle città d’arte, ma non è che con i frequenti annunci di “ricadute” si favorisca il ritorno degli stranieri o si migliori il clima di fiducia. Sulle spiagge vige il distanziamento, ma sovente non viene rispettato come dimostrano le eloquenti immagini provenienti da ogni angolo delle coste italiche. E allora meglio la montagna dove stare ad almeno un metro è più semplice.
Come si può notare, le contraddizioni sono tante e le ricette per venirne fuori abbastanza confuse e spesso in contrasto tra loro. Bisognerebbe unirsi dimenticando contrasti e tensioni e remare tutti dalla stessa parte: non è solo un modo di dire, ma una necessità impellente. Anche se sembra al momento soltanto un’utopia.
Buona domenica.
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