//Che cosa ci lasciano due anni di Covid?

Che cosa ci lasciano due anni di Covid?

di | 2022-03-13T06:55:15+01:00 13-3-2022 6:58|Punto e Virgola|0 Commenti

“Non ci sarà più una zona rossa, non ci saranno più zona uno e zona due, ma un’Italia zona protetta. Saranno da evitare gli spostamenti salvo tre ragioni: comprovate questioni di lavoro, casi di necessità e motivi di salute”. Era esattamente il 9 marzo 2020 (poco più di due anni fa) quando l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte, a reti praticamente unificate e con la stragrande maggioranza degli italiani riuniti a cena, annunciava che l’unica maniera per fermare l’avanzata del maledetto draghetto coronato era la chiusura generalizzata delle maggior parte delle attività. Cominciava quello che, con un termine diventato poi di uso comune, si chiamava lockdown, cioè confinamento. In parole molto povere, tutti a casa anche per lavorare, lezioni a distanza per gli alunni (la famigerata “dad”), smart working per i lavoratori. E poi, uso costante e severo dei dispositivi di protezione personale, distanziamento; niente palestre, piscine, discoteche, musei, stadi, ristoranti…

Dunque, il Covid ha compiuto il “compleanno”. Che cosa è rimasto dopo due anni e che cosa lascia in ciascuno di noi? Innanzitutto, un’autentica strage: 156.649 vittime dall’inizio della pandemia. Lutti pesanti, difficili da sopportare e talvolta anche da giustificare. Non c’è famiglia che non abbia dovuto fare i conti con questo tipo di malattia. E poi un tessuto economico e sociale lacerato: strappi per i quali ci vorranno anni prima di poter procedere ad una definitiva ricucitura. Molti hanno perso il lavoro, con scarse possibilità di ritrovarne un altro; altri si sono dovuti reinventare un’attività completamente diversa con alterne fortune; tanti esercizi commerciali hanno abbassato le serrande e assai difficilmente potranno un giorno rialzarle.

Le cifre nude e crude sono impressionanti: dall’inizio dell’emergenza sono 13.268.459 i contagiati, mentre i guariti sono 12.135.331 e le persone attualmente positive 976.479. Da segnalare ancora che, dopo circa un mese di cali generalizzati (numero di nuovi casi, ricoveri in terapia intensiva e ricoveri ordinari), la curva tende nuovamente a risalire, portando un ulteriore carico di preoccupazioni che si aggiungono a quelle generate dalla guerra in Ucraina. I cui effetti (e sono soltanto i primi) cominciano già a manifestarsi: prezzi dei carburanti alle stelle, mancanza di materie prime, approvvigionamenti energetici a rischio, autotrasportatori pronti alla serrata e quindi difficoltà a far arrivare le merci nei punti vendita. Una situazione sempre più complicata e preoccupante.

Vale la pena tornare indietro con la memoria: il 23 febbraio di due anni fa, il primo Dpcm arriva dopo la scoperta di Mattia, il paziente 1 (che poi non era il primo, ma si è scoperto molto più tardi) di Codogno. Si corre ai ripari con la quarantena di oltre 50 000 persone in 11 comuni diversi del Nord Italia. Sono zona rossa dieci comuni del Lodigiano e Vo’ Euganeo nel Padovano. L’epidemia avanza senza sosta, gli ospedali lombardi sono già vicini al collasso e i decessi aumentano in modo esponenziale. Emilia Romagna, Lombardia e Veneto e le province di Pesaro e Urbino e di Savona diventano zone rosse, con lo stop di scuola e università, divieto di pubblico negli eventi sportivi, le prime raccomandazioni per favorire il lavoro da remoto.

Mentre in Lombardia e nel Piacentino c’è un nuovo giro di vite, con la sospensione delle attività di palestre, centri sportivi, piscine, centri benessere, stabilimenti termali. Nella notte tra il 7 e l’8 marzo, arriva il Dpcm che prelude il lockdown: in Lombardia si chiude tutto e lo stesso in 14 province del Centro-Nord, quelle più flagellate dal virus (Modena, Parma, Piacenza, Reggio Emilia, Rimini, Pesaro e Urbino, Alessandria, Asti, Novara, Verbano-Cusio-Ossola, Vercelli, Padova, Treviso, Venezia). La paura di restare bloccati porta all’esodo improvvisato dal Nord al Sud.

Il Dpcm del 9 marzo dispone restrizioni per l’intero Paese, che diventa un’unica zona rossa. L’11 marzo è il giorno del lockdown, annunciato da un discorso di Conte in tv: non si può uscire se non con una “autocertificazione”, per motivi di lavoro, di salute o per fare la spesa. All’improvviso tutti gli italiani si ritrovano per la prima volta dopo la Seconda Guerra Mondiale, alle prese con il coprifuoco. Poi, vengono chiuse le scuole (e parte la didattica a distanza), viene impedito di sposarsi, vengono chiusi bar, ristoranti negozi, palestre, piscine, cinema, teatri, musei, discoteche e stazioni sciistiche. Vengono annullati i funerali, ogni manifestazione sportiva, sospesi gli esami per la patente. Chi non ha l’obbligo di recarsi sul posto di lavoro inizia ad adottare lo smart working. Insomma, il modo di vivere di tutti noi cambia drasticamente.

Sono i giorni in cui circolano le terribili immagini dei camion militari che trasportano centinaia di bare e dei nostri nonni che muoiono soli nelle case di riposo chiuse alle visite esterne. Ci dicevamo “Andrà tutto bene”: sappiamo che non è andata così… La sera del Venerdì Santo, in una Piazza San Pietro deserta e sferzata dalla pioggia, Papa Francesco celebra la messa e si rivolge al pianeta chiedendo sforzi comuni per sconfiggere il coronavirus. Arriva l’estate e la situazione migliora: il caldo è un nemico naturale del virus e per qualche mese si torna alla normalità, più o meno. Ma a fine ottobre, con l’arrivo dei primi freddi, i contagi ricominciano ad aumentare. Si va incontro ad un altro inverno di restrizioni, ma c’è una speranza in più: il vaccino. Le prime inoculazioni a fine anno e nel 2021 si parte a tappeto. I cosiddetti “no vax”, con motivazioni strane e scientificamente insussistenti, si rifiutano, ma la stragrande maggioranza dei cittadini aderisce e affolla i centri vaccinali. In primavera e in estate, la situazione generale è decisamente migliore. E’ vero, ci si contagia ancora, pur avendo in circolo una o più dosi di vaccino, ma il male risulta decisamente meno aggressivo.

Con l’arrivo dell’inverno dello scorso anno, c’è una nuova ricaduta. Tornano alcune prescrizioni, ma sono davvero poca cosa rispetto al passato. E ancora oggi l’uso della mascherina è obbligatorio in certi casi e fortemente consigliato in tutti gli altri. La recrudescenza di questi ultimi giorni sembra quasi fisiologica, ma gli esperti (quelli veri, non i leoni da tastiera che purtroppo continuano ad abbondare) assicurano che si sta passando dalla fase pandemica a quella endemica. Insomma bisognerà convivere col virus, così come si convive con quello dell’influenza o di altre malattie. Da non prendere sottogamba, ma salvo pochi casi davvero letali.

Questa è la situazione attuale: due anni di draghetto coronato ci hanno insegnato che anche la nostra cosiddetta civiltà avanzatissima e tecnologicamente evoluta nulla può di fronte alla Natura. Che, nel bene e purtroppo anche nel male, continua e continuerà a “comandare”.

Buona domenica.

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